Sui musei provinciali di Gorizia

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UN PARERE (MOLTO) PERSONALE.

di Marco Menato

 

A proposito della futura destinazione dei Musei Provinciali, la stampa e la politica hanno usato spesso la parola “scippo”, facendo credere che alla cessazione dell’Ente Provincia, un altro Ente (in questo caso la Regione matrigna) traslocasse tutto a Trieste, a Udine o chissà dove, lasciando malinconicamente vuoto Palazzo Attems. Naturalmente nulla di tutto questo si potrà mai avverare, se non altro perché non lo permette l’art. 17, intitolato alla “Tutela pertinenziale delle collezioni della Provincia di Gorizia”, della legge regionale n. 2 del 25 febbraio 2016, e il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli ultimi “scippi” o meglio furti di beni culturali, almeno nel mondo occidentale, sono avvenuti con Napoleone e poi con Hitler.

E allora dove sta la verità? È certo che in assenza di indicazioni e progettualità provenienti dai tecnici, la politica occupa subito lo spazio vuoto e spinge l’argomentazione su altri piani, che nulla hanno a che vedere con la realtà scientifica, ma semmai con la realtà delle idee buone per ogni proclama che deve finire sui giornali.

Forse bastava leggere la documentata introduzione storica di Raffaella Sgubin al volume La pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia (Vicenza, Terra Ferma, 2007, nell’anno in cui fu scritta non si pensava certo alla possibile soppressione dell’Ente Provincia) per comprendere che la storia dei Musei Provinciali è strettamente legata a Gorizia e che quindi la logica delle cose avrebbe dovuto traghettare i Musei nella piena proprietà del Comune di Gorizia (certo, se qualche bene fosse stato invece maggiormente legato ad un altro Comune, per motivi storici e/o amministrativi – come è il caso della statua di Massimiliano a Cormons -, si sarebbe potuto procedere a una consegna, temporanea o defintiva, sempreché il Comune richiedente fosse in grado di gestire tecnicamente il bene). Chi dice che i beni appartengono a tutti i Comuni della Provincia, e non solo a Gorizia, dovrebbe conseguentemente sostenere, per esempio, che anche i palazzi delle scuole superiori, frequentati da studenti provenienti da tutta la provincia e non solo di Gorizia, devono essere assegnati in parti uguali ai Comuni e così via… Se si prende questa china, il ragionamento non può che andare a rotoli e non c’è fine al peggio!

E infatti si è scelto di arzigogolare su proprietà e gestione e di percorrere la via di tenere separati i due corni del problema, cioè la proprietà del bene e la sua gestione/valorizzazione. Fra un po’ di anni, dimenticate queste chiacchiere rivendicazionistiche, ci si accorgerà che anche per il più piccolo spostamento o il più minuscolo intervento o la richiesta di un contributo o la partecipazione a un progetto occorre una pletora di carte e di firme e di assensi e di riunioni, così che sarà più facile non fare, che fare.

Se il Comune di Gorizia avesse voluto (ma voleva?) i Musei sarebbero diventati, come capita dappertutto, Musei Civici e nessuno poteva a ragione parlare di scippo ed il passaggio si sarebbe presentato lineare e probabilmente foriero di un approccio più realistico al tanto decantato “sistema museale goriziano”, che non è mai davvero partito. Il citato art. 17 della legge regionale non stabilisce che i Musei debbano diventare regionali, ma afferma soltanto che «la Regione intende salvaguardare e tutelare il legame inscindibile delle collezioni dei Musei provinciali di Gorizia con il territorio di riferimento, a qualunque ente pubblico esse appartengano» e quale modo migliore di tutelare il legame inscindibile con il territorio di riferimento che affidare le collezioni al Comune di Gorizia?

Ma dato che il Comune non si è esposto chiaramente, e ai Musei urge una sistemazione amministrativa, si è optato per una soluzione che non ha paragoni da altre parti e che, alla lunga, porrà più problemi procedurali che scelte scientifiche (per un riassunto e un commento rimando all’articolo del consigliere provinciale Fabio Del Bello sul Piccolo del 14 aprile, le cui conclusioni mi lasciano però molto perplesso). Sulla soluzione definitiva, però, regna ancora un po’ di confusione, ma da quello che compare sulla stampa sembra che si vada verso una proprietà indivisa tra i Comuni di Gorizia e di Monfalcone (e perché escludere Gradisca, sede tra l’altro della Galleria Spazzapan?), con la Regione che, tramite il nuovo Ente regionale per il patrimonio culturale della Regione Autonoma FVG (ERPAC), supporta i costi di gestione e del personale. Una scelta si direbbe salomonica, ma che bloccherà certamente sul nascere ogni serio discorso scientifico-museale che non abbia l’avallo dei rispettivi enti proprietari… alla faccia dell’autonomia e della responsabilizzazione!

Al di là di discorsi giuridico-amministrativi, che sono sempre un po’ fuori dalla realtà culturale, la chiusura della Provincia avrebbe essere l’occasione per un ripensamento del servizio archivistico-bibliografico ora posto all’interno dei Musei Provinciali. Ha ancora senso mantenere separati l’Archivio Provinciale, che è un archivio storico, dall’Archivio di Stato di Gorizia, istituito solo nel 1964, il quale ha il suo naturale fondamento proprio tra le carte dell’Archvio Provinciale? Il medesimo discorso vale per la Biblioteca Provinciale. Anche in questo caso, che non è dei più semplici dal punto di vista scientifico, sarebbe valsa la pena di studiare con attenzione la storia dei singoli fondi e l’andamento delle acquisizioni degli ultimi trent’anni (oltre che il numero dei frequentatori e le spese sostenute per gli acquisti), per tentare di separare le collezioni storiche (similari alle collezioni della Statale e della Civica, fino al 1941 l’Archivio-Biblioteca Provinciale è stato unito alla Statale) da quelle, più recenti, nate a supporto delle attività espositive del Museo, rivolte principalmente ai settori della storia dell’arte, dell’artigianato e della Grande Guerra. La mia idea è che archivio e biblioteca provinciale, uniti da un nesso difficilmente districabile, avrebbero potuto e dovuto essere inserite all’interno della struttura archivistica statale (quindi inseriti nell’Archivio di Stato di Gorizia), lasciando il Museo libero da un vincolo documentario, che richiede molto impegno – in termini di funzionamento tecnico e scientifico – a fronte di scarsa visibilità.