Dieci matite per Trieste, volume secondo

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Sono in realtà dodici, per una lodevole iniziativa editoriale

di Anna Calonico

 

Si sa, quando un’idea funziona, bisogna insistere, e così è arrivato in libreria il secondo volume di Dieci matite per Trieste, (Hammerle Editori e Stampatori, Trieste, aprile 2017, pp. 135, € 10,00) un coraggioso progetto della Hammerle editore che, unendo giovani e meno giovani appassionati fumettisti ha creato un insieme di storie di vario tipo che hanno come sfondo la città di Trieste. Il tutto è stato possibile grazie all’incontro di Zivorad Zico Misic e alcuni altri insegnanti e allievi dell’Accademia del Fumetto di Trieste, alcuni più preparati e già affermati, altri alle prime armi, magari esordienti con una loro storia proprio su questo libro.

Questo, soprattutto, è il pregio di questa opera: l’aver dato voce e visibilità anche a chi artista ancora non lo è; a chi è ancora molto giovane ed inesperto e cerca il modo di crescere nella sua passione magari come professionista; a chi ha bisogno di misurarsi con qualcuno più competente e con un primo pubblico; a chi cerca di capire come proseguire nel percorso della sua vita e del suo lavoro.

Le “matite” che hanno creato gli episodi del secondo volume sono in realtà dodici, anche se due storie sono state raccontate a quattro mani e Michele Colucci ha firmato tre brevi differenti vicende. Di questi dodici autori, cinque di loro erano già apparsi nel primo libro: il già citato Colucci, Dixio, Vesna Pavic, Francesco Zardini e naturalmente Zico Misic. Francesca Bruno, Federico Gabrielli, Giovanni Natale, Eliana Napolitano, Andrea Kurtz Orlandi, Dantes̃ e Ruben Rossi sono gli altri che presentano la loro fantasia e la loro bravura su queste pagine. Alcuni di loro, come Misic, Vesna Pavic, Federico Gabrielli, Michele Colucci, Debora Stanich, Eliana Napolitano e Lino Monaco, hanno già collaborato con l’editrice Hammerle nei volumi di Trieste rosso sangue, altra storia a fumetti ambientata nel capoluogo giuliano, edita nel 2015 in forma bimestrale tra marzo e dicembre.

Altro punto a favore dell’editore in genere e di Dieci matite per Trieste in particolare, è anche questo: il voler insistere nella promozione della città, il tentativo, a mio parere ottimamente riuscito, di mettere in mostra alcuni scorci, alcuni monumenti, alcune caratteristiche, alcuni momenti storici. Persino alcune macchiette, alcune filastrocche e alcuni modi di dire. Un testo che nella sua complessità è un inno a Trieste, con tutte quelle storie più o meno realistiche o fantasiose, divertenti o cupe, di ambientazione noir o storica, o persino favolistica. Trieste diventa la protagonista di ogni pagina: grandiosa quando una matita disegna abilmente piazza Unità e il Molo Audace (Il killer degli scacchi di Gabrielli e Natale), il faro della Vittoria (Superitaliano di Trieste di Dixio e Dantes̃) il castello di San Giusto (Epitaffio, di Ruben Rossi); leggendaria e lontana quando ne viene messo in luce un personaggio o un momento storico (mossa coraggiosa quella di Francesca Bruno, che in Sogni sul golfo parte con immagini oniriche a sfondo nero per poi dare vita ad un concretissimo Franco Basaglia e a Marco Cavallo); impossibile ma divertente, quando viene immaginata nel 2041 da Vesna Pavic (Le disavventure di Nella); oppure futuristica e inquietante (quella di Kurtz Orlandi in Basta); o, ancora, che strizza l’occhio ai supereroi (con Eliana Napolitano in Viaggio al centro del mondo). Trieste, sempre Trieste, protagonista indiscussa delle storie e della vita mondiale: “Trieste, perla marittima dai gloriosi fasti, a metà strada tra un ameno paesino bucolico e una futuristica metropoli, porto strategico nel cuore del Mediterraneo; terra multietnica da sempre crocevia di arte, commerci e cultura… sede del Pedocin”. Anche presa in giro, bonariamente, per dimostrare il morbin tipico dei suoi abitanti.

