I nuovi 25 bibliotecari e il declino delle biblioteche statali

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la critica alle biblioteche statali è diventata quasi un genere giornalistico

In Italia non sono mai esistite, istituzionalmente, le biblioteche scolastiche

di Marco Menato

 

Spiegare agli studenti del corso di Biblioteconomia e Bibliografia l’organizzazione delle biblioteche in Italia non è facile, ci si avventura in un ginepraio di leggi, regolamenti, stratificazioni storiche, usanze e soprattutto non comprensione della materia bibliotecaria a livello legislativo (e questo è più grave, perchè da qui discende la scarsissima rilevanza che le biblioteche hanno in Italia).

Per esempio: Biblioteca Civica e Biblioteca Statale possono significare o la medesima cosa o due realtà antitetiche e così Biblioteca Universitaria e Biblioteca dell’Università, la prima è pubblica e quindi statale (intendasi amministrata dal Ministero beni culturali) la seconda è riservata a docenti e discenti ed è di proprietà dei singoli Atenei.

Come si può vedere anche solo da questa esemplificazione, la biblioteca in Italia è organizzata non secondo le funzioni che deve svolgere ma secondo la proprietà a cui appartiene: il risultato è una continua confusione (e perciò duplicazione e quindi sperpero di risorse) di ruoli e funzioni, sia da parte dei fruitori che da parte del legislatore e dell’amministratore

Questa confusione, favorita dai massicci tagli finanziari, ha portato all’attuale paralisi e insignificanza del “sistema” bibliotecario italiano, che mai come oggi è stato davvero “sistema”, ossia coordinamento di risorse umane, finanziarie e bibliografiche. E non si cada nel trucco mediatico di questi mesi (purtroppo ben alimentato da Facebook) dei soldi dati alle biblioteche scolastiche: in Italia non sono mai esistite, istituzionalmente, le biblioteche scolastiche. Naturalmente biblioteca scolastica non vuole dire una sala con i libri collocati su una scaffalatura, visto che non è nemmeno prevista la figura del bibliotecario scolastico, cioè di chi dovrebbe occuparsi professionalmente – e non volontaristicamente (quando non si sa come risolvere un problema, si evoca questa magica parola) – di queste biblioteche, che altrove invece sono la punta di diamante di ogni sistema bibliotecario che tale voglia qualificarsi?

Le biblioteche statali sono da una parte l’eredità dell’organizzazione bibliotecaria degli Stati preunitari (dal punto di vista bibliografico è ovviamente la parte più interessante) e dall’altra sono il risultato della vanità o della pochezza di alcuni municipi, che invece di impegnarsi direttamente scaricarono sullo Stato l’obbligo di gestire una biblioteca, in tempi nei quali il sostantivo “programmazione” non era presente nel vocabolario politico-amministrativo.

Per essere più chiari, si prenda l’esempio delle due biblioteche statali del Friuli-Venezia Giulia: la biblioteca di Gorizia nasce nel 1822 con un decreto del governo asburgico, dipendendo tecnicamente da quello Stato, nel 1918 quando si modifica la compagine statuale, non può che transitare nello Stato subentrante, il Regno d’Italia (da questo punto di vista è l’ultima delle biblioteche preunitarie); la Biblioteca statale di Trieste diventa invece “statale”, cioè dipendente del Ministero beni culturali, nel 1975 dopo un ventennio di storia che l’aveva invece qualificata come vera “biblioteca pubblica”, cioè per tutti, questo era il vero senso dell’aggettivo “popolare” con il quale era stata battezzata, in antitesi con la biblioteca Civica “A. Hortis”, che per le raccolte storiche possedute non poteva (e a maggior motivo non potrebbe oggi) essere qualificata “per tutti”, ma solo per “pochi lettori – ricercatori”. In questo modo si vede chiaramente come l’accezione di “Statale” sia radicalmente differente se consideriamo la Statale isontina di Gorizia o la Statale di Trieste (recentemente intitolata a Stelio Crise, l’inventore della “Popolare”, di una biblioteca che tra l’altro non ha nulla a che vedere con la realtà odierna, o almeno che non avrebbe nulla a che vedere…!).

Siccome le parole sono importanti e denotano qualcosa, si consideri l’accezione di “Nazionale” erogata a piccole biblioteche del meridione italiano, solo per sventolare un supposto interesse dello Stato verso quelle zone: si tratta delle Biblioteche Nazionali di Potenza, di Cosenza e di Bari, seppur quest’ultima nata qualche anno prima e con un patrimonio bibliografico maggiormente qualificato. Quanta differenza ci sia fra la Nazionale Marciana di Venezia e la Nazionale di Potenza, lo sa probabilmente anche un inesperto di biblioteche, ma non chi nell’apparato bibliotecario dello Stato propose quel ridicolo battesimo. Non serve proseguire nell’elenco degli errori, giacché la critica alle biblioteche statali è diventata quasi un genere giornalistico. Anche per non cadere in quegli errori, nel 1975 fu fondato il Ministero dei beni culturali, dicendo che doveva essere un ministero atipico, di esperti e non solo di burocrati! È andata a finire in un altro modo: quasi ogni ministro (almeno da quando il Ministero non è stato di serie B o C) ha voluto legare il suo nome a una riforma del ministero, e così c’è stato un vorticoso cambio di intestazioni che ha interessato anche il nome stesso del Ministero, diventato oggi Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT).

