La grande mela vista da dentro

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Blogaritmi newyorkesi: diario di viaggio di Leonardo Egidi, statistico triestino

di Luisella Pacco

 

Quando il direttore del Ponte rosso mi ha proposto di scrivere un articolo su questo libro, ha anche aggiunto, vagamente desolato “… anche se, lo so, Luisella, non è proprio il tuo genere”.

“Suvvia!” gli ho risposto ottimisticamente, ho preso il libro e ho cominciato a dargli un’occhiata.

Dunque, Egidi… Leonardo Egidi. Triestino con radici centro-italiche (così è scritto nel risvolto), dottorando in scienze statistiche presso l’Università degli Studi di Padova. Oltre che per i numeri e le formule matematiche ha sempre coltivato l’amore per la scrittura, in particolare per aforismi e testi ironico-satirici.

Mmmmm… (prime preoccupate perplessità).

Ma andiamo avanti.

Blogaritmi newyorkesi è un “agile volumetto” (si dice così, no?) dalla copertina colorata dove appaiono: la sfavillante città con grattacieli e strade piene di luci; uno scolapasta; una lavagnetta con sopra scritta con una formula che ancora non so cosa sia (ma lo imparerò…); una chitarra; un pallone; Francesco Totti.

Sul retro, di nuovo uno scolapasta con dentro un pacco di “farfaglioni” (che una sorta di ricettina ci informa essere tortiglioni e farfalle mischiati