La fiera delle menzogne

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Risulta incredibile che, come in ogni campagna elettorale, anche in quella che anticipatamente stiamo vivendo, vecchi giocolieri stanchi ripropongano allo stesso pubblico – altrettanto e più stanco di loro – gli stessi specchietti per le allodole, camuffati da programmi per la prossima legislatura. Come un anziano comico che riesuma antiquate barzellette che non fanno più ridere nessuno, c’è anche stavolta chi, senza arrossire di imbarazzo, favoleggia di pensioni minime a mille euro per tredici mensilità, di protesi dentarie gratuite per gli anziani, di vitalizi alle casalinghe (alle “nostre mamme”). Si tace invece di un milione di posti di lavoro, che sono sostituiti questa volta, in ossequio ad un’aspettativa di interventi ecologici da parte dei cittadini, da un milione di nuovi alberi all’anno. Più tardi, sul filo del silenzio elettorale imposto dalla legge, arriveranno anche le promesse di eliminazione o drastica riduzione delle tasse e dei balzelli più vari, come avvenne per esempio nel 2008 per il bollo di auto e moto che, naturalmente, continuiamo rassegnatamente a pagare ancora oggi, nonostante che chi ne propose allora l’eliminazione avesse poi effettivamente vinto le elezioni e formato un suo Governo.

Con ogni probabilità nessuno è in grado di stabilire quanti elettori abbiano una propensione a credere una volta di più a panzane di tal genere, né di quanti, al contrario, si sentano offesi dall’essere destinatari di così inattendibili messaggi di una propaganda elettorale veramente di sconfortante livello. Fatto sta che anche stavolta, come abbiamo potuto constatare fin dalle prime battute di questa soleggiata campagna elettorale, ci viene elargita la consueta mercanzia di fanfaluche di seconda mano, senza nemmeno il pudore di confezionarla in un pacchetto almeno di un poco più credibile e convincente.

Stavolta, tuttavia, i soliti noti hanno superato se stessi, raccontando inverosimili ricostruzioni di come si è pervenuti allo scioglimento delle Camere prima ancora di buttarsi nell’agone delle loro mirabolanti promesse elettorali. Tre partiti della defunta maggioranza che aveva sostenuto il Governo a cui essi avevano negato la fiducia, forse insospettiti da una certa popolarità di cui, a dare retta ai sondaggi, l’Esecutivo sembrava godere tra gli elettori, si posero immediatamente l’obiettivo di allontanare da sé il sospetto di essere responsabili della crisi che essi stessi avevano in effetti provocato, e della conseguente fine anticipata della legislatura. La soluzione apparve subito, ai loro occhi, la più ovvia: bastava negare l’evidenza e proclamare che il Governo era caduto per opera del principale partito del centro-sinistra che aveva votato la fiducia. Detta così la cosa non quadra, e difatti loro riuscivano certo ad essere più convincenti: nonostante che il voto palese per chiamata nominale e i conseguenti verbali della seduta proclamassero il contrario, l’Esecutivo risultava sfiduciato da chi aveva votato la fiducia, contro la volontà di stabilità da parte di chi invece sulla fiducia s’era astenuto, preferendo non partecipare al voto o uscendo dall’aula del Senato. Anche camuffato sotto abilissimi artifici dialettici, il paradosso evidente della ricostruzione stentava un po’ ad affermarsi come verità inconfutabile, e allora sopravvenne il colpo di genio: il Governo è caduto perché il presidente del Consiglio era stanco: sua quindi, e del tutto personale, la responsabilità della crisi e dello scioglimento delle Camere.

Superato questo risibile ostacolo di una corretta analisi dei fatti, si può procedere con gli slogan e con il consueto armamentario – rosario incluso – a propinare ai cittadini suggestioni taroccate che li istruiscano circa l’opportunità di affidare a una nuova maggioranza le redini dello Stato, in un autunno che si annuncia per molti aspetti tra i più problematici da diversi decenni a questa parte.

Stando ai sondaggi, potrebbe anche essere una donna la nuova inquilina di Palazzo Chigi. Le mie amiche mi perdoneranno se, nel caso specifico, preferirei un ennesimo capo del Governo di genere maschile.