Delle molte riforme o modifiche nominalistiche, certamente l’ultima del Ministro Franceschini, quella che ha incentrato tutto sull’autonomia dei Musei, scardinandoli dalle Soprintendenze, e sulla loro redditività (ad esempio scavi di Pompei, Reggia di Caserta, Uffizi, Colosseo), ha assestato un duro colpo alle altre competenze ministeriali, tra le quali ci sono le trentasei biblioteche statali e le undici biblioteche annesse ai monumenti nazionali, il cui funzionamento è più o meno suddiviso fra Ministero e Ordine religioso (qualcuno direbbe un altro regalo al Vaticano, come la questione dell’IMU?).

Il colpo si è sentito benissimo, in fatto di finanziamenti che sono stati dirottati su quel settore (che ovviamente è molto collegato al Turismo, nuova competenza ministeriale) e di personale, da qui il titolo di questo articolo. Dei cinquecento nuovi funzionari da assumere (la cui prima prova selettiva a quiz si terrà quest’estate), solo venticinque sono i bibliotecari. Un numero insignificante, se paragonato appunto alle trentasei biblioteche, di cui due con la qualifica di Nazionali Centrali (con compiti di rilievo internazionale, ma non entro nel merito, anche qui, nominalistico: ci sarebbe molto da osservare criticamente). La scelta, dopo che era stato assicurato un numero doppio, ha provocato subito le dimissioni della componente bibliotecaria del Consiglio superiore dei beni culturali (i professori Mauro Guerrini, Giovanni Solimine, Gino Roncaglia e il direttore dela Nazionale fiorentina, Luca Bellingeri), ma nulla è successo e forse nulla poteva succedere. Infatti è attesa la nomina dei nuovi componenti.

Ma che cosa può succedere? Le biblioteche sono istituzioni che costano, specie le trentasei statali tutte allocate in palazzi storici, bisognosi di continue cure e completamente lontane da quello che deve essere la biblioteca oggi. Sulla stampa è apparsa la notizia della nuova biblioteca pubblica, denominata Dokk1, inaugurata a Aarhus, la seconda città della Danimarca: un altro mondo di fronte alle nostre pericolanti biblioteche, del resto quasi del tutto inutili anche alla ricerca accademica, per orari e regolamenti interni antiquati e per la presenza di un certo tipo di dipendente che non riesce a capire perché mai una persona debba perdere tempo a consultare un libro (in Marciana l’attesa per un libro è di circa mezz’ora, ed è normale!). Su Facebook continua la campagna per la riapertura (ma quando?) della Biblioteca Universitaria di Pisa, fondata nel 1742, e chiusa per motivi di sicurezza: ma se sarà riaperta, con i medesimi regolamenti e spazi non servirà a nulla.

Le biblioteche statali sono diventate oramai “biblioteche archiviali”, come vado scrivendo da tempo: poco differenti, come concezione, dagli Archivi di Stato, biblioteche cioè dove (bene o male) il materiale librario è conservato, stoccato, in attesa di tempi migliori (esiste un progetto nazionale di digitalizzazione, come è successo anni fa per Francia, Germania e Australia?). Prima o dopo bisognerà pure affrontare il problema delle biblioteche che devono essere musealizzate (penso per esempio alle magnifiche tre biblioteche storiche romane: Vallicelliana, Casanatense e Angelica, gioielli architettonici e non solo bibliografici) e di quelle che vanno tenute in vita e semmai riversate in una vera e grande Nazionale, senza inutili doppioni e rivalità (anche qui il tema romano mi è ben presente: Archeologia e Storia dell’Arte, Storia Moderna e Contemporanea, Medica). L’ultima riforma, in questo settore, qualcosa ha fatto, è vero. Per esempio collocando alcune biblioteche statali all’interno dei Poli museali statali: ma non so se sia un caso o una precisa volontà organizzativa.

Non sarà, per le biblioteche un futuro roseo, ma su questo e su altro rimando all’intervista, che insieme a Simone Volpato, ho fatto ad Alfredo Serrai, il massimo studioso di bibliografia che l’Italia abbia: La bibliografia come febbre di conoscenza, Macerata, Biblohaus, 2015. Buona lettura!