I fratelli della poesia

| | |

Fabio e Sergio Doplicher, alla ricerca di una sintesi di scienza e humanitas

di Roberto Curci

 

Pare che il dialetto triestino necessiti di un’urgente intervento di respirazione artificiale e magari di defibrillazione, stando alla serie di iniziative ideate da un volonteroso pool di studiosi e istituzioni preoccupato non tanto di un’improbabile estinzione quanto di una lenta eclissi e di un imbastardimento, che comunque nel trita-lessico della parlata quotidiana appare pressoché inevitabile in barba a ogni generoso tentativo di puristica restaurazione.

Nella panoplia di autori dialettali triestini riesumati e onorati nella circostanza, all’insegna sbarazzina di “Dante e compagnia cantante”, fa piacere che non ci si sia scordati di Fabio Doplicher (Trieste 1938 – Torino 2003) e dei suoi tre librini dialettali, El sburto, Viagiar a casa mia e El putel orbo, edito il primo pochi mesi prima della morte, e postumi gli altri due. Tanto più fa piacere in quanto è stato appena pubblicato il terzo volumetto di poesie del suo fratello-quasi gemello, Sergio Doplicher, ancora una volta pudicamente celatosi dietro lo pseudonimo di Sergio Doraldi (lo stesso cognome utilizzato dal padre Antonio, primo traduttore di Strindberg in Italia): La tramortita sua virtù ravviva (Ed. Sinestesie, Avellino, s. i. p.).

L’endecasillabo ripete le ultime parole pronunciate da Beatrice a Matelda nel Paradiso Terrestre, ultimo canto del Purgatorio. Ancora Dante di mezzo, dunque, ma a ben altro livello. E di rimandi danteschi è ricco il raffinato e intimistico poetare di Doplicher-Dorlandi, fitto di evocazioni e suggestioni che traggono spunto da accorate occasioni di vita e sentimento legate a precisi riferimenti geografici (la nativa Trieste, il Molo Audace ghiacciato dalla bora; Roma, la Tiburtina antica; Venezia, il Rio de la Celestia; la Val Padana attraversata in treno…).

La figura di Matelda, spiega l’autore in controcopertina, «viene qui mutuata come allegoria della sola speranza, e laica possibilità di salvezza, della società, del genere umano, la cui virtù è minacciata da tanti mostri reali e virtuali». E la speranza è affidata alla «fiaccola della Cultura, destinata a brillare come unica guida, se mai usciremo dalla nostra preistoria».

Che Doplicher-Dorlandi abbia tutta l’autorità per lanciare in versi sciolti questa sorta di SOS lo dice non solo la sua vocazione poetica, già riversatasi nelle plaquette de Il cassetto dei giocattoli e di Porte per ba, ma – a sorpresa per chi non lo conoscesse – il prestigiosissimo curriculum di scienziato, oggi professore emerito di Fisica Teorica e Matematica all’Università romana della Sapienza: uno studioso che, per sbrigarsela con le quattro parole di Wikipedia, «si occupa principalmente delle fondazioni matematiche della teoria quantistica dei campi e della gravità quantistica».

Anche in questo librarsi tra scienza e humanitas sta il legame strettissimo («una vita intera di un continuo, essenziale appoggiarsi l’uno all’altro») che legò, sia nella giovinezza triestina sia nell’”esilio” romano (dal 1954), Fabio e Sergio Doplicher, di due anni più giovane del fratello. Tra i molti che di Fabio hanno detto e scritto (nomi illustri: Caproni, Jacobbi, Spagnoletti, Ramat, Voghera, Guagnini, Pellegrini), non manca chi – Roberto De Denaro – rilevò, in un convegno tenutosi a Roma nel decennale della scomparsa, proprio quella che definì l’«idea forte» di Doplicher: «la necessità di un raccordo, di un superamento fra scienze umane e scienze matematiche e fisiche, l’idea di una nuova scienza tout court, che apra nuovi confini anche alla parola». Esattamente l’«idea forte» di suo fratello Sergio, autore oltre che d’una quantità di opere strettamente scientifiche di un fondamentale Mondo quantistico e Umanesimo (Carocci, 2018, 18 euro), illuminante del suo sincretismo e di un’armonica visione che ai versi di Dante (e ai suoi) sposa la riflessione sui quanti e sullo spazio-tempo.

L’intervento di De Denaro è rintracciabile nel volume La poesia e i pensieri. L’opera di Fabio Doplicher un decennio dopo (Edicampus, 2013, 19 euro), che raccoglie i frutti di una ricognizione a più voci sulla multiforme attività svolta da Fabio, fin dall’infanzia, a livello poetico, narrativo e drammaturgico. “Fin dall’infanzia”  è detto non a caso, dato che nello scritto biografico inserito in appendice il fratello Sergio testimonia della sorprendente precocità di Fabio: «Mio fratello scrisse la sua prima poesia pubblicata all’età di sei anni: fu pubblicata su un giornale locale a Trieste, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale». Particolare curioso: mostrata dal padre orgoglioso ad alcuni amici letterati, la poesia si guadagnò il seguente sarcastico giudizio da Virgilio Giotti: «In fede mia, Saba non scrive niente di meglio».

Già, Saba e i casi della vita. Rientra egli pure nella vicenda umana dei fratelli Doplicher. Fu durante una gita di gruppo a Postumia, nel 1924, che capitò appunto al poeta di presentare ad Antonio Doplicher una giovane che sarebbe poi diventata sua moglie. Si chiamava Giulietta Morpurgo, e Fabio e Sergio sarebbero dunque stati i suoi figlioli.

Altro particolare curioso: Giulietta Morpurgo era una delle commesse della Libreria Antiquaria di Saba, che si era licenziata non sopportando dall’ancor giovane titolare quelle pesanti avances che avrebbero invece indotto addirittura al suicidio le sorelle Margherita e Malvina Frankel. Giulietta era insomma nientemeno che la “Chiaretta” vagheggiata e cantata da Saba in Cose leggere e vaganti e nell’Amorosa spina.

Poesia chiama poesia, si potrebbe dire.

 

 

Sergio Doplicher e

Valeria Rossella (a cura di)

La poesia e i pensieri

L’opera di Fabio Doplicher

un decennio dopo

Edicampus, 2013

  1. 160, euro 19,00