Juan Octavio Prenz cittadino del mondo

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Nel romanzo Solo gli alberi hanno radici vibra la tensione cosmopolita dello scrittore

di Enzo Santese

 

Abituato dalle vicende del vissuto a respirare ovunque l’aria di casa, Juan Octavio Prenz è intellettuale di raffinata cultura, fondata su contributi provenienti da diverse realtà sociali, etniche, politiche. Nato a Ensenada (La Plata, Argentina) nel 1932 in una famiglia originaria dell’Istria croata, ha insegnato Lingua e Letteratura spagnola nelle Università di Buenos Aires e La Plata fino all’avvento della dittatura; nel 1975 è stato costretto ad abbandonare il paese sudamericano per motivi politici e si è trasferito prima a Belgrado e a Lubiana, infine a Trieste, dove ha continuato l’insegnamento universitario presso il locale ateneo. Questa sintetica mappa degli spostamenti indica un animo pronto a recepire moduli di vita diversi con una capacità di adattarsi ai nuovi ambienti neutralizzando il peso della lontananza e la lacerazione del distacco. Chi è cittadino del mondo è in sintonia con il pensiero di Democrito, secondo il quale “ogni paese della terra è aperto all’uomo saggio: perché la patria dell’uomo virtuoso è l’intero universo” e quindi, se ci sono radici, esse si trovano in ogni dove perché, come afferma Seneca, “la società umana è davvero simile a una volta di pietre, che non cade proprio perché le pietre, opponendosi l’una all’altra, si sostengono a vicenda e, quindi, sorreggono la volta”. Tale concetto sembra innervare il pensiero di Juan Octavio Prenz, espresso in maniera chiara nel suo terzo romanzo, Solo gli alberi hanno radici, uscito in queste settimane presso la casa editrice “La nave di Teseo”.

La straordinaria qualità del narratore è emersa già nelle opere precedenti, Favola di Innocenzo Onesto decapitato (Marsilio, Venezia 2001) e Il signor Kreck (Diabasis, Parma, 2014). Il primo, segnalatomi quasi per caso da un amico, è stato per me la rivelazione di uno scrittore che sa imbastire un intreccio dandogli la connotazione di materia pulsante su cui riflettere, prima ancora di interpretarla come piacevole strumento per evadere dallo spazio-tempo della giornata. L’invenzione della vicenda nasce dalla volontà di evidenziare come le incrostazioni di certe condotte tradizionali raggiungano talora il margine del paradosso, precipitando poi nel magma fangoso del perbenismo di maniera. L’ironia è arma efficace a penetrare nell’usuale per estrarne il senso pieno di una visione nuova e inquadrare un problema col distacco necessario per non essere coinvolto nell’equivoco della faziosità. Eppure Juan Octavio Prenz è pienamente dentro le vicende narrate, che prendono le mosse da un piccolo centro del Sudamerica dove viene lanciato un preoccupante allarme sociale contro un “nemico” che si insinua senza farsi mai vedere, ma incide sulla tranquilla atmosfera peculiare del luogo e della società; la risata è pericoloso antidoto per la quiete pubblica e per la capacità produttiva della gente, rendendola inerte rispetto ai doveri imposti dalla “norma” piccolo-borghese. E allora il protagonista Innocenzo si fa decapitare per procedere al trapianto di una testa da mostro, immagine che il potere fa proiettare su ogni muro della città introducendo l’orrore quale comune denominatore estetico nella vita di ogni giorno. Ma una sola smorfia del mostro fa riemergere dal silenzio terrifico l’inarrestabile urgenza della risata.

Il combustibile della fantasia trasporta Prenz apparentemente lontano dalla realtà; ma è proprio la considerazione orizzontale dell’attualità che costituisce la piattaforma privilegiata per un decollo verso le quote che gli consentono di vivere il tempo del romanzo col dovuto disincanto da una postazione, dove l’ingrediente dell’ironia scava nella carne viva dei problemi creati dai meccanismi del potere.

 

I molteplici piani di una narrazione complessa

Così avviene con altre modalità nel secondo romanzo Il signor Kreck, ambientato al tempo della dittatura argentina nella metà degli anni settanta. L’assonanza con Kafka traspare in tutta evidenza dal tratto paradossale della vicenda giocata sul filo di un’ambiguità spiazzante per il lettore, che si trova di fronte a un paradosso di un’angoscia vissuta come elemento di una quotidianità abituale. Kreck, inappuntabile nel suo lavoro di impiegato e nei rapporti con i vicini, è gelosissimo della sua vita privata sino a generare sospetti che in periodi di terrore poliziesco diventano facili trappole tese per confluire in allucinanti esperienze di prigionia e tortura. Anche l’esistenza più normale, tranquilla e priva di macchie può trovarsi sul bordo di un precipizio, costituito dalla logica prevaricante di un potere che, accampando motivi di “sicurezza” può disporre del privato cittadino come di un oggetto da manipolare a piacimento. Il problema dei desaparesidos è centrale nella riflessione dello scrittore argentino che, con scrittura estremamente vivace e pronta a mutuare nelle sue articolazioni la temperatura emotiva scaturita dai fatti narrati, erige un’architettura nei cui piani-strati si distribuisce il complesso di significati propri del racconto, dove epico e fantastico si coniugano con reale e mitico. La vicinanza con certi aspetti di Josek K, protagonista del Processo di Franz Kafka, è un dato che balza subito alla mente, anche se le matrici generanti sono completamente diverse. Il fantastico per Prenz è in ogni caso sempre al servizio di un’espressione che, nel suo livello più profondo funziona da denuncia per uno stato di cose che lo scrittore ritiene indegno in un ambito sociale.

