Il racconto di sé nelle incisioni di Ottavio Gruber

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Mostra di Ottavio Gruber al Caffè S. Marco di Trieste

di Enzo Santese

 

La recente personale di Ottavio Gruber al Caffè S. Marco conferma una fisionomia artistica ormai pienamente riconoscibile nel territorio variegato dell’incisione dove l’abilità nel disegno, la capacità di trasporlo sulla lastra di zinco, l’idea variabile di un colore che dia corpo all’immagine sono requisiti minimi per un risultato di sicura intensità. Gruber, nato a Isola e residente da decenni nel capoluogo giuliano, li possiede tutti, assieme a un repertorio di opzioni che negli ultimi anni registra molteplici tensioni creative, convogliate tutte nella logica di una figurazione di marcata forza evocativa. La passione per l’arte ha una sua prima sistemazione formativa nel periodo 1980-85 sotto la guida di Gabry Benci, artista raffinata nell’espressione ed efficace nella combinazione tra rigore strategico dell’opera e libertà creativa. È il quinquennio dedicato alla pittura che già rivela come Gruber, pur in motivi tradizionali, sappia far emergere il tratto di una personalità in piena evoluzione e crescita. Ma proprio nello studio della Benci avviene un fatto che poi sarà l’innesco per i futuri cambiamenti; quasi per caso si cimenta in una prima incisione, in cui riproduce le sue mani: è il segno di una folgorazione, le “sue mani” lo portano da allora a dedicarsi quasi esclusivamente proprio all’incisione e a coltivare uno studio appassionato della disciplina, prima alla Scuola di Mirella Schott Sbisà, quindi dal 2000 in poi con Franco Vecchiet, considerato uno dei massimi conoscitori di quest’arte in tutto lo scenario centro-europeo. La rassegna nelle sale del San Marco conta oltre venticinque lavori, molti dei quali abbinati a una lirica con cui è evidente un’assonanza significante. Ottavio Gruber è infatti anche autore di un corposo libro di versi, Colori primari (Ibiskos Editrice Risolo), dove percorre sul filo della memoria alcuni segmenti autobiografici focalizzando nei versi il suo attaccamento alla natia Istria, e alla città di adozione. Sia l’opera poetica che quella grafica si caratterizzano per una decisa tensione emozionale, consegnata a ritmi espressivi diversi, in sintonia con gli stati d’animo che li hanno originati. Pertanto l’identità dell’incisore coesiste con quella del poeta pur appartenendo i due ambiti creativi a slanci e motivazioni talora differenti, nei temi ma anche nella temperatura emozionale della scintilla generativa.

“Delicata / mente” potrebbe essere il filo conduttore di tutta la mostra; l’avverbio contiene infatti due parole-concetti che sono la sintesi rappresentativa del carattere dell’uomo e dell’artista: riservato, incline a un lavoro continuo di introspezione, mite nel rapporto con gli altri, delicato nella proposta di sé, costantemente innamorato dei buoni sentimenti.

Nella mostra le incisioni – soprattutto acqueforti, acquetinte e ceremolli – evidenziano straordinarie convergenze con la poesia; il singolare rapporto di affinità con il maestro, Franco Vecchiet, si rivela nella qualità tecnica, nella capacità di tessere la preziosa filigrana, come se la punta d’acciaio sulla lastra di zinco, anziché un semplice strumento, fosse un organo atto a captare le variabilità degli umori e la vibratilità delle sensazioni. E l’artista lo fa addensando o dilatando il segno in una serie di fraseggi che stabiliscono il corpo delle cose e il volume delle voci nelle presenze dentro le sue opere. In tal modo, con i temi preferiti (paesaggi marini, scorci cittadini, i ritratti, i giochi dei bambini, donne e uomini al lavoro) Gruber disegna una geografia interiore, un rapporto impressionistico con la realtà osservata, che accade in tutta la sua molteplicità e porta alla memoria contributi a volte inattesi, aperture gioiose, oppure aiuta a mettere a fuoco, nell’ampio regesto dei ricordi, la quantità di sofferenze e delusioni patite.