In chiusura di stagione

| | |

di Luigi Cataldi

 

Chamber music e La Società dei concerti hanno da poco concluso le loro stagioni.

La prima ha terminato la serie dei suoi “Cromatismi” (questo il titolo della stagione) l’8 giugno scorso con un bel concerto del pianista Massimilano Ferrati al Teatro Miela di Trieste. Ferrati ha studiato nella sua città, Adria, ha perfezionato i suoi studi con grandi maestri come Paul Badura-Skoda e Sergio Perticaroli (Accademia di Santa Cecilia), si è affermato in numerose competizioni pianistiche internazionali (il premio Rubinstein di Tel Aviv e, fra gli altri, quelli di Monza, Dublino, Calgary, Pretoria), ha un’intensa attività concertistica nazionale e internazionale ed è docente di pianoforte al Conservatorio di Castelfranco Veneto. Al Miela ha eseguito due sonate di Mozart (K310 e K330) e due di Beethoven (Op. 53 “Waldstein” e Op. 81a “Gli Addii”). Ferrati non solo suona, ma canta (come Glenn Gould), danza, recita, batte il tempo coi piedi, si torce, spalanca occhi e bocca, insomma è percorso per tutto il corpo dalla musica che suona. E con tutto il corpo, come farebbe un attore, egli interpreta la parte, non per ostentazione, credo, ma per una sorta di spontanea smania espressiva. Per Ferrati il repertorio eseguito è consolidatissimo (il pianista ha alle spalle una apprezzata incisione delle sonate di Mozart e una lunghissima serie di concerti con programma analogo a quello presentato a Trieste che porta in giro da anni). Egli lo ha affrontato senza abbandonarsi alla routine, ma con il dinamismo che contraddistingue le sue esecuzioni e la vasta gamma di timbri che è in grado di ricavare dal pianoforte. Fortissimi quantomai energici, tempi veloci vorticosi, senza tentennamenti e senza prudenza (anche a costo di lievi incidenti che pur si sono uditi), ma anche parti liriche cristalline in Beethoven. In Mozart impeccabile nella K330 e con un ispirato secondo tempo; aderente alla straordinaria varietà di colori per lo più cupi della K310: il senso drammatico attenuato dall’equilibrio formale nel primo tempo, la lietezza interrotta da profonde e buie risonanze nel secondo tempo, le leggere e volanti alternanze di forte e piano nel terzo. Un’interpretazione sempre originale.

La 90a stagione della Società dei concerti si è conclusa il 13 giugno con l’esibizione di Giuliano Carmignola (violino barocco) e Riccardo Doni (clavicembalo) al Teatro Verdi. Due interpreti del repertorio settecentesco magistrali e apprezzati in tutto il mondo. Pochi possono vantare almeno due vite musicali come Giuliano Carmignola, entrambe di grande successo. La prima da violinista della tradizione romantica, al fianco di Abbado, Maag, Sinopoli e molti altri; la seconda da specialista del suono e del repertorio violinistico barocco, con Marcon, Howgood, Antonini, Pinnok, Brüggen. Altrettanto intensa è la carriera artistica di Riccardo Doni, cembalista e organista apprezzato nel mondo, collaboratore del Giardino Armonico dal 1994, direttore dell’Accademia dell’Annunciata.

I due interpreti, affiatatissimi per le numerose esibizioni insieme dal 2008 ad oggi, hanno eseguito un programma consolidato, intitolato Rigore e fantasia, termini attuali che evocano «armonia e invenzione» di vivaldiana memoria, cioè una scelta di sonate per violino e basso continuo di Corelli, Locatelli, Vivaldi, Porpora, Veracini e Tartini, che si dispongono cronologicamente per tutta la prima metà del Settecento. Carmignola preciso e attento, Doni fantastico accompagnatore. Degni di nota un impeccabile Vivaldi, un sorprendente Porpora. Il tartiniano Trillo del diavolo, ricondotto alle umane forme della terrena sonata, ha concluso l’applauditissima esibizione (ammirevole fra i bis un allegro corelliano volante e leggero).

 

1.

Teatro Verdi

Trieste

Foto di Giovanni Aiello