Frasi fatte, e pure strafatte

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La pigrizia mentale del giornalismo, i vocaboli storpiati, gli anglicismi

di Roberto Curci

 

Quando, giovincello, cominciai a scribacchiare qualcosa sul quotidiano locale, il caposervizio che all’epoca faceva da ottima nave-scuola (razza frattanto estinta) mi mise in guardia dalle frasi fatte. “Non scrivere mai, per favore, Giove Pluvio imperversa – mi disse -, e neppure Ma andiamo con ordine. E men che meno, ti prego, Colpo di coda dell’inverno…”.

È passato oltre mezzo secolo e puntualmente, indefettibilmente, come sempre in aprile, mi son ritrovato pure quest’anno a leggere il titolo COLPO DI CODA DELL’INVERNO. Tale e quale. Che dire? La tipica frettolosità del redattore titolista, che scavalca le generazioni? La tentazione della frase memorizzata nel subconscio? O non piuttosto una pigrizia mentale che Oblomov se la sognava?

Ma questa è la dura lex del giornalista, almeno finché i giornali sopravvivono (e non è detto). Frasi fatte, anzi strafatte. Parole, termini, locuzioni immarcescibili. Di un’ardita minigonna o di una generosa scollatura, ma anche – che so? – di un magnifico panorama o, indifferentemente, di un turbolento finale di partita di basket si scriverà sempre che è mozzafiato (beh, in verità, il finale di partita potrebbe anche essere al cardiopalmo. Da cui il dubbio: cardiopalmo o cardiopalma? Verificare).

E di qualsiasi fatto o personaggio vincente quanto a popolarità, in qualsiasi campo – dalla moda all’editoria, dallo spettacolo alla minima vita vissuta – – scriverà infallibilmente, in pieno secolo XXI, che è il più gettonato, se non gettonatissimo. Mentre invece noi, vecchioni, ben sappiamo che i gettoni, per il telefono a cabina o per il flipper o per il juke-box, sono spariti dal Pleistocene, e che, a chiedere a un ragazzo d’oggi che cosa siano, si rischia di sentirsi rispondere: “Come no? I gettoni di presenza che si beccano i nostri [censura] politici…”.

Oblomov, insomma, vince sempre. Si vedano i “verbi da titolo”, prestati dalla politica (appunto) allo sport, o viceversa. Si blinda, si frena, si accelera, si asfalta, si tira dritto, oppure ci si smarca, e può anche succedere di gelare un avversario (rivale, nemico, concorrente) semplicemente contestando le scempiaggini che ha detto o fatto, ovvero che si accinge a dire o a fare.

Ma quel che infastidisce di più è l’ignoranza lessicale che sprizza in ogni dove, perfino nei libri dal marchio editoriale illustre. I libri, appunto: se grossi così, di 700-800 pagine e passa, nelle pur dotte recensioni risulteranno poderosi, e giammai ponderosi. E il taldeitali, intervistato dal cronista ignorante, continuerà a schernirsi anziché a schermirsi, com’era sua timida intenzione. E si continuerà a scrivere avvallare anziché avallare, abbruttimento anziché abbrutimento, oppure a destra e a manca anziché a dritta e a manca. Eccetera eccetera eccetera.

Facciamocene una ragione, direte voi: la scuola – si sa – è un tantino collassata, oggi più di ieri e meno di domani. E, in fondo, non si pretende mica di forgiare (occhio: francesismo!) letterati della Crusca o pedanti compilatori della Treccani.

Giusto. Ma, proprio riguardo a Treccani, il suo continuo (pedante se vogliamo) aggiornamento dei neologismi invalsi non ha potuto non registrare l’impennata di “parole nuove”, o di nuova accezione, provocata dall’abominevole pandemia. Con ciò mandando al macero, si spera, un altro aggettivo troppo scioccamente dilagato negli anni più recenti: virale (tocca ferro!).

Così, ecco i bravi lessicomani della Treccani intenti a schedare parole come isolamento e assembramento, contenimento e distanziamento, asintomaticità e letalità, curva epidemica, ripartenza e financo zoonosi. Bravi davvero: riuscissero a sanificarci anche dalla botta di stupidi lemmi anglofili, invalsi per l’endemica pigrizia mentale di cui alle prime righe (lockdown, smart working, droplet, termoscanner…).

(A proposito. Siccome anche nelle circostanze più tragiche i begli spiriti non demordono, ce n’è uno che ha proposto un ritocco al terzo dei Dieci Comandamenti. Ora suonerebbe così: “Ricordati di sanificare le feste”. Non si sa mai).