QUANDO NOTRE-DAME BRUCIA
Quando Notre-Dame brucia
Una presa di coscienza nei confronti del nostro (fragile) passato
Cronaca del mattino dopo
di Nadia Danelon
16 aprile 2019
Dal tragico annuncio di ieri sera, il web è stato invaso dalle immagini della cattedrale di Parigi divorata dalle fiamme: una catastrofe che ha spinto l’Europa intera a interrogarsi sulla fragilità di un patrimonio storico che, come sottolineato da Philippe Daverio, nelle circostanze di questa “ferita psicologica terribile” si dimostra “non eterno”. Lacrime e commozione hanno accompagnato le preghiere della folla, formata non solo da parigini, ma anche da turisti di tutto il mondo, che si è avvicinata il più possibile alla chiesa devastata dal rogo. Nel frattempo, si unisce alle voci oranti dei fedeli il suono delle campane di tutte le chiese di Parigi, per ordine dell’arcivescovo metropolitano Michel Aupetit: un melodioso richiamo che sottolinea l’aspetto toccante della tragedia in corso nel cuore della città. Mentre i vescovi francesi evidenziano il ruolo di Notre-Dame quale “simbolo vivo della fede cattolica” e il Vaticano esprime “shock e tristezza” nell’apprendere la notizia, i media mostrano le immagini della guglia della cattedrale (la celebre “Flèche”) nel momento in cui crolla su se stessa. La paura è tanta e i media Usa finiscono per paragonare quanto sta avvenendo a Parigi alla tragedia dell’11 settembre.
Notre-Dame è uno dei simboli della capitale francese così come le Twin Towers lo sono state per Manhattan: ed entrambi i luoghi sono rimasti vittima di un tragico destino caratterizzato da un’orribile devastazione. Ben presto, viene scartata la circostanza di un attentato: la causa, a quanto pare, deve essere rintracciata in una saldatura del sottotetto. Viene sottolineato subito che si tratta di un incendio involontario, accidentale, per il quale deve essere ancora chiarita l’effettiva circostanza. Alle 23.38 il presidente francese Emmanuel Macron dichiara solennemente “La ricostruiremo, la ricostruiremo insieme”: le fiamme sono state domate (grazie all’intervento di quattrocento pompieri) e la struttura è dichiarata salva. Si attende il raffreddamento dell’edificio e nella mattinata di oggi viene convocata una commissione col compito di valutare i danni che la cattedrale può avere riportato.
Nel frattempo, le testate già nel corso della notte hanno “coniato” dei titoli per sottolineare l’esito psicologico provocato da questa tragedia nei confronti di tutta la popolazione francese, europea, mondiale: se il gioco di parole “Notre-Dame / Notre-Dramme (il Nostro Dramma)” esprime al meglio l’effetto devastante della notizia sull’opinione pubblica, risulta senz’altro commovente anche la frase pubblicata sul sito di “Le Parisien” che recita “Notre-Dame de larmes” (Nostra Signora delle lacrime). Perciò è così che tra gli irrealizzabili suggerimenti di Trump sull’utilizzo degli aerei anti-incendio (i cosiddetti “canadair”, scartati perché in grado di provocare danni irreparabili al già fragile edificio) e il sollievo generale nell’apprendere le circostanze dell’effettiva messa in sicurezza del Tesoro della cattedrale (reliquie comprese), si consuma una serata caratterizzata dal terrore e dalla concreta presa di coscienza della nostra piccolezza nei confronti di un avvenimento così orribile. L’ultima buona notizia è giunta stamattina, con la conferma dell’effettiva messa in salvo delle opere d’arte della cattedrale collocate provvisoriamente nell’Hotel de ville (il municipio parigino), in attesa di essere trasferite al museo del Louvre nella giornata odierna o al massimo entro mercoledì: tra queste ci sono anche dei capolavori italiani, realizzati da Guido Reni (si tratta del “Trionfo di san Giobbe” dipinto nel 1636) e Ludovico Carracci. Ha ceduto invece una parte della volta della navata, come mostrano le prime fotografie scattate all’interno della cattedrale dai pompieri e rimbalzate questa mattina sui siti web dei vari quotidiani: risalta nelle immagini apocalittiche del post-incendio la zona dell’altare maggiore, capolavoro barocco voluto da Luigi XIV per rispettare il voto fatto alla Vergine dal padre al momento della sua nascita (1638), che nell’occasione ha dedicato il regno di Francia alla Madonna. Questo è uno dei tanti riferimenti al patrimonio della cattedrale parigina che, nel contesto della catastrofe appena verificatasi, riemergono con forza dagli anfratti della storia per ricordarci l’importanza di un luogo di culto che (come tanti altri) è stato il muto e indifeso testimone di tanti eventi storici: tuttavia fa riflettere il fatto che l’incendio del 15 aprile sia, per l’intera storia della cattedrale, paragonabile solo ai vandalismi della Rivoluzione Francese (1789 – 1799), nel corso della quale le statue della facciata principale sono state distrutte (le attuali risalgono al XIX secolo). Nonostante due guerre mondiali, fino alle 18.50 di ieri la struttura della cattedrale è infatti rimasta intatta: fa rabbrividire il pensiero che una piccola parte delle travi di sostegno del tetto (tra le quali, quelle al di sopra del coro) siano rimaste per tanti secoli nella stessa posizione in cui sono state collocate nel 1220, soprattutto considerando che questo telaio in legno di quercia è stato realizzato riciclando del materiale ancora più antico. Tutto questo, così come il restante telaio realizzato nell’Ottocento con la stessa tipologia di legno, in gran parte non esiste più: tre quarti del tetto pesante 750 tonnellate, così come la guglia che raggiungeva l’altezza di 96 metri, sono stati inghiottiti dalle fiamme nel giro di pochissime ore. I pompieri hanno faticato a tenere sotto controllo il fuoco, avvistato anche all’altezza delle due torri: una lacrima in più è scesa sui social alla vista della popolare immagine disneyana del gobbo Quasimodo intento ad abbracciare la sua adorata cattedrale. Commuove davvero il fatto che, a causa di questo gigantesco rogo, ci siamo potuti rendere conto di quanto fragile sia ciò che rimane del nostro passato: la prima pietra della cattedrale è stata posata nientemeno che nel 1163, durante la prima celebrazione al suo interno il patriarca di Gerusalemme ha convocato la Terza Crociata e nella cerimonia del 2 dicembre 1804 Napoleone vi si è autoincoronato imperatore. Perciò, il giorno dopo la catastrofe, riassumendo quanto è accaduto abbiamo almeno tre dati di fatto: un pompiere si è ferito gravemente nel tentativo di salvare il principale luogo sacro della capitale francese, noi tutti abbiamo perso una significativa percentuale di un edificio che dal 1991 è patrimonio dell’UNESCO e la statua di san Tommaso (una delle sedici sculture in rame che per due secoli hanno fiancheggiato la guglia, salve perché smontate e in restauro dall’11 aprile) è rimasta orfana in modo atroce. Sì, perché se la Flèche è stata per tanto tempo abbellita da un totale di quattro gruppi statuari, uno solo degli apostoli è stato raffigurato nell’atto di guardarla: si tratta appunto di Tommaso, nel quale è stata riprodotta la fisionomia del suo progettista (Eugène Viollet-le-Duc, architetto della cattedrale dal 1842) e che ora idealmente piange il suo capolavoro andato distrutto.