Il profitto e la persona

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Non ne parla quasi nessuno, nonostante sia drammatica la carenza di vaccini e umiliante per i governi europei lo strapotere del cartello delle grandi industrie farmaceutiche, loro controparte in queste attuali affannose fasi. Le grandi imprese che producono i vaccini dispongono esse stesse, autocraticamente, a chi consegnare e a chi no le fiale, che pure dovrebbero costituire un’obbligazione contrattuale cogente, al contrario quotidianamente e unilateralmente disattesa. Ogni giorno, non sapremo mai con precisione in che quantità, molte persone cessano di vivere per queste inadempienze, alle quali sembra si possa opporre al più un flebile lamento, una protesta vibrante e al contempo felpata nei toni.

La via da percorrere, invece, sarebbe un’altra: denunciare come insostenibile la visione liberista del problema che giustifica, oltre ogni ragionevolezza, il principio secondo il quale va mantenuta la proprietà del brevetto di un vaccino. E ciò anche in presenza di una situazione emergenziale di livello planetario, con morti a centinaia di migliaia, tale da giustificare la sussistenza di uno stato di necessità che in ogni paese civile è codificato fin dalle più lontane origini del diritto penale e riassumibile nel broccardo latino «Necessitas non habet legem». Lo stato di necessità non ha legge, anzi diviene esso stesso legge, sovrapponendosi a quella ordinaria.

Non si creda che s’intende qui propugnare una sorta di “esproprio proletario” ai danni del principio di proprietà di un bene immateriale come quello dell’opera d’ingegno: riconoscere a chi è in grado di farlo la possibilità di produrre vaccini su larga scala potrebbe anche essere accompagnata da una compensazione economica da versarsi ai detentori del brevetto. Cosa che del resto è già intervenuta a priori, considerato che, ad esempio, la Banca Centrale Europea erogò un contributo di cento milioni di euro per supportare la sperimentazione del vaccino Pfizer Biontec, mentre la Commissione europea ha acquistato, a sperimentazione ancora in corso, duecento milioni di dosi dalla medesima Casa farmaceutica, oltre a ottanta milioni di dosi da Moderna e ha versato circa 336 milioni di euro per l’acquisto di dosi, sempre a scatola chiusa, ad Astrazeneca, contribuendo quindi alle spese di ricerca e sviluppo del farmaco. (Si consideri che questi dati sono ricavati dal Sole 24 ore, fonte notoriamente confindustriale, non già dal Manifesto. Si veda al link: https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/02/18/vaccini-brevetti-governi/)

Sono stati spesi per sovvenzionare la ricerca delle aziende private, quindi, quattrini dei contribuenti europei, di tutti noi dunque, ed è stata in questo caso applicata una vecchia regola del capitalismo assistito di casa nostra, secondo la quale le poste passive sono socializzate, mentre quelle attive, gli utili, rimangono di esclusiva competenza delle imprese.

La timidezza dei governi a fronteggiare il rapporto con le Case produttrici dei vaccini ha un costo immediato e quotidiano in termini di vite umane – oltre che di dissesti economico-finanziari – ma ne avrà uno ulteriore in prospettiva, quando anche fossimo riusciti ad arginare il virus nei Paesi sviluppati. Tale auspicabile rasserenarsi della situazione attorno a noi sarebbe di breve e incerta durata se non avesse un corrispettivo nel resto del mondo. Se, come attualmente sta accadendo, non venissero distribuiti vaccini nei Paesi poveri non avremo vinto il virus «perché favoriremo l’insorgenza e la diffusione di nuove varianti che potrebbero rendere inutili i nostri vaccini. Nei Paesi ricchi ormai vacciniamo una persona al secondo, in quelli poveri sono ancora lì che aspettano e, di questo passo, ci vorranno due o tre anni. È un fatto epocale, non solo perché è una gravissima discriminazione, ma perché è dannoso dal punto di vista sanitario». Non lo dico io, ma Gino Strada, uno che di situazioni d’emergenza pare che se ne intenda.