Covid 19 e letteratura

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Stare a casa per difendersi e anche per riflettere

di Giovanni Graziano Manca

 

Mi piace, nel pensare e vivere il clima che respiriamo in questi giorni, parafrasare il titolo di un interessante volume sul cinema del regista greco Yorgos Lanthimos letto di recente. Una “anestesia di solitudine” viene sperimentata da molte delle persone che si trovano costrette in casa; le più responsabili e sensibili tra loro si tormentano, come è normale che sia, per questa improvvisa e coartata interruzione delle consuetudini consolidate cui sono aduse e per l’affievolimento delle relazioni umane. Eppure, come è giusto, resistono, mi si perdoni il paragone con luoghi che rievocano la guerra, asserragliati in trincea. Anestetizzano la solitudine che consegue allo stare chiusi in casa. Lo fanno non cancellando parzialmente o totalmente qualsiasi tipo di sensibilità verso il prossimo o verso il dolore provato ma riflettendo profondamente. L’uomo nel suo complesso, l’amicizia, gli affetti, la solidarietà, le compagnie e la solitudine, e la percezione di ogni altra manifestazione del nostro essere umani sembrano essere cambiati, in questi giorni di grande tensione, di disagio e di smarrimento.

Chiudersi in casa per difendersi dal virus può aiutare a riflettere sul fatto che l’Occidente si trova a un bivio? Siamo come ci hanno descritti Gogol e Balzac? Avidi, violenti, ipocriti, ignavi e indifferenti, sciocchi che si compiacciono stupidamente di sé, millantatori ed egoisti? Thomas Hobbes, Max Stirner, Emil Cioran hanno visto giusto sulla natura dell’uomo? Il loro pessimismo era giustificato? Continueremo a essere irresponsabili negatori di ciò che ogni giorno vediamo accadere con i nostri occhi (guerre in atto e graduale ma inesorabile distruzione delle risorse naturali) oppure avremo la forza di ridefinire tutto in modo che ogni cosa potrà essere diversa e migliore? La pandemia e le restrizioni, in questo senso, ci serviranno da lezione? Nell’opera letteraria più citata in questi giorni difficili, La peste, Camus scrive: «Quando scoppia una guerra, la gente dice: “Non durerà, è cosa troppo stupida”. E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare. La stupidaggine insiste sempre, ce ne si accorgerebbe se non si pensasse sempre a se stessi». E sull’ambiente, uno dei grandi scrittori statunitensi del nostro tempo, Jonathan Franzen, sostiene: «Temo che abbiamo già messo in moto la sua distruzione inarrestabile, immettendo il carbonio nell’atmosfera. Questa è l’immensa tristezza con cui viviamo oggi. Solo che non è possibile per un individuo, e certamente per un semplice scrittore, fare la differenza a livello generale» E ancora: «Ricordo che su di me fecero grande impressione le storie delle foreste antiche lette nei libri di C. S. Lewis e di Tolkien. Mi diedero il senso che il mondo naturale fosse ancora più grande di quello umano, nella vitalità e nella ricchezza, e tuttavia così vulnerabile alla violenza umana».

In politica, sia a livello nazionale che regionale, come al solito tra governanti e oppositori si registrano gravi disaccordi. Si sa, non si fa mai veramente fronte comune, contro le emergenze. Le accuse fioccano, tra le diverse fazioni, ma le contrapposizioni feroci certo non giovano a una situazione sanitaria generale di per sé già piuttosto critica e non favoriscono il ritorno della serenità tra le persone! In proposito Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi: «S’era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere, unte muraglie, porte d’edifizi pubblici, usci di case, martelli. Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca; e, come accade più che mai, quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva l’effetto del vedere. Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire e, come osservò acutamente, a questo stesso proposito, un uomo d’ingegno, le piace più d’attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi. Un veleno squisito, istantaneo, penetrantissimo, eran parole più che bastanti a spiegar la violenza, e tutti gli accidenti più oscuri e disordinati del morbo». E ancora Camus, a proposito della sciagurata mancanza di consapevolezza circa la gravità della situazione, da parte della gente: «I nostri concittadini non erano più colpevoli d’altri, dimenticavano di essere modesti, e pensavano che tutto era ancora possibile per loro, il che supponeva impossibili i flagelli. Continuavano a concludere affari e a preparare viaggi, avevano delle opinioni. Come avrebbero pensato alla peste, che sopprime il futuro, i mutamenti di luogo e le discussioni? Essi si credevano liberi, e nessuno sarà mai libero sino a tanto che ci saranno i flagelli».

In letteratura la peste è stata spesso utilizzata come metafora morale e sociale. Di essa, oltre a Camus e Manzoni, hanno parlato Lucrezio, Tucidide, Sofocle, Boccaccio, e anche Gabriel Garcia Marquez nel suo capolavoro Cent’anni di solitudine e, naturalmente, in L’amore ai tempi del colera. La pandemia di questi giorni, peraltro, ha scatenato la creatività di molti e il binomio peste-letteratura anche in passato ha ispirato giornalisti e scrittori. Moltissimi gli articoli pubblicati su quest’argomento che senza dubbio suscita grande interesse.

Non serve una approfondita analisi di ciò che è stata la peste nella storia della letteratura. Le lezioni della storia e quelle dei grandi pensatori e letterati quasi sempre restano inascoltate. In questi giorni, invece, più necessaria che mai appare la riflessione profonda di ognuno su ciò che di positivo tutti possiamo fare per cercare di allontanare l’umanità dall’orlo del baratro.