Giovannesi e Côté i migliori di Berlino 69

| | |

di Alan Viezzoli

 

In un’edizione del Festival del Cinema di Berlino che ha visto solo 16 film in concorso, i due titoli che sicuramente risaltano maggiormente e che avrebbero meritato un riconoscimento migliore da parte della giuria sono La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi e Ghost Town Anthology di Denis Côté.

Nonostante abbia vinto l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura, è difficile non pensare che La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi fosse il film migliore tra i titoli in concorso. La storia è quella di Nicola e i suoi amici, un piccolo gruppetto di quindicenni che abitano nel rione Sanità di Napoli. Dopo essere entrati nel giro della malavita spacciando droga, i ragazzi approfittano del vuoto che si è creato nel quartiere in seguito all’arresto del boss locale e decidono di prendere il comando della zona. Tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano e ispirato da fatti realmente accaduti, il film ci mostra uno spaccato della criminalità napoletana che, come ha ammesso lo stesso Saviano in conferenza stampa, fino a pochi anni fa sarebbe stato assolutamente inimmaginabile. Giovannesi, da sempre attento alla rappresentazione dei giovani sullo schermo, e proseguendo un discorso sulla criminalità minorile che aveva già cominciato con Fiore, mette in scena perfettamente la perdita dell’innocenza dei sei protagonisti e, in particolare, quella di Nicola. L’incoscienza della “baby gang”, ma anche la caparbietà nel mostrarsi superiori ai “grandi”, forse anche forti di tanta criminalità mostrata nei media negli ultimi tempi (che però Giovannesi non criminalizza mai, anche quando fa giocare il boss Don Vittorio ai videogiochi), è portata sullo schermo con lucidità e senza mai giudicare o fare la morale. Un ottimo film che fotografa benissimo una generazione e che funziona su più livelli, grazie anche a una sceneggiatura di ferro e all’eccezionale interpretazione dei giovani attori.

Anche Ghost Town Anthology, del regista canadese Denis Côté testimonia un’attualità problematica, pur usando toni completamente differenti. Il film si apre con un incidente automobilistico poco chiaro (è una disgrazia o un suicidio?) in cui viene coinvolto un giovane abitante della piccola cittadina di Irénée-les-Neiges, nel Quebec, che conta solo 215 persone. Poco dopo il funerale del ragazzo, dalla nebbia che circonda il villaggio cominciano a palesarsi strane e inquietanti figure. Denis Côté schiera sullo schermo tutti quelli che sono gli stilemi più classici del Cinema horror: la musica tensiva, la nebbia, le figure misteriose che appaiono ma non parlano mai, il clima di paura collettiva… Tutto questo, in realtà Côté lo usa per parlare della progressiva urbanizzazione degli abitanti dei piccoli centri della campagna del Canada – ma la stessa cosa può essere in maniera analoga trasposta in molte altre Nazioni – che stanno lasciando morire i villaggi rendendoli, di fatto, delle città fantasma. Con questa lettura del film, appare estremamente significativo che il film sia stato girato e proiettato in pellicola 16 mm: la scelta di adoperare un supporto ormai considerato obsoleto, se non morto, per raccontare una storia di fantasmi appare infatti estremamente azzeccata nell’ottica generale del racconto.

Due film diversi ma in cui i registi fanno proprio un genere e lo applicano per testimoniare un presente che non va. Sta a noi spettatori capirlo e provare, nel nostro piccolo, a cambiarlo. Perché è anche questo il ruolo del Cinema.