Uno stimolante percorso critico

| | |

Nelle trincee in cui finì la Letteratura della Nuova Italia: le riflessioni di Vittorio Roda

di Fulvio Senardi

 

Bella sfida ai recensori l’ultimo volume di Vittorio Roda. Carducci, Pascoli, Tarchetti, Graf, passati al setaccio di un’intelligenza critica esercitata in più di quarantacinque anni di impegno sulla letteratura, e quindi armata di competenze, esperienze, riferimenti che consentono a Roda di andare al nocciolo dei problemi, anche quando sceglie, come nel caso dei saggi di Da Carducci alla Grande Guerra, di muoversi sui “margini”, da prospettive apparentemente “laterali” (Mito e demitizzazione dell’amore “totale” nelle lettere di Carducci a Lidia; Due luoghi pascoliani: la casa, il villaggio, ecc.).

L’ultima sezione, dedicata alla letteratura della Grande Guerra è la parte del volume che approfondiremo: tema particolarmente attuale, più di altri nelle corde di chi scrive e declinato da Roda per prospettive originali e acute. Dà il primo assaggio Il ritorno del combattente nella memorialistica della Grande Guerra, uno scavo dentro le ambivalenze di una “situazione psicologica complessa”, perché la gioia del ritorno può rovesciarsi in una “fenomenologia di disagio e spaesamento, dove l’atteso sfuma nell’inatteso, il noto e il familiare nel non-familiare” (p. 207), determinando il trionfo del freudiano unheimlich, per le dissonanze che si insinuano tra attese e realtà, tra stato d’animo di chi ritorna e di chi è rimasto, e che magari accoglie chi rientra dal fronte con parole di ingiusta durezza (“Perché siete scappati dal fronte”, chiede un amico a Comisso rientrato a Treviso in quel Giorni di guerra cui Roda giustamente attribuisce grande valore d’arte e, insieme, importante ruolo testimoniale). Nessuna situazione dunque fra le tante che si presentano al soldato, spiega Roda, è meglio capace del “ritorno”, in tutto il ventaglio di variazioni, di esemplificare la funzione “dicotomizzante” in cui Paul Fussel (La Grande Guerra e la memoria moderna, una delle letture “obbligate” per chi si occupa del tema) riconosce uno dei caratteri più costanti dell’esperienza di guerra. Una cesura tra il fronte e il resto del Paese, dove, per i ceti borghesi le vicende di guerra non sono che articoli di giornale, una cesura tra il presente e il passato, tra il sé prima della guerra e il sé soldato, e perfino un “diaframma, tanto sottile quanto tenace e ineliminabile che si innalza tra chi è tornato e chi è rimasto” (ivi) anche nel seno di una stessa famiglia; e qui Roda, che conduce il discorso arricchendolo di un corredo di esempi tratti anche da opere quasi dimenticate (chi ha ormai ricordo del Muro di casa di Stefano Pirandello?) ci rimanda alla scena straordinaria di Un anno sull’Altipiano che descrive l’improvviso rientro in casa di chi stava già ripartendo per il fronte, e trova la madre accasciata in lacrime, dopo che l’addio, qualche istante prima, aveva visto madre e figlio prodursi in uno sforzo estremo di autocontrollo.

In Dall’uomo al bruto nell’inferno delle trincee è un altro filone ad essere esplorato, con la solita ricchezza di esempi e di rimandi: si tratta di ciò che alcuni studiosi della Grande Guerra hanno definito la tragica ironia del conflitto. Il carattere ipertecnologico della prima guerra moderna si sposa all’abbassamento dell’uomo nella scala dei viventi fino alla condizione animale. Una talpa che vive rintanata nell’umiliante sporcizia delle trincee, da cui esce soltanto per esporsi, come entrando in un mattatoio, al fuoco del nemico. Una “radicale fuoruscita, una volta immesso nel circuito delle trincee, dalla cornice dell’umano” (p. 221), che sancisce l’“animalizzazione del militare” (ivi). Per questa regressione tutti i narratori trovano una metafora o un sostantivo appropriato, in particolare Carlo Salsa (l’autore di Trincee), sicuramente fra i più inventivi: rospi, rettili, insetti, anfibi, scarafaggi, a comporre un bestiario che definisce l’amara coscienza di sé del soldato costretto al mero sopravvivere (fino alla revoca più radicale, la morte) dentro il riparo, cito Stuparich, di “covi tanfosi” (oppure, qui Stanghellini che descrive però le trincee del nemico, di una “lurida fossa”). Altra metamorfosi zoomorfa, ma ben più rara, quella dell’animale da preda, che sulla linea di un Nietzsche letto alla tedesca, riconosce nel soldato la “bestia bionda” della Genalogia della morale. Una posizione di cui Roda individua in Ernst Jünger il rappresentante più emblematico.

