Claudia Zironi, quando si spegne il cielo

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di Sandro Pecchiari

 

Le Edizioni Folli non sono definibili come una vera e propria casa editrice, piuttosto sono un interessante progetto editoriale nato nel 2013. Questa collezione comprende libri, segnalibri, oggetti, biglietti poetici, in tirature limitate dall’unica copia fino al massimo realizzato finora di 400 copie. La scelta della carta, la grande cura e la lentezza della realizzazione dall’impaginazione, il taglio manuale dei fogli, la cucitura fino all’oggetto finito fanno di queste piccole edizioni senza mercato un frutto prezioso delicato e poetico, come ci spiega Silvia Secco, che realizza a mano queste chicche con cura e passione.

Nell’anno 2019 la collezione raggiunge il numero 84 in tiratura limitata di 40 copie con la silloge di Claudia Zironi, Quando si spegne il cielo.

 

Claudia Zironi, bolognese, opera dal 2012 nel mondo della diffusione culturale con la fanzine Versante Ripido (www.versanteripido.it) dedicata alla poesia della quale è una dei fondatori. Zironi collabora anche con altre realtà associative rivolte alla cultura, all’arte e al sociale. Ha fatto e fa parte di giurie di premi di poesia a rilevanza nazionale.

È alla quinta pubblicazione poetica in Italia: la prima è del 2012 con Marco Saya Ed.: Il tempo dell’esistenza e la seconda del 2014 con Terra d’ulivi ed.: “Eros e polis”, uscita nel 2016 anche in USA con Xenos Books / Chelsea Ed. in traduzione di Emanuel Di Pasquale. La terza, uscita nel 2016 con Marco Saya Ed., è titolata Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni. Nel 2018 ha corealizzato e coprodotto in KDP con la poetessa Silvia Secco e con la pittrice Martina Dalla Stella (collana Edizionifolli) il libro d’arte e poesia Ursprungliches Leben – poesia e pittura in dialogo. Sempre del 2018 è la pubblicazione indipendente su KDP Variazioni sul tema del tempo (per la collana di poesia Versante ripido).

Nel 2019 è uscita, per i tipi di Marco Saya Edizioni, l’antologia a cura di Sonia Caporossi Claudia Zironi – Diradare l’ombra – antologia di critica e testi – 2012-2019.

Altre notizie si possono trovare nel sito claudiazironi.wordpress.com.

 

La silloge Quando si spegne il cielo è il primo assaggio di un libro in formazione che già attendiamo con curiosità, vista la densità e la capacità di coinvolgimento di questa serie di venticinque poesie sulla disanima dell’essere ‘altro’, sulla ricerca degli ingredienti necessari per essere altro. Sono poesie che hanno la forma e la forza di una meditazione e di una concentrazione dentro il proprio stare, ma che rivelano l’insorgenza di un ‘tu’ mai presente, forse non esistente, forse esistito, ipotizzato forse, come nella poesia:

 

Mio caro,

così tanto manchi

dopo non esserci mai stato, non avermi mai amato

non avermi donato alcun fiore né dedicato versi e sogni.

Così tanto manchi nei ricordi di ciò che non abbiamo fatto insieme.

Che bei cieli! avremmo potuto vedere, che baci dolci scambiarci

quanto ridere e quanto piangere in una vita intera.

Mancano con te i saluti del mattino, le parole

rubate in chat allo sperpero delle ore, le sorprese

per i compleanni, la mostra di Chagall, il cinema

le foto in bianco e nero, un concerto d’organo

i piccoli litigi da concludere nel letto.

Manca il tuo nome soprattutto.

Sai con quale passione, con quanta dedizione

avrei potuto mille e mille volte pronunciarlo?

Così ti saluto

con un abbraccio che dice la distanza, mia luce

di dicembre, mia luna indifferente, strada

percorsa da ubriaca mentre due giovani felici

raccoglievano foglie rosse dal selciato.

Sempre tua, a occhi chiusi

fino alla prossima esistenza

 

La mancanza, le mancanze in generale, a volte quelle definitive come possono esserlo i lutti, sono come cartine al tornasole per testare se nel processo dell’accumulo delle perdite si riesca a diventare immuni al dolore e se una rinascita sia in qualche modo possibile e auspicabile, e quali siano le cose necessarie e le strategie da adottare per riamare. Nelle poesie questo chiedersi continuo emerge come un processo organizzato, razionale, di scelte forti e opportune che però si intreccia ad una necessità di momenti casuali, che sappiano spalancare l’inaspettato in un ‘nostro nuovo tempo passato’

 

Nella conta dei lutti

amico mio

tu che sei di tanto avanti, dimmi

si diventa immuni dal dolore?

O i dolori si sommano in un cuore

sempre più gonfio e crepato, invecchiato

prossimo all’esplosione. Lo rende spento

tanto dolore, il cuore, piccolo e duro

come un sassolino di cava, opaco

un grumo immobile, nero. Dimmi

o se il dolore invece lo fa leggero

e trasparente, e il cuore vola via

lasciandoci soli.

