Bruno Paladin a Fiume

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Antologica al Museo Civico del capoluogo istro-quarnerino

di Enzo Santese

 

L’artista ha un rapporto speciale con Trieste, dove più volte è stato invitato al Salone d’Autunno e agli eventi espositivi organizzati dall’Università Popolare. Ora la sua città d’origine, Fiume, gli dedica una corposa rassegna antologica, in occasione della quale Bruno Paladin ha realizzato le grafiche di una preziosa cartella che sarà distribuita durante lo svolgimento della mostra presso il Museo Civico (dal 3 al 31 ottobre).

In attesa che Fiume, città della cultura 2020, attivi tutte le dinamiche che la proietteranno sullo scenario continentale con la qualità dei suoi progetti e proposte, Paladin parte da uno sguardo retrospettivo per un’opera che in qualche modo apre squarci sul passato del capoluogo quarnerino e su quei dettagli “costruisce” il senso della sua appartenenza a queste medesime radici. L’evento offre la possibilità di cogliere in un vasto repertorio di opere gli esiti più significativi, soprattutto dei tempi recenti, di un lungo itinerario di ricerche artistiche molteplici, dalla pittura alla ceramica e all’incisione. Per la cartella l’artista ha rivolto uno sguardo ai tempi di un’industrializzazione molto diversa, poggiante su un entusiasmo imprenditoriale che in qualche modo surrogava l’arretratezza tecnologica; essi sono emblematizzati dalla precisione di meccanismi, che rendevano efficaci (ahimè) ordigni allora all’avanguardia, i siluri che venivano prodotti in una fabbrica del luogo. Ebbene, Paladin ne disattiva la carica bellica per trasformarli in “strumenti d’arte”, che lo impegnano a riprodurre la complessità di meccanismi indagati nelle loro componenti anche minime con puntualità miniaturistica. Nella sua ricerca degli anni recenti l’artista si dedica a una de-costruzione della realtà, che viene poi riproposta nello spazio dell’opera secondo un progetto arbitrario di pura scansione dello spazio, con un’aggregazione dei frammenti di carta o metallo nelle combinazioni più varie e questa “evaporazione” della forma conosciuta alimenta un continuo acquisto dell’immaginario. Peraltro nella cartella grafica edita per la circostanza della rassegna Bruno Paladin torna all’amore per il disegno che sulla pagina dà corpo a un’idea di precisione assoluta; quindi la pubblicazione per tanti versi è occasione speciale, soprattutto perché l’artista approda al Museo civico in questa grande mostra antologica che fa vedere gli snodi di un percorso e di una poetica articolata e ricca di suggestioni. Il tutto avviene alla vigilia di una celebrazione, quella di Fiume città mondiale della cultura che la proietta su un palcoscenico di attenzione internazionale; pertanto l’artista, guardando retrospettivamente la storia del luogo, isola uno dei motivi che vivono sul crinale di una duplice valenza concettuale: l’esame dei progetti, che hanno portato alla produzione dei siluri, gli ha permesso di entrare nella complessità strutturale di quegli ordigni, che in tal modo hanno offerto la possibilità di replicare con il disegno, alla sua maniera, interne anatomie di ingranaggi fatti di delicate connessioni tra elementi che ora – in ognuna delle grafiche – si prospettano all’occhio del visitatore attraverso un oblò, la forma circolare di fondo entro cui si situano. In questa operazione Paladin diserta il colore e la materia – elementi portanti della sua poetica di sempre – per assumere nella gamma del bianco e del nero tutte le modulazioni entro cui si inseriscono tutte le variegazioni “cromatiche” e articolazioni di luce. Grazie a questa grammatica compositiva, con evidente aderenza alle forme reali dei singoli elementi costitutivi (connettori, viti, ruote dentate, pignoni, corone e altro ancora), consente loro di prendere corpo credibile dentro un complesso strutturato non per volontà documentale, ma per criterio di valorizzazione estetica. E nella realizzazione del progetto, fa emergere il talento grafico e la pura vocazione del disegno. Il segno è il perno dominate di una poetica che con le sue preziose tessiture e delicati e incisivi fraseggi sottolinea il rapporto tra gli oggetti “ritratti” e la luce che li avvolge in un’ideale rito purificatorio (erano pur sempre armi d’offesa!). Pertanto è implicito l’augurio a disattivare nel tempo odierno tutto ciò che è stato pensato per offendere e a riconvertirlo invece in esiti asserviti esclusivamente all’arte.

 

 

Dida:

 

1 A : BRUNO PALADIN

2 A: BRUNO PALADIN

Itinerari interrotti rossi

tecnica mista su legno, 2017

3 A: BRUNO PALADIN

Il peso della corona,

tecnica mista e metallo, 1996

4 A: BRUNO PALADIN

Istrian jazz

vetrofusione, 2015.