JOHN RUSKIN E LE PIETRE DI VENEZIA

3JOHN RUSKIN E LE PIETRE DI VENEZIA

di Anna Calonico

Venezia, simile a Tiro per perfezione di bellezza, ma inferiore per durata di dominio, giace ancora dinanzi ai nostri sguardi come era nel periodo finale della sua decadenza: un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all’infuori della sua bellezza, che qualche volta quando ammiriamo il suo languido riflesso nella laguna, rimaniamo incerti quale sia la Città e quale l’ombra. Io vorrei sforzarmi di tracciare le linee di questa immagine, prima che scompaia per sempre e di raccogliere, per quanto posso, il monito che si sprigiona da ogni onda che risuona come un rintocco funebre, quando si frange contro le pietre di Venezia.

Sono parole di John Ruskin (Londra 1819 – Coniston 1900) scrittore, critico d’arte, professore ad Oxford e pittore, poste all’inizio della sua opera più celebre, Le pietre di Venezia, del 1852 (BUR Rizzoli, 2016, trad. di Irene Loffredo e di Paolo Bà). Proprio a Venezia, e proprio a Palazzo Ducale, che Ruskin aveva studiato a fondo e riprodotto in bozzetti, schizzi e acquarelli, è stata aperta al pubblico (ahimè, solo fino al 10 giugno), John Ruskin. Le pietre di Venezia, la prima esposizione italiana su un personaggio essenziale del mondo artistico del XIX secolo, capace di influenzare fortemente i suoi contemporanei con le sue interpretazioni dell’arte, dell’architettura e persino della società civile; sostenitore e amico di J. M. William Turner (alla morte del quale viene addirittura nominato suo esecutore testamentario e cataloga per la National Gallery circa 2000 acquarelli del pittore), ammirato da Tolstoj, da Proust e da Monet, secondo cui nel suo Gli elementi del disegno del 1856 sono contenuti i nove decimi dell’impalcatura teorica dell’Impressionismo.

La mostra, voluta da Gabriella Belli per dare risalto alla città di Venezia e al suo mito, si avvale della scenografia di Pier Luigi Pizzi per porre l’attenzione sull’architettura e la scultura di Venezia dei periodi gotici, bizantini, medievali e anticlassici: i periodi che Ruskin tanto amava e tanto aveva studiato e spiegato nei suoi libri. Curata da Anna Ottani Cavina, con un bel catalogo edito da Marsilio (pp. 219, € 40), è, finalmente, un’esposizione che cerca di dare una visione interdisciplinare dell’artista, esponendo un centinaio di opere realizzate durante tutto l’arco della sua vita, provenienti da Londra (Tate Gallery, British Museum e altri), Lancaster (Ruskin Foundation), Coniston (The Ruskin Museum), Kendal, New York, Oxford e altri, collezioni private comprese; e scelte tra schizzi a penna e acquarelli di paesaggi, natura e architettura: Firenze e la Toscana (Sentiero fra le vigne, San Miniato al Monte), ma anche Napoli (Case di Napoli), o il Vesuvio (Vesuvio in eruzione), o l’Etna (Alba sull’Etna, Etna visto da Taormina) o, soprattutto, ovviamente, Venezia (Il campanile di San Marco, Il muro nord dell’arsenale, Canal Grande, Ca’ Sagredo e Ca’ d’Oro, Ponte dei Pugni a Santa Fosca, Barche nel bacino di San Marco, Barche a vela e molte altre). Il pubblico può ammirare anche i taccuini dell’artista, manoscritti, prime edizioni a stampa e dagherrotipi, che Ruskin apprezzava perché gli consentivano di riprodurre velocemente la realtà di un palazzo o di una parte di città e conservarla. Inoltre, sono presenti anche foto storiche e opere di altri artisti: ritratti di Ruskin eseguiti da W. G. Collingwood (oltre che da Ruskin stesso) e stampe di sue fotografie ad opera di Frederick Hollyer, John McClelland, Sarah Angelina Acland e F. M. Sutcliffe, opere di Turner (Punta della Dogana, Santa Maria della Salute, La piazzetta con la cerimonia dello sposalizio del mare, Campanile di San Marco, Il passo del San Gottardo solo per citarne alcune) accompagnate dalle significative ed entusiaste parole di Ruskin sul pittore, quadri di grandi maestri del 500 e suoi studi dei loro capolavori (di Carpaccio Due donne veneziane, San Giorgio e il drago e la Sant’Orsola che Ruskin identificava con la sua giovanissima Rose La Touche, amata disperatamente e perduta molto presto; di Tintoretto Circoncisione, Miracolo di San Marco, Adorazione dei Magi, Crocifissione; e di Veronese Salomone e la regina di Saba, Presentazione della famiglia Cuccina alla Vergine), e ancora altre opere di altri pittori che con Ruskin hanno incrociato la vita o le idee artistiche.2

