I fiori di Aljoša Curavič

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Pubblicata a Capodistria una raccolta di articoli dell’autore di Umago

di Martina Vocci

 

Strane queste nostre terre di confine, in cui l’esercizio del pensiero plurale diventa di giorno in giorno più difficile. Portami i fiori / Prinesi mi rože di Aljoša Curavić è un invito a non far morire l’idea che riflessione e pensiero sono importanti. L’ autore stesso definisce questa raccolta di editoriali, elzeviri nella tradizione classica del giornalismo, pubblicati in due lingue sui quotidiani La voce del popolo e il Primorske Novice dal 2004 al 2015 “il diario di bordo di un viaggio sottocosta durato dieci anni”. Vi trovano spazio l’attualità – dalla speranza per la mai varata Costituzione Europea a Roma alla disillusione dell’accettazione dell’Altro con la tragica situazione dei migranti sulla rotta balcanica – ma anche la grande arte tra cinema e letteratura, generi che affascinano e dialogano con la cultura di un uomo sensibile che si è laureato in Letteratura italiana Contemporanea a Firenze con una tesi su Scipio Slataper.

La sua è parola coraggiosa di un utopistico umanista che guarda il mondo di frontiera con gli occhi di chi ragiona con la totale padronanza di almeno due – nel caso di Curavić sono tre – cerchi liguistici e vaglia con la lente della diversità ciò che quotidianamente da giornalista, direttore dei programmi italiani di Radio Capodistria, gli capita sotto il naso. Ma non sono i sensi e gli istinti primordiali a prevalere: trionfano nella scrittura, preziosa e raffinata, un’elegia romanza e una nostalgia slava con quel profondo senso di realismo di chi ha saputo fare propria una riflessione attenta sulla frontiera, in cui identità e appartenza diventano parole opache sotto le quali si possono nascondere inghippi e tranelli. Ecco allora che l’idea di diversità come fonte di ricchezza diventa complessa e problematica, un nodo in cui si riflettono le politiche attuali caratterizzate dalla crisi del multiculturalismo, un incipiente nazionalismo di ritorno e le malinconie di un mondo che è ancora “ex “e non ha ancora trovato la propria dimensione per abitare il tempo presente. Il punto di confluenza di questa lunga riflessione che si può cogliere tra tutti gli editoriali che compongono il libro è natualmente l’Io dello scrittore e dell’uomo che a partire dalla “visione soggettiva da telecamera: non vede se stessa ma gli altri e il mondo” come la definisce Danica Petrovič, allora resonsabile delle pagine culturali del Primorske Novice che decise di affidare a Curavic uno spazio nel giornale che diventava quotidiano. E questa sensibilità vale per ogni tema affrontato da Curavić, che in seno alla Comunità Nazionale Italiana si pone come una voce acuta e talvolta critica, uno sguardo che si interroga costantemente sulle vie da percorrere per ritrovare il senso di quell’etica di frontiera che ha rappresentato e rappresenta la ricchezza di una terra caratterizzata dalla diversità. Lo scrittore offre la rara possibilibilità di osservare dinamiche e trame da un punto di vista che allo stesso tempo sta dentro e sta fuori, capacità che è tipica solo di chi, in qualità di rebus anagrafico, ha la lungimiranza al tempo stesso di un’introspezione e di un’acuta osservazione della realtà che conferisce al dire un senso più alto caratterizzato, in un’epoca di flebili certezze, dalla paradossale solidità dell’eterno dubbio di chi interroga con curiosità e senza stereotipi ciò che lo circonda.

 

 

 

 

Aljoša Curavić

Portami i fiori

Prinesi mi rože

Viaggio in un decennio breve

Potovanje v kratko desetletje

Edizioni Libris – Biblioteca Centrale Srečko Vilhar

Capodistria 2016

pp.636 /Euro 23