Il mare c’è, ma è là dietro

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Una cortina di ferro sulle Rive (e altre colpevoli amnesie)

di Roberto Curci

 

Finalmente un’ottima notizia! «Si è concluso, e con ottimi risultati, il concorso bandito dal Comune di Trieste per la riqualificazione del lungomare cittadino. Sei vincitori, scelti tra 97 partecipanti di livello internazionale, si sono aggiudicati altrettanti progetti. Proposte ‘allo stesso tempo affascinanti e pragmatiche, concrete e realizzabili’ – così le definisce l’architetto, assessore alla Pianificazione territoriale, Maurizio Bradaschia – delineano il nuovo assetto del fronte mare, destinato a diventare il nuovo centro e, di conseguenza, a trasformare l’intera città».

Poi però l’occhio corre alla data in cui l’ottima notizia fu resa di pubblica ragione: 29/1/2002. Cadono le braccia? Macché!, Trieste ci ha abituati da tempo a questi… come chiamarli?: temporeggiamenti, lambiccamenti, pause di riflessione. Giammai scandalosi ritardi, per carità. Tanto da rileggere quasi con tenerezza quanto ebbe a dire, il 16/2/2020 – sì, pochi mesi fa, diciotto anni dopo – l’esponente di Progetto FVG per una Regione Speciale, Giorgio Cecco: «Nessuna contrarietà alle Rive senza i parcheggi auto, importante però ci sia un piano generale strutturato, incrementando i parcheggi in prossimità o di interscambio». Mirabolante scoperta dell’acqua calda.

Sennonché, a ben vedere, è forse meglio continuare a fare lo slalom tra la ferramenta automobilistica accatastata sulle Rive e a inciampare nei masegni sconnessi che ritrovarsi, oggi, con i sei progetti datati 2002 magicamente attuati. Rileggiamoli, ne vale la pena. Quello del gruppo romano di Franco Zagari intendeva separare il traffico pedonale (cui era concesso di rimanere “in superficie”) da quello veicolare, incanalato in un tunnel sotterraneo che da Palazzo Carciotti sarebbe dovuto riemergere all’altezza dell’ex Pescheria.

Quello del gran designer milanese Mario Bellini proponeva di disegnare un nuovo assetto del “piazzale a mare” (un restyling di Piazza Unità, forse) e di inserire la Stazione Marittima entro «un nuovo volume che ricordi la prua di una nave tesa verso l’acqua». Nell’accurata spartizione al barcellonese Joan Busquets spettava invece l’area della Lanterna, dove si sarebbe creata un’isola collegata attraverso ponti pedonali alla Sacchetta.

A ripensare il Canale del Ponterosso ci aveva pensato lo studio BRT di Amburgo, che prevedeva la realizzazione nientemeno che di un ponte levatoio sulle Rive, all’imbocco appunto del Canale. Mentre il viennese Boris Podrecca si occupava dell’ex Magazzino Vini, con la conservazione dei tre lati verso terra e l’affaccio sul mare aperto attraverso una serie di pilastri, «quasi a simboleggiare una cerniera fra la terra e il mare». Meno male, vien da dire, che almeno questo busillis è già stato risolto, e neppure malaccio. Francamente un altro intervento di Podrecca a Trieste sarebbe stato visto quanto meno con legittimo sospetto, dopo la prova fornita nell’ex Piazza delle Poste, oggi divenuta un possibile sito di pubbliche esecuzioni capitali, per impiccagioni multiple o per annegamento.

«Quieta non movere» verrebbe da pensare. E in fondo è questa, da molti decenni, l’attitudine o la vocazione di Trieste. Continuiamo dunque a goderci la passeggiata a zigzag tra le centinaia di vetture parcheggiate a un metro dal mare e quelle che affannosamente cercano un posticino libero (consta che, in tempi assai migliori, tanti turisti di passaggio, diretti oltre confine ma disposti a passare alcune ore in città, se ne siano ripartiti, imbufaliti per l’impossibilità di mollare da qualche parte il loro veicolo).

Che i “temporeggiamenti” siano inscritti nel Dna triestino, almeno nell’ultimo mezzo secolo, lo confermano altre realtà eternamente in fieri (e non si parli qui del Portovecchio e delle confuse idee sul suo “riuso”, e men che meno del Famoso Tram). Lo confermano i destini sempre incerti di Palazzo Carciotti (da ristrutturare in funzione di garage multipiano, è la nostra modesta proposta: una provocazione, sia chiaro) o di Palazzo Biserini, ex sede di una Biblioteca Civica intitolata ad Attilio Hortis che, ormai di fatto ricollocata nell’edificio inadeguato di via Madonna del Mare, costringe i fruitori ad attese e disagi, prescindendo dall’attuale stato di calamità e paralisi innescato dal maledetto virus.

Conferme, in fondo, dell’assai scarsa considerazione in cui i locali reggitori tengono certi luoghi storicamente e artisticamente rilevanti: la vincolata ma derelitta Rotonda Pancera, che nessuno vuole; l’ex Pescheria, sottoutilizzata e sottratta ai compiti per cui fu ristrutturata; o il palazzone del Tergesteo, storicamente legato a doppio filo a personaggi quali Ferruccio Busoni e Italo Svevo, destinato dagli ideatori (1840, giù di lì) a «un gran numero di eleganti botteghe e una grandiosa caffetteria, al di sopra delle quali verrà eretto un piano di mezzanini, inservienti ad uso di scrittorio e di deposito  per trafficanti e sensali, ed altri individui addetti al commercio e all’industria», e oggi – nella bella, ristrutturata crociera – umiliato e preso in totale ostaggio dai tavoli di un’invasiva pizzeria.

«O tempora, o mores!» per fare un bis di citazione latina (ciceroniana). Che cosa rimane? Beh, rimangono gli albergoni sovradimensionati, nuovi o futuribili, che “cordate” di imprenditori, indigeni o preferibilmente austriaci, si contendono: Palazzo Parisi, Palazzo Kalister, ex Filodrammatico, Palazzo dell’ex Intendenza di Finanza, Palazzo già delle Ferrovie, palazzo fatiscente di via Mazzini, lo stesso Carciotti (chissà)…

Con l’auspicio sincero che tutti si riempiano di torme e torme di forestieri, una volta – quando? – debellato il virus ammazzaturismo. Auguri!