Balcani tra storia e letteratura

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Un nuovo libro di Diego Zandel: un «viaggio nel sud-est europeo attraverso la letteratura contemporanea», come recita il sottotitolo

di Fulvio Senardi

 

 

Il libro di una vita. Di incontri, letture, riflessioni tutte gravitanti intorno al tema dell’Europa del sud-est. Le sue culture, in special modo slave, i suoi spazi mentali e i suoi voli di fantasia, le voci che da quel mondo hanno portato gli echi fino a noi, dentro le case di un’Italia sazia, distratta e perfino contenta della sua incultura. Echi in genere tragici, anche se è tragedia spesso imbastita con un filo d’ironia. Questo, in due righe, Balcanica, di Diego Zandel, un «viaggio nel sud-est europeo attraverso la letteratura contemporanea» come recita il sottotitolo.

A una prima occhiata il volume ha la forma di un diario di lettura, il resoconto dei vagabondaggi sapienti e inquieti di Diego Zandel, narratore egli stesso e di rilievo, fra i libri di differente qualità e impostazione che piccole e coraggiose case editrice fanno arrivare in libreria a loro rischio e pericolo (rischio di chiusura, vedi il caso della benemerita Zandonai di Rovereto, che si era specializzata in autori balcanici e mitteleuropei). Qui devono sfidare la paccottiglia anglosassone offerta a prezzi stracciati cercando spesso inutilmente una sponda nelle pagine di cultura di giornali di solito disattenti.

La Slovenia, la Croazia e la Serbia fanno ovviamente la parte del leone nella carrellata di Zandel: in quelle nazioni, più che in altri luoghi dell’universo comunista, il passaggio drammatico alla democrazia, inizialmente manifestatasi nella forma perfida e seducente della sirena consumistica, ha alimentato la necessità del narrare. Scrittura dunque come analisi del cambiamento, presa di coscienza del rischio necessario della libertà. Ma la libertà di essere se stessi, superando il grande sogno jugoslavista che aveva ammaliato generazioni di intellettuali di differenti etnie slave a partire dal crepuscolo dell’Impero degli Asburgo, ha richiesto un grande prezzo di dolore e di sangue, versato in nome di nuovi-vecchi idoli (la fede, la razza, la patria): una scia rosso cupo, il sangue di Vukovar, di Sarajevo e poi di Belgrado bombardata (ecc. ecc) su cui Zandel si china con una pietas che avremmo voluto vedere ben più ampiamente diffusa, disponibile a capire e pronto a spiegare, perché partecipe, fiumano d’origine e di cultura mista, di una tragedia che solo l’alterigia dell’Occidente (che non manca di colpe per la catastrofe jugoslava degli anni Novanta) ci ha impedito di vivere come nostra res (modo di porsi ben spiegato dalla bella Prefazione, il biglietto da visita di un intellettuale che si colloca orgogliosamente fra più mondi, e sa apprezzare il valore della contaminazione come antidoto alla febbre identitaria). È ben possibile che, in una galleria di autori del sud-est europeo, altri studiosi avrebbero proposto un canone differente e una diversa gerarchia, ma Zandel non pecca di soggettività. Con più o meno ampiezza di discorso vengono affrontati alcuni dei grandi classici delle moderne letterature jugoslave, i Maestri: Boris Pahor, Nedjelko Fabrio, Danilo Kiš (e dell’area circonvicina: ritrovo per esempio Dezső Kostolanyi, citato come narratore, ma, non dimentichiamolo, squisito poeta di impronta intimistica), mentre si assiepano, accanto a loro, i comprimari delle ultime leve, ciascuno marcato dal bisogno di raccontare una circoscritta porzione del grande (eterno?) dramma balcanico. Un Drago Jančar per esempio, o Dubravka Ugreši, per citare qualcuno dei nomi più noti ai lettori della penisola. Ma, oltre che spendersi a favore di questi scrittori-guastafeste (del prepotente pensiero unico nazionalista), Zandel ci fa da guida anche presso scritture di matrice differente, che testimoniano della versatilità espressiva della galassia balcanica, un mondo cui solo pregiudizi di radice “orientalista” (ovvio il riferimento a Edward Said, meno ovvio forse il fatto che Said, per la sua capacità di reinterpretare molti spunti gramsciani, è un intellettuale che ci riporta a noi stessi, ci rimette sulla strada della nostra migliore tradizione critica) potrebbe negare una piena appartenenza al “cosmo” europeo (e non solo per merito di Ivo Andrić, il premio Nobel, ma già a partire dalle origini stesse della storia culturale dell’“altra sponda”, e basterà pensare alla trilingue letteratura rinascimentale e barocca fiorita in Dalmazia). Insieme a Zandel scopriamo così, o riscopriamo, scrittori della statura di un Zoran Žikvović per esempio, vero adepto danubiano del realismo magico, o come Petros Markaris, che si ritaglia un suo spazio di rilievo nella letteratura di genere, in una Grecia presa nella morsa di antichi e nuovi problemi.

Non stupirà il fatto che molti degli autori presentati in Balcanica vivano lontani dalla terra d’origine; parecchi bosniaci per esempio, e per ovvie ragioni: Alexandar Hemon e Ismet Prcić per fare qualche nome (ma non solo i soli: ricordo, per quanto riguarda i bosniaci, un Dževad Karahasan, drammaturgo pluripremiato ormai acclimatatosi nel mondo tedesco, oppure Dubravka Ugrešić o, in passato, Predrag Matvejević, per incompatibilità con il Potere). Dolorosa svolta esistenziale che li colloca però in quella posizione di “esulanza” che per Said dovrebbe rappresentare, almeno metaforicamente, la condizione più appropriata di chi sceglie di battersi per la verità, senza sudditanze o legami con una bandiera ed i suoi dogmi e senza soggiacere – e qui è certo un punto delicato per uno scrittore che cerca di vivere, in Occidente, del proprio lavoro – ai diktat standardizzanti di un’industria culturale che, per ragioni di marketing, tende a favorire il conformismo intellettuale (opponendosi al quale si rischia, con l’emarginazione, di scivolare nell’insignificanza). Concludiamo con un’ultima sottolineatura: i medaglioni dedicati alle opere sono intervallati, in Balcanica, da messe a fuoco tematiche (I Balcani e il fascismo, Letteratura greca e crisi, ecc.) e interviste, e introdotti da cappelli biografici e indicazioni di contesto, tali da costituire le nervature di un più ampio quadro di riferimenti. Non un semplice e scarno “dizionario degli autori” dunque questo libro di Zandel ma l’istantanea, dalla pregevole profondità di campo, di una civiltà letteraria ricca, multiforme, stimolante.