CINEMA: THE SQUARE

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The Square (di Ruben Östlund, Svezia/Danimarca 2017).

di Pierpaolo De Pazzi

 

 

Un film di quelli che non basta che mi restituiscano i soldi del biglietto, voglio anche un giusto risarcimento per danni morali, per aver gettato quasi due ore e mezzo della mia vita, che non ritorneranno mai più, per colpa di questo irritante regista, un saccente che alla fine si mette nel sacco da solo, creando un’opera che, lontanissima dall’arte contemporanea, deride invece sé stessa, senza nessuna profondità, senza mai far venire nemmeno un barlume di sorriso alle labbra, stancando e annoiando a morte il povero spettatore.

Chiederei un risarcimento così alto che Östlund non potrebbe pagare, e sarebbe certo costretto a chiamare in correità la giuria tutta del festival di Cannes, che gli ha tributato la palma d’oro, o almeno Pedro Almodóvar che la presiedeva.

La giuria non potrà nascondersi dietro all’alibi della temporanea incapacità di intendere e di volere, anche se ammetto che c’è qualcosa di malsano nell’idea di mettere delle persone che non si conoscono a lavorare assieme sotto stress, se non sono al servizio di una superiore Giustizia come nei tribunali. Forse è una nuova sindrome che potrebbe trovare posto nella prossima edizione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), una sindrome post fantozziana che impedisce ai giurati di alzarsi e dire «per me è una cagata pazzesca» e così fa prendere decisioni come a Cannes quest’anno, o a Venezia nel 2014, quando si affermò Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson, altro inguardabile film svedese.

A ben pensarci qualcosa unisce i due film, oltre al richiedere una fortissima dose di masochismo allo spettatore, cioè lo sciopero degli sceneggiatori, che scrivono dei quadretti a sé stanti senza unirli con uno straccio di niente che assomigli a uno svolgimento qualsiasi, perché dir trama sarebbe veramente troppo.

Se questo è il cinema svedese, temo che non si sia ancora riaccesa la luce nella notte polare calata alla morte di Ingmar Bergman.