Ma l’esplorazione continua mettendo in luce un nuovo tema, quello del Soldato e il mondo degli oggetti, dove viene studiata una particolare forma di degradazione dell’umanità in guerra: i soldati si intrufolano in case abbandonate, frugano sui corpi del nemico caduto, trasportano in trincea oggetti più o meno funzionali all’esistenza da talpe che vi si conduce, talvolta solo per ricostituire un surrogato degli ambienti domestici da cui sono stati strappati per vestire la divisa. Ma, se spesso l’atteggiamento è quello cinico e spregevole dei saccheggiatori, o, in altri casi, la curiosità per mondi della vita diversi ed estranei al proprio, quella che spinge a creare “minuscoli musei personali che formano, negli spazi collettivi della trincea, una realtà separata e privatissima”, (p. 244), (trincee, aggiunge Roda, che si riempiono e si svuotano ad ogni arretramento e avanzata del fronte, come in una rigatteria che cambia sede), in altri casi, dove l’umano sopravvive come sensibilità, cura, rispetto di sé e degli altri, alla predace indifferenza si sostituisce la pietas, nell’empatica comprensione di ciò che i “frammenti di vita” rappresentati dagli oggetti veramente significano. Il critico cita a proposito una pagina di Carlo Salsa (da Trincee): “gli austriaci […] ci hanno buttato in trincea il portafoglio del nostro tenente morto sui reticolati da eroe sul serio, scusandosi, in un biglietto, che vi avevano tolto una fotografia di lui per esporla al loro circolo, a Vienna, in segno di omaggio”. Un portafoglio che probabilmente ritroverà la strada di casa, per la strazio (e la consolazione insieme) di una fidanzata, una moglie, dei genitori. Per altro qui sono all’opera motivazioni non sempre razionalmente spiegabili: una costante antropologica, se vogliamo, e bisogni psichici profondi che invocano qualche forma di contatto, obliquo e mediato quanto si vuole, con i simboli della vita civile. Perché altrimenti trascinare in trincea un lavabo, o un orologio a pendolo? In altri casi il rapporto con gli oggetti è quasi esorcistico: il pacco di lettere scritte in tedesco custodito da un soldato ignaro della lingua (così in Vent’anni di Corrado Alvaro) serve quasi a impedire, conservandone con cura rispettosa le reliquie, il “ritorno” vendicativo del morto. Insomma, il mondo della guerra, è un mondo altro e misterioso rispetto alla fenomenologia del quotidiano dei tempi di pace.

Chiude l’ampia sezione un capitolo su Gli ultimi scontri e l’armistizio nella memorialistica della Grande Guerra, articolato (con un marcato gusto narrativo, in questo caso) su alcune grandi dicotomie: il silenzio quasi innaturale sulla linea del Piave agli inizi d’ottobre, mentre su altri fronti la guerra continua con immutato furore, silenzio che prosegue nei giorni (e nei modi) del cauto passaggio del fiume (illustre, e poco noto testimone, il Bacchelli del Mulino del Po), primo passo dell’offensiva italiana; poi, suo esatto contrario, “il tempo del fragore” (267), quando “scoppia” la pace, “parola [che] ci suonò dentro opaca”, commenta Giovanni Titta Rosa, “come se non ci appartenesse” (268); i giorni del trionfo che qualcuno fra i più sensibili decise di vivere, con austero raccoglimento, nel ricordo di chi era mancato: “i fortunati hanno fatto questo regalo ai morti, di non sorridere” (270, parola di Arturo Stanghellini). All’atroce normalità dei lunghi anni di guerra subentra la prospettiva di un futuro che perfino sgomenta (Mario Muccini). Una pace che, come sappiamo, fu quasi altrettanto difficile della guerra.

 

Vittorio Roda

Da Carducci alla Grande Guerra

Studi di letteratura italiana

Patròn, Bologna, 2019

  1. 279, euro 30,00