Dire che una storia spicca sulle altre è difficile, perché ogni autore vi ha messo qualcosa di diverso, come genere, come stile. Gli argomenti trattati sono molti, e tutti differenti: Colucci gioca su episodi brevi, battute fugaci, lasciando però anche un suo messaggio positivo: la vicinanza generazionale tra nonni e nipoti; Francesca Bruno unisce l’impegno della miglior storia triestina, quella dell’apertura dei manicomi, con la fantasia e i manga, dando alla sua protagonista due occhioni così grandi da far invidia a tutti i personaggi femminili giapponesi, da Candy Candy in poi. Ma sono miscugli stilistici che non stonano affatto e anzi aggiungono fascino ad ogni pagina: Ruben Rossi, nel suo Epitaffio, porta un soldato a confessarsi e ricorda vagamente Fratelli in armi, quando anche i protagonisti dell’albo a fumetti di Mario Cerne (per la Twilight Comics, nel 2005, con disegni di Enrico Cavallari, Giuliano Tamburlini, Davide Pascutti, Andrea Longo-Zuretti e Misic) cercavano di capire il senso della loro vita: “Per molto tempo ci avete raccontato la verità sulla morte… se fossimo solo carne destinata ad estinguersi?” e ancora: “Sei arrivato qui col pensiero, perché anelavi spiegazioni. Hai dato la tua vita per noi, per un’idea che forse non ti appartiene, per una patria che forse non senti tua. Cosa ne sarà del tuo sacrificio? E del tuo ricordo?” Solo la morte, dicono le ultime tre vignette. Di guerra e morte parla anche la storia finale, quella di Zardini, Uomini paralleli, che unisce il destino di due famiglie, una bolognese e una goriziana, nello stesso lutto, per poi farle ritrovare, orbate dei figli caduti in guerra, a Trieste. Originale ed eloquente la scelta di dividere ogni vignetta in due, per far vedere l’universalità delle brutte esperienze, e infine riunire i suoi personaggi alla fine, in una piazza Unità incrocio di tanti mondi e tante storie.

Molto si potrebbe dire su Come un refolo de bora, una delle storie più lunghe del volume, firmata da Zivorad Zico Misic e Mario Cerne come aiuto testi. È un racconto che parla di arte e lavoro ma anche di vita: un giornalista ed un artista si ritrovano a parlare del passato, con nostalgia da parte di uno, con scetticismo e un pizzico di invidia da parte dell’altro. Per chi lo ha seguito anche nei volumi di Trieste rosso sangue, Zico è una conferma: conferma l’ambientazione noir, conferma i disegni tanto particolareggiati da riconoscere ogni via di Trieste, conferma gli sfondi neri (che distinguono la storia del passato da quella presente, con sfondi chiari), conferma il suo personaggio femminile, una ragazza alta, bellissima, sensuale, dalla lunga capigliatura mora e un carattere di ferro. La classe non è acqua, e nelle sue scene il lettore può trovarci di tutto: resta affascinato dalle curve e dal viso di Mejra, sorride per il gradasso grassoccio che viene steso dalla donna, si sente vicino al giovane inesperto che ancora non riesce a farsi strada nella vita (“un pivello, fresco di diploma all’Accademia delle Belle Arti e ancora alla ricerca della mia strada…”), prova pena ed empatia per la vita triste della protagonista (ancora la guerra, questa volta a Sarajevo, che “cambia tutto, proprio tutto”), rimane con l’amaro in bocca per il finale, troppo vicino alla vita vera che non va mai come si vorrebbe: la ragazza di una notte, mai scordata, arrivata e fuggita come un refolo di bora che, nei disegni finali, spazza tutta la città, da San Giusto alle rive, sui versi di una poesia di Maria Trevisan che riecheggia vagamente l’evento appena narrato: “Bora nera, bora scura e un freddo da paura. Nell’amore che mi manca questa notte si fa bianca. Ma ti ho visto? Pure c’eri, sempre cerco, oggi, ieri. Bora scura, bora nera, forse un sogno che si avvera.”