Il suo terzo romanzo, Solo gli alberi hanno radici, uscito da poco (novembre 2017) nelle librerie è l’occasione per un viaggio del lettore a bordo della “Nave di Teseo”, la casa editrice, a Ensenada de Barragan, a circa 60 chilometri da Buenos Aires, punto di approdo delle speranze di molti emigranti europei, tra cui i componenti della famiglia del protagonista principale, provenienti dall’Istria. I nomi che sono toccati in “sorte” alle sue varie generazioni, Kreuz, Kriz, Croce, vogliono dire la stessa cosa o indicare il medesimo nucleo ma anche la mutazione per i susseguenti passaggi di nazionalità da un paese all’altro; sono insomma l’evidenza plastica dei capricci della storia; essa impone governanti, ai quali si deve adattare di conseguenza la modulazione del cognome, che, declinato in lingue diverse, è già il segno anticipatore di quella concezione che “solo gli alberi hanno radici”. “È un posto per il quale transitano le nazioni – afferma il protagonista di fronte al poliziotto che lo interroga su una “marachella” del figlio – E se si ha fortuna di invecchiare si ha anche la possibilità di vederle transitare. Le dirò di più, non appena ci si abitua a una nazione, ecco che ne compare subito un’altra per rovinarti la festa.”

Una concentrazione di umanità eterogenea trova la comune tensione esistenziale nella ritrovata stabilità lontano dalla terra nativa, ma vicino alle ragioni di decoro e dignità del vivere. Prenz coglie le atmosfere, registra le resistenze, fa risaltare le fragilità, esalta le fisionomie di tipi fortemente caratterizzati da una scrittura che incide a tuttotondo le personalità, facendo dei protagonisti gli attori di una commedia dove i poli della comicità e della tragedia talora si sovrappongono lasciando emergere in superficie i tratti della loro specifica realtà personale.

 

Un’opera di intonazione cubista

La babele scaturita da un tourbillon di lingue e dialetti acquieta il ribollio delle sue coesistenti differenze nella generale confluenza all’ispanico, che è lingua d’arrivo e strumento necessario di comunicazione tra immigrati.

Il libro assume un’intonazione cubista per la molteplicità di punti di vista che si innestano nella trama, concepita come un mosaico unitario ma veramente sommosso nelle sue “tessere” compositive; queste sono poste a diverse gradazioni di rilievo, per rappresentare il vario brulicare di emozioni, stati d’animo, vocazioni e prospettive degli abitanti di Campamento, il piccolo sobborgo nei pressi di Ensenada. Da qui comincia a srotolarsi la lunga matassa narrativa, il cui epilogo si compie nel 1938, quando dall’Europa giungono le prime avvisaglie dell’imminente conflitto mondiale. Talora si aprono squarci analitici su un’umanità in cammino verso esiti divaricanti, ma chiari, in una fusione tra “fabula” e “intreccio” che a tratti dà vita a un andamento labirintico. Nella vasta galleria di personaggi che si accalcano sul palcoscenico di Prenz c’è la divertita sottolineatura di piccole miserie quotidiane, grandi aspirazioni, solide diritture morali, esaltanti punti di comicità, che si ricompone immediatamente in esiti di pensosa riflessione sul presente e sul futuro. Sfila quindi una lunga teoria di tipi umani – da Alexandar Kreuz a Tihomir Croce, da Nevenka Valser ad Anton Perich, da Frane Daicich a Vesela Knez – come proiezioni percettibili di consuetudini e comportamenti espressi in occasioni di fidanzamenti, matrimoni, tradimenti, cospirazioni, episodi comuni e avventure fantastiche.

Momenti di vera comicità sono frequenti, come ad esempio il racconto di quella processione profana verso il mare di donne agghindate e ben curate con i vasi riempiti dalle deiezioni notturne. A questo proposito è proprio da centellinare il capitolo Alexandar Kreuz entra in conflitto con lo stessissimo Imperatore a causa dello sterco.

Il testo, scritto da Juan Octavio Prenz in spagnolo come i suoi precedenti libri, è stato tradotto in italiano da Betina Lilian Prenz non solo con puntuale aderenza agli umori dell’opera, ma anche con efficace resa in una narrazione che si struttura in 32 capitoli dislocati in una sequenza che sposta sovente l’obiettivo dal passato delle origini del nonno Alexandar Kreuz in Istria al presente, creando un rimando continuo da una generazione all’altra, cosicché i tempi del romanzo rispondono a una logica diacronica con frequenti recuperi memoriali sulla vita nell’Istria croata, su talune abitudini tradizionali che lo sguardo benevolo dell’autore fa lievitare verso episodi di un mito; in molti punti l’autore argentino rende l’opera un ambito fantastico di avventure immaginifiche, dove l’analisi dei fatti si coniuga strettamente con il suo spirito ironico e satirico.