Tutto questo per dare una visione quanto più completa possibile di un grande personaggio, tristemente e immeritatamente poco conosciuto: basti pensare che, a fianco della fila interminabile di turisti che vogliono entrare a Palazzo Ducale, l’ingresso per la sola mostra di Ruskin risulta del tutto libero anche in una giornata di sole, e che durante tutta la visita, pur lunga, si incontrano meno di una decina di visitatori. L’esposizione però è davvero interessante e ben studiata per conoscere l’artista che aveva iniziato ad amare l’Italia e in particolare la città lagunare fin dal suo primo viaggio a 16 anni. Ad esso seguirono altre undici permanenze, facilitate dal fatto di essere di famiglia benestante, e quindi libero di dedicarsi alla scrittura, allo studio, al disegno.

Per quanto riguarda i paesaggi e lo studio della natura, nelle sale di Palazzo Ducale si incontrano cieli tersi e annuvolati con le parole di Ruskin come didascalie, a sottolineare come rimanesse affascinato nell’osservare le forme delle nuvole e come insistesse a riprodurne con il colore la consistenza (Effetto di nuvole sulla collina di Coniston, Nuvola ferma sulla collina di Coniston, Studio di nuvole sul lago di Coniston); tramonti (Tramonto a Herne Hill), pleniluni (Plenilunio sulla laguna) e ampi scenari montani (Il Monviso, Tramonto sul monte Pilatus, Col de la Seigne, Bellinzona). E poi conchiglie e foglie: Se sai dipingere una foglia, sai dipingere il mondo. Non bisogna dimenticare che il capitello corinzio era decorato da foglie d’acanto e da altri elementi naturalistici, e difatti accanto a foglie di quercia, di alloro, di larice e a conchiglie e chiocciole si può ammirare un acquarello che riproduce una spirale, particolare di un transetto della cattedrale di Rouen.5

Ma il grande amore di Ruskin era Venezia, città da celebrare e da salvare, città strana e potente dove le onde e i banchi di sabbia si confondono col cielo. Le pietre di Venezia è un inno alla sua bellezza, alla sua originalità, alla sua unicità. L’architettura dei suoi palazzi è vista quasi come l’“architettura” modellata dalla natura nelle montagne, sormontate dai colori del cielo che nella città veneta si riscopre in basso, sul mare. In alcune lettere al padre è palese il suo dolore per i cambiamenti apportati ai palazzi, addirittura per i lavori di ristrutturazione, poiché vedeva il restauro come un’opera di snaturamento, quasi un falso storico. Di Ca’ Foscari, ad esempio, amava ogni più minimo particolare: La sua bellezza sta nelle sue crepe e nelle sue macchie, e disegnarle è impossibile. Da qui l’interesse per la fotografia, che permette di conservare i più minuti dettagli. La fotografa Sarah Quill, che ha pubblicato il libro Ruskin a Venezia (Jaka book ed.) in un saggio nel catalogo spiega il rapporto di Ruskin con i dagherrotipi, fondamentali per poter disegnare perfettamente le facciate dei palazzi, e in mostra, non a caso, ne sono esposti numerosi esemplari e numerose planotipie.