 

*

 

Sarebbe bello ricominciare, io e te

ma proprio dall’inizio, da prima che

da prima dei se, da prima

che le foglie di due anni fa cadessero e

si disfacessero in un fango dorato che fa da specchio

ai pochi uccelli rimasti dalla migrazione, da prima che

non ci conoscessimo e non sapessimo che non ci saremmo

amati, da prima che il tuo amico ti lasciasse solo

una sera in cui avevi proprio bisogno di farti una bevuta al pub

da prima che io nascessi, che fossi concepita, che fossi solo

immaginata, da prima che nascessi tu, come una promessa

di eterna estate, da prima che le api e che il miele e che i fiori

da prima che i vulcani soli

abitassero il pianeta, da prima che dal caos

emergesse la luce. Sarebbe bello ricominciare

immaginarci differenti, sorridere al pensiero

di vederci, di nulla chiedere e insieme andare

verso un quieto viale del parco a cercare

le nate margherite.

 

*

 

Di cosa hai bisogno – mi chiedevi. Forse di un’intera

vita? Una vita splendida e giusta. Forse di un corpo

nuovo, appena nato, di una mente brillante, di un talento

che lasci tutti senza fiato. Di cosa hai bisogno? – mi dicevi.

Di dimenticare? Di tanto futuro, di un altro padre o

della vista bella del mare. Di riempire gli occhi

di sorrisi e di bambini, di parlare, di scoprire

un riccio timido tra l’erba, una margherita colorata.

O forse hai bisogno di un mio sguardo, di una carezza?

Di uno di quei baci che fermano la pioggia, intenso

come una caduta, lungo come una guerra, improvviso

come il momento in cui ci si innamora.

 

*

 

Luminosissimo com’è, a Ottobre

il pavimento bianco del secondo piano

dell’ospedale. Potrebbe piovere giù

tutto questo linoleum, lucidare

i corridoi, la sala parto, l’obitorio.

Nemmeno il sangue è rosso, i resti

sono sigillati, non c’è traccia di umano.

Si prescrive un intervento, una torsione

un’amputazione con richiesta di firma di consenso

nei dieci minuti tra il cambio turno e il primo

dei caffè. Mi chiedo di tutti, se fuori

si rimanga abili all’amore.

 

In queste poesie a parer mio si ritrova stemperata e addolcita la scabra intensità del ‘Biglietto lasciato prima di non andare via’ di Caproni assieme al ricercare i desideri, i programmi o i proclami, le risposte e le possibili soluzioni allo ‘stare’ e al sentirsi ‘altro’ che richiamano l’irrequietezza del ‘Trionfo del Tempo’ di Algernon Swinburne, ma gestiti con minore secchezza e con scelte che sottintendono soluzioni e sogni attorti come un nodo di Gordio. Forse come baci conchiusi in un periodo ipotetico della irrealtà.

 

Forse ti ho detto ti amo come un dono

quel giorno che lavoro non ce n’era

la luna non era spuntata tra le nuvole e il sale

era solo un sedimento di te. L’ho detto

come fosse un pensiero, una buona intenzione

un gesto di grazia, un saluto. Forse avresti potuto

sorridere o riderne, forte, uscire di casa, camminare

aspettare un momento casuale, avresti forse potuto

rispondere e aprire tutta una vita davanti.

 

E come lo diremo? Come potremo dire ancora, nonostante tutto? Si tratterà di un linguaggio ‘altro’ pure lui, di pietre o vento, il tacere di una statua sommersa che parla solo con la sua presenza, ma che sia un linguaggio che ci liberi anche del nostro doppio stare in noi stessi.

 

 

Libera nos a malo. Libere

siamo, libere, dalla carne

e dall’anima. Libere dai suoni

dai canti e dalle voci, la libertà

dell’ombra e quella della stella e

il nero conosciamo, né sogni

né fantasmi. Tutto avvolgiamo

– le belle tenebre profonde –

la notte tutta e l’universo intero

senza che nulla veramente muti.

 

*

 

E se fossero i pensieri delle pietre

a fare il vento?

Se una vela, un riflesso, uno specchio

fossero il lago, se avesse moto proprio

una statua sommersa, lentissimo

fuori dalla nostra percezione? e

se fosse davvero la morte ciò che serve.

 

Si attraversa la silloge portati in questa onda di dilemmi, trascinati ma anche a volte cullati e coccolati. Nelle sicurezze proclamate ma anche nelle fragilità e nei disastri osservati lucidamente. E il dasein di Zironi brilla in tutto questo, non elimina nulla e non salva nulla.

 

 

So quel che c’è da sapere, ore e ore

di parole, anni di inutili dati

ricordi miei importanti svaniti

per lasciare posto a memorie ininfluenti.

So più di quel che c’è da sapere di ciò

che non mi importa conoscere, che vorrei

non avere mai sentito, che non posso

cancellare, nemmeno se chiudo gli occhi

nemmeno quando si spegne il cielo.

 

 

 

Claudia Zironi

bolognese, opera dal 2012 nel mondo della diffusione culturale con la fanzine Versante Ripido (www.versanteripido.it) dedicata alla poesia della quale è uno dei fondatori. Versante ripido nel 2018 è stata anche rivista cartacea quadrimestrale con l’editore Terra d’ulivi di Lecce e la direzione di Stefano Iori. Nel 2017 Versante ripido si è costituita in associazione culturale e Claudia Zironi ne è Presidente.