Il Re dei Matti narrato ai ragazzi

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Storia di Lisa, una ragazzina testimone della rivoluzione di Franco Basaglia al manicomio di Trieste

di Anna Calonico

 

Come si fa a spiegare ad un ragazzino di oggi il passato? L’orrore, la sofferenza, gli sbagli, le speranze vane? Come si fa a fargli capire che cosa è stato un manicomio?

Di solito si usano le favole: gli animali parlanti, incarnazione/metafora di vizi e virtù, la strega cattiva, il cavaliere coraggioso…

Ma i matti si possono davvero rappresentare come cavalieri e principesse? E, soprattutto, le fiabe, in fin dei conti, non sono soltanto “favole”? I manicomi sono esistiti veramente, e tutto quel dolore non si può ridurre ad una invenzione, alla volpe Basaglia e al povero cagnolino incatenato. I maiali cattivi appartengono ad Orwell, non alla rivoluzione di Trieste e Gorizia.

La soluzione di Davide Morosinotto è un libro leggero come mole e pesante come verità: Franco Basaglia, il Re dei Matti narra la storia di una ragazzina, Lisa, che vede con i suoi occhi la trasformazione miracolosa degli anni 70. Lisa è rimasta sola con la zia Gertrude, perché sua mamma si è ammalata. È stata ricoverata, è stata rinchiusa nel comprensorio di San Giovanni. Lisa non può vederla, perché dal reparto Tranquille dove poteva incontrarla per pochi minuti in parlatorio, è stata spostata tra gli Agitati. Impossibile anche solo toccare il muro di quell’edificio, perché intorno ci sono sbarre di ferro. Mamma Adele non ha mai ucciso nessuno, non ha mai rubato. Ma è in prigione. Mamma Adele non è un canarino, ma è in gabbia.

Ecco dove può non arrivare una favola: a far sentire l’angoscia del “e se fosse successo a me?” Non c’è ragazzo che non capisca questo terrore, e credo che l’autore abbia quindi raggiunto lo scopo. Nel complesso, però, non si tratta di una storia tragica che riempie i ragazzi di paura e tristezza: ci sono momenti lievi, perché si tratta pur sempre delle avventure di una ragazzina. A volte fa addirittura sorridere, come quando Lisa incontra il cavallo Marco che tira il carretto di panni sporchi, o quando riesce ad intrufolarsi nel comprensorio approfittando della distrazione del custode. A volte, poi, è addirittura entusiasmante: la mamma viene fatta uscire dalla gabbia, Marco viene salvato dal macello, Marco diventa addirittura un simbolo di cartapesta blu, con i sogni di tutti attaccati addosso, e per farlo uscire non resta che demolire la gabbia usando una panchina come ariete. Non è una cosa inventata: ci sono fotografie che testimoniano l’uscita di Marco Cavallo dalla prigione spezzata, e altre che documentano l’abbattimento del cancello con la panchina: si riconosce Franco Basaglia in prima fila, e leggerne il resoconto è emozionante come i momenti più significativi della letteratura per ragazzi: come quando Peter Pan libera Wendy, o quando Harry Potter fugge dal pericolo sul dorso del drago, quando il GGG viene invitato dalla regina d’Inghilterra, quando Frodo Baggins distrugge l’Unico Anello, o come quando Boka dichiara vittoria nella battaglia per il campo di via Paal.

Quest’estate mi è stato detto che I ragazzi della via Paal è un libro superato e ho provato una grande tristezza nel sentire che uno dei più bei libri per ragazzi non ha più bisogno di essere letto: possono essere scaduti l’amicizia, la voglia di giocare tutti assieme all’aperto, il coraggio, la voglia di riscattare una colpa agli occhi propri e degli amici? Mi chiedo se, allora, non sia superata anche la storia di Lisa soltanto perché non è ambientata tra pc, smartphone e playstation. Io credo di no, e credo anzi che soprattutto in questo momento sia importante che i ragazzi capiscano che nel mondo c’è gente che soffre, ogni giorno, e ogni giorno spera in un aiuto, o almeno nella comprensione. Trovo emblematico e commovente un breve passo del libro in cui Lisa e Franco parlano delle prime idee del dottore: “Hai visto che razza di posto è questo. Oggi l’ospedale, contando tutti i reparti, ospita 1100 pazienti. 1100 persone. E tu sai come vivono. Hai visto le sbarre. Le celle. C’è poco da vantarsi a dirigere un posto così.”

Lisa non capiva.

“Allora perché stai qui? Non potresti fare un altro lavoro?”

“Eh, certo” disse Franco “Allora la mia vita cambierebbe. Ma le persone che sono qua dentro? È la loro vita che vorrei rendere migliore, prima di tutto.” (p.47)

Così, semplice: dice di non girarsi dall’altra parte, di rendersi conto che c’è una realtà differente dalla nostra che riguarda decine e decine di persone. Se anche i manicomi non esistono più, mi pare sia un insegnamento da non sottovalutare. E comunque, bisogna che i ragazzi di oggi sappiano che cosa era un manicomio: …il posto dove rinchiudevano quelli che hanno perso qualcuno. O se stessi. O entrambe le cose. (p. 41) Un posto che nascondeva agli occhi del mondo persone: per questo la rivoluzione di Basaglia è passata anche dai camici di lavoro, eliminandoli, per impedire di distinguere un medico da un infermiere o da un paziente, per impedire una distinzione tra persone. Dato che rinchiudere delle persone senza garantire loro alcun diritto né speranza era disumano, si era deciso che quelle non erano più persone. Ma qualcosa di diverso: matti, appunto, poverini, gente che non si rendeva conto di niente e che, proprio per questo, poteva essere trattata come faceva più comodo. Agli altri. Quel giorno le cose sarebbero cambiate, quel giorno i matti sarebbero tornati ad essere persone fra le persone. (p.114) Da quel giorno sono passati quarant’anni, e l’anniversario non va dimenticato se vogliamo continuare a parlare di umanità e di paese civile.

Il libro si legge velocemente, per l’interesse che suscita il racconto e per la semplicità del linguaggio, oltre che per la brevità dei capitoli che non appesantiscono la lettura e la rendono possibile anche in mancanza di molto tempo. All’inizio, poi, c’è una prefazione di Peppe Dell’Acqua davvero emozionante. Non stanca mai ascoltare le parole di chi ha vissuto quel cambiamento, e lo psichiatra che fu tra gli ideatori di Marco Cavallo insiste sul concetto di persona di cui i prigionieri dei manicomi erano privati: non è sbagliato chiamare prigioniero chi non può più votare, sposarsi, fare la spesa, camminare per strada o persino alzarsi da letto! Entrare in manicomio voleva dire perdere la libertà, la dignità, i desideri, i sogni, la propria personalità, persino il ricordo di ciò che si era, tutto. Era una condanna a vita, dove vita non significava più nulla di buono.

 

Davide Morosinotto

Franco Basaglia, il Re dei Matti

copertina di Iacopo Bruno

Einaudi Ragazzi, Trieste 2018

  1. 129, euro 10,00