Luciano Comida alle prese con Dio

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Storia di un ritorno alla Fede

Iniziando con i fondamentali, ovviamente: i Vangeli e l’Antico Testamento, e subito si trovò di fronte ai primi ostacoli

Agire come se i nostri sforzi servissero davvero. In fondo siamo condannati a fare. E a rifare quello che nel frattempo si è disfatto, e ancora e ancora, per sempre, fino alla fine

 

 

Con Luciano Comida siamo stati amici dai nostri vent’anni, con un troppo lungo intervallo in mezzo, che però non ha tolto nulla all’intensità di tale amicizia. Salvo l’ambito politico (dove l’intesa era tale che uno avrebbe potuto interrompere un discorso che l’altro, perfettamente fungibile, avrebbe potuto concludere autonomamente, con soddisfazione di entrambi), eravamo molto differenti. Nel vestire, nel rapporto col cibo (ultimamente era persino diventato vegetariano), nei gusti musicali, in parte persino nelle letture. E poi, certo, nel modo di scrivere: lui un cultore del periodare paratattico, io che mi perdo in diversi livelli di subordinate anche nel dire “buon giorno”. Credo che tali diversità fossero un po’ il sale della nostra amicizia, assieme, certo, alle cose che invece ci univano: l’impegno civile, soprattutto, e il riferimento a un’articolata gamma di valori etici.

Dopo il lungo intervallo nella nostra frequentazione, ho avuto la sorpresa di trovarlo credente, dopo che, anni prima, lo avevo lasciato agnostico, com’ero, e sostanzialmente sono, io. Numerose volte, naturalmente, la sua conversione ritornò nei nostri discorsi, ma un reciproco rispetto per le convinzioni dell’altro ci impedì sempre di approfondirne le ragioni, la genesi e gli esiti che tale suo ripensamento ebbe nel suo quotidiano. Nessuno dei due si sognò mai di fare proselitismo nei confronti dell’altro e quando, da lontano, ne sentivamo il pericolo, lasciavamo i nostri discorsi a metà, interrotti da una battuta, che ci faceva sorridere o, spesso, proprio ridere entrambi di gusto.

Quanto non mi è stato detto da lui allora, quando ne avremmo avuto il tempo e la possibilità, mi arriva provvidenzialmente oggi dalla lettura di Traballando verso Dio, quasi un diario scritto lungo il percorso che l’ha condotto a riappropriarsi della fede. Non una trattazione organica, dunque, ma una sorta di brogliaccio, un libro di bordo di tale sua impegnativa navigazione, la cui lettura mi pare avere più di un motivo d’interesse, sia per coloro che Luciano l’hanno conosciuto di persona, sia per la generalità dei suoi lettori, sia, infine, per quanti possono essere sospinti alla lettura per fare di questo libro un compagno di strada col quale affrontare un analogo cammino, a prescindere da quale alla fine potrà essere il punto d’approdo di ciascuno.

Questo che il lettore si troverà tra le mani è, purtroppo, un’opera postuma, il che significa che non ha potuto godere della supervisione dell’Autore e del suo finale consenso alla stampa, e che quindi noi lettori dobbiamo accontentarci di quella che era una copia di lavoro, suscettibile ancora di perfezionamenti e correzioni. In questo caso, francamente, la cosa non mi pare un limite. Al contrario: mi sembra che tale mancata rifinitura del testo contribuisca non poco ad aumentare la curiosità per la lettura, essendo percepibile l’autenticità di un testo del tutto privo di ammiccamenti letterari, pensato e realizzato esclusivamente per non perdere il filo all’interno di una riflessione profonda, complessa e del massimo interesse per chi la veniva svolgendo.

Non ho alcun titolo per discettare di argomenti di ordine teologico e non intendo sicuramente farlo. Quanto però posso fare, per introdurre alla lettura, è porre in rilievo alcune modalità del procedere di Comida, basate sulla conoscenza che ho di lui e su una certa dimestichezza nell’analizzare testi, anche quelli di materie per le quali non nutro un coinvolgente interesse.

