Acquarelli di Giovanna Ericani

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Una grande retrospettiva alla Casa dei Tre Oci di Venezia

di Michele De Luca

 

«Penso che, per essere potente, una fotografia debba parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al soggetto». In queste poche, semplici e chiarissime parole Simone Weiss riassumeva quello che per tutta la sua lunga intensa carriera era stato, coerentemente, il suo approccio e il suo modo di vivere la fotografia. E queste sue parole devono farci da guida visitando la più ampia retrospettiva (“La poesia dell’istante”) realizzata fino ad ora, allestita (fino al 23 ottobre) alla Casa dei Tre Oci di Venezia, dedicata alla fotografa franco-svizzera, scomparsa all’età di novantasette anni nella sua casa di Parigi, considerata tra le maggiori rappresentanti della fotografia umanista francese insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Edouard Boubat, Brassaï e Izis. L’esposizione è il primo e più importante tributo alla sua carriera, con oltre duecento fotografie. Curata da Virginie Chardin, la mostra è promossa dalla Fondazione di Venezia, realizzata da Marsilio Arte (che ha pubblicato anche uno splendido catalogo) in collaborazione con Berggruen Institute, prodotta dallo studio Sabine Weiss di Parigi e da Laure Delloye-Augustins, con il sostegno di Jeu de Paume e del Festival internazionale Les Rencontres de la photographie d’Arles.

Nata Weber a Saint-Gingolph, in Svizzera, il 23 luglio 1924, Sabine, che prenderà il cognome del marito, il pittore americano Hugh Weiss (Philadelphia, 1925 – Parigi, 2007), si avvicina alla fotografia in giovane età. Compie l’apprendistato presso i Boissonnas, una dinastia di fotografi che lavorano a Ginevra dalla fine del XIX secolo. Nel 1946 lascia Ginevra per Parigi e diviene l’assistente di Willy Maywald, fotografo tedesco specializzato in moda e ritratti. Quando sposa Hugh, nel 1950, intraprende la carriera di fotografa indipendente. Insieme, si trasferiscono in un piccolo studio parigino, dove abiteranno poi tutta la vita, e frequentano la scena artistica del dopoguerra.

Fin dai suoi primi scatti Sabine è attratta dalla vita notturna, vista attraverso i gesti dei bambini e dei vecchi, dei clochard, dalla solitudine, fragilità e povertà della “fauna” umana della città, tanto da essere immediatamente associata a quella “scuola” della fotografia francese definita “umanistica”, nella quale si immedesima e si riconosce pienamente. Ma anche se, come fa notare la Chardin, «i suoi soggetti sono spesso vicini a quelli di Doisneau, Ronis o Izis, nel suo caso non si può parlare di presa di posizione militante né di denuncia politica». Per lei, ricorda il marito Hug, «la cosa più importante è l’eccitazione che prova nel momento in cui scatta una serie di immagini. Ciò che le sta più a cuore è questa coesione emotiva tra lei e i suoi soggetti». Il suo desiderio, cioè, e ciò che la distingue dagli altri fotografi “umanisti” , come spiega Denis Curti, Direttore della Casa dei Tre Oci, è «di ritrovare, anche nelle situazioni più drammatiche, un sentimento di democratica rappresentazione della vita quotidiana. Il suo obiettivo si rivolge non tanto agli eventi che fanno la storia, quanto a quelli che accadono nella quotidianità che, grazie al suo garbato modo di guardare, si trasformano in vera poesia». Nei suoi reportage, nei ritratti (bellissimi!) di personaggi famosi, come nelle sue immagini create nell’ambito del suo lavoro nella moda, come – ci dice Nicolas Berggruen, Presidente del Berggruen Institute, «ha immortalato la bellezza della vita di tutti i giorni, la dignità universale del quotidiano».

Per cinque anni, Hugh Weiss è il mentore dell’artista Niki de Saint Phalle, mentre Sabine è vicina ad Annette Giacometti, la moglie del grande scultore Alberto. In mostra non mancano i loro ritratti accanto a quelli di altre personalità come Robert Rauschenberg, André Breton, Alberto Giacometti, Anna Karina, Françoise Sagan, Romy Schneider, Ella Fitzgerald, Simone Signoret, Brigitte Bardot. A 28 anni ottiene un grande riconoscimento essendo inclusa da Steichen nella sua “Fotografia europea del dopoguerra” al Museum of Modern Art. Nel 1954, l’Art Institute of Chicago le dedicò una mostra personale che fece un tour negli Stati Uniti. Quindi Steichen ha incluso tre delle sue fotografie nella mostra del MoMA “The Family of Man, che ha girato il mondo ed è stata vista da nove milioni di visitatori.

Nel 1955, sul transatlantico “Liberté” in compagnia del marito raggiunge l’America, che l’affascina e la coinvolge emotivamente e il suo sguardo è calamitato dalla scoperta di un “nuovo mondo”, dal volto così diverso da quello che aveva fino ad allora impressionato sulla pellicola della sua fotocamera, cha andava via via conoscendo nelle strade di New York, dal Bronx ad Harlem, da Chinatown alla Ninth Avenue, che vennero pubblicati dal New York Times in un ampio servizio dal titolo I newyorkesi (e la Washington) di una parigina. Sono immagini che raccontano l’America da un punto di vista francese, dall’umorismo spiccato, molte delle quali vengono esposte solo oggi, per la prima volta in Italia.

Nonostante i suoi successi e la pubblicazione di circa quaranta libri, tra cui Cento100 foto di Sabine Weiss per la libertà di stampa di Reporter senza frontiere nel 2007, Sabine Weiss rimane una personalità discreta e poco conosciuta dal grande pubblico. Le sue fotografie sono distribuite dall’agenzia Gamma-Rapho (fu Doisneau a farla collaborare a questa agenzia fotografica). Nel 2017 ha donato il suo intero e sconfinato archivio al Musée de l’Elysée di Losanna.

Nella sua opera sembrano riecheggiare, per una grande affinità, le parole scritte da un altro gigante della fotografia, André Kertes: «Fotografo il quotidiano. Quello che poteva sembrare banale prima di avergli donato nuova vita grazie a uno sguardo nuovo. Amo scattare quel che merita di essere fotografato, il mondo quindi, anche nei suoi squarci di umile monotonia».

 

 

Sabine Weiss

Gitans

Sainte Marie de la Mer

France. 1960

© Sabine Weiss