Dirò allora, innanzitutto, che la partenza dell’itinerario di Luciano (fosse qui, mi verrebbe da indirizzargli con amichevole ironia una citazione: l’Itinerarium mentis in Deum di San Bonaventura da Bagnoregio) non nasce in un periodo di malessere esistenziale: al contrario, quando mosse i primi passi di quel cammino Comida viveva un periodo di grande serenità personale, e quindi tra le motivazioni della sua ricerca non si può individuare il bisogno di una consolazione a buon mercato, né la necessità di darsi ragione di una particolare angustia o sofferenza.

Fu così che cominciò la ricerca di Comida, che lo condusse non già nella penombra di una chiesa, ma – com’è naturale per un intellettuale – nella luce artificiale di una libreria o tra i rumori ovattati di una biblioteca. Iniziando con i fondamentali, ovviamente: i Vangeli e l’Antico Testamento, e subito si trovò di fronte ai primi ostacoli: le lunghe enumerazioni, le ripetizioni della Genesi, gli sbalzi stilistici… tutti pretesti per procurarsi altri libri, che smussassero un poco almeno l’ignoranza contro la quale si batté, soprattutto nelle prime fasi della sua ricerca. Arrivarono allora i libri di rinforzo, volumi di Clive Staple Lewis sulla sua conversione al cristianesimo anglicano, di Sergio Quinzio, di Hans Küng, le biografie di Gesù di Jean Guitton, quella di Giuseppe Ricciotti, quella del non credente Ernest Renan e poi Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori, ma anche Le confessioni di Sant’Agostino (per le quali si sentì ancora impreparato). Come si vede, un accanimento da neofita mischiato a un’approssimazione da autodidatta, ma era la sua modalità di apprendere e di approfondire. Però, nonostante la sua bulimia di lettore, che del resto in Comida era una costante, anche al di fuori dell’argomento di cui qui si tratta, non è da ritenere né che il suo approccio alla fede sia stato esclusivamente libresco, né che esso fosse esente da dubbi e perplessità. Le sue letture, difatti, s’intrecciavano con episodi della sua vita quotidiana, con riflessioni legate alla sua affettività, persino con i sogni che gli capitava di fare e di porre poi in relazione con le letture che gli occupavano le ore e la mente: anche questa una sua tipica modalità, di fondere assieme le nozioni acquisite dallo studio con piccoli episodi della sua esperienza quotidiana, rafforzando quanto acquisito sul piano teorico con il riscontro empirico e viceversa.

Verso la fine del libro, sarà lui stesso a dirci come l’aspetto razionale e culturale della sua ricerca abbia contato poco rispetto a un’esigenza più profonda, a una sollecitazione emotiva che lo ha condotto tenendo per mano la sua intelligenza, la quale ebbe in tali frangenti soltanto il merito di aver avuto l’umiltà di lasciarsi condurre come una bambina piccola:

 

“Il mio intelletto ha fatto forse da trampolino, ma chi poi si è tuffato davvero in Gesù è stato il mio cuore. O la mia anima, o chiamiamola in altri modi. Che tanto non importano nulla le parole.

E allora è accaduto che il mio intelletto si è trovato sopraffatto dalla scelta già compiuta dal cuore e dall’anima.

E adesso la mia intelligenza se ne sta sul bordo di questo immenso mare in cui io sto nuotando ed annaspando.

Se ne sta con le gambe penzoloni dal molo e solo i piedi a bagno nell’acqua.

All’inizio la mia intelligenza non lo sospettava proprio, che alla fin fine avrebbe contato così poco nel mio viaggio verso Dio. E se qualcuno glielo avesse detto, si sarebbe arrabbiata od offesa. Ed avrebbe rifiutato una concezione del cristianesimo in cui fosse relegata ad un ruolo subordinato.

Adesso invece mi rendo conto che anch’essa è decisiva, che è preziosissima, ma che non può essere tutto.

La mia ricerca culturale e teologica era (e continua ad essere) importante, ma non è la meta. Così come l’auto su cui stiamo viaggiando non è né la strada che percorriamo né il luogo in cui vogliamo arrivare.”

 

Implicitamente animato da un desiderio di recuperare la fede, vorrebbe arrendersi alle sue ragioni (dice infatti a sé stesso “Come si precipita nella china del male, così si può anche precipitare nella china della fede”), cogliendo però anche le incongruenze e le contraddizioni della Scrittura, per esempio tra il Cantico dei cantici e l’Ecclesiaste, a proposito del cui pessimismo giunge a questa conclusione:

 

“Più che altro allora il problema è forse di agire come se l’Ecclesiaste e Cioran e i pessimisti sbagliassero.

Agire come se i nostri sforzi servissero davvero. In fondo siamo condannati a fare. E a rifare quello che nel frattempo si è disfatto, e ancora e ancora, per sempre, fino alla fine.

Solo questa fatica di Sisifo (che metafora gigantesca della condizione umana!, che eroe della nostra specie!) può dare un senso al nostro agire, al bene ed al male che ci capitano addosso.

Sisifo si comporta come se il suo lavoro potesse durare per sempre. E così dovremmo fare anche noi con la costruzione della nostra umanità.”

 

Via via che approfondisce le sue conoscenze, Comida sembra voler evitare la solitudine nella sua riflessione e nel suo acculturamento, e quindi ne parla, con la compagna, che sembra immune dal contagio del suo entusiasmo per gli argomenti religiosi, e con Fulvio Tomizza, anche lui agnostico ma che

 

“ama Giobbe e le Lettere di San Paolo, ha cercato, continua a cercare ma la grazia della fede finora non gli è arrivata.

Se io mi converto (dice) sarebbe contento per me, ma (aggiunge) temerebbe di “non trovar più il Luciano Comida libero e scanzonato, autonomo di giudizio”.

La sua scommessa (dovuta a superbia, confessa) è di dimostrare a chi crede che anche il laico sa essere eticamente corretto (e forse anche di più).”

 

Ed è poi la volta di consultare un autentico esperto della materia, individuato dapprima in un direttore spirituale indicato da un amico, chiamato S., poi il pastore metodista M., che ogni sabato tiene una conversazione di argomento biblico con un gruppetto di persone.

L’incontro di Comida con una Chiesa riformata era inscritto nelle cose: le remote esperienze che aveva in materia di religione erano ovviamente riferite al cattolicesimo della sua infanzia e della sua adolescenza, quando in ogni domenica subiva la noia di quarantacinque minuti durante la messa. Ma troppa acqua era passata sotto i ponti, nella sua esperienza umana e nella sua formazione civile, di costume e politica. Non era più tollerabile in lui la convivenza dei valori fondanti della fede cristiana con la concezione di sé, piramidale e autoritaria, della Chiesa di Roma, con la perentorietà della sua visione dogmatica, con la visione sessuofobica dei rapporti interpersonali difesa con intransigente sicumera dalla gerarchia ecclesiastica, con uno svagato riconoscimento tardivo dei propri drammatici errori che nel corso di secoli si erano cumulati nella sua storia. Fatale quindi il suo approdo alla Chiesa valdese.

Fosse ancora il mio direttore, com’è stato per un felice periodo della nostra amicizia vissuto nella redazione di un mensile a diffusione gratuita, interverrebbe senza misericordia sulla lunghezza di questa mia nota, per cui mi fermo qui, lasciando ai lettori il piacere della scoperta che ritengo emozionante di un testo messo assieme con la leggerezza di una persona avvezza a sorridere di sé e degli altri, ma che non si ritrae all’impegno di far partecipe chi legge di uno degli snodi più importanti della sua personalità e della sua vita interiore.

 

 

Luciano Comida

Traballando verso Dio

Copertina di Ugo Pierri

Battello stampatore

Trieste 2016

  1. 144 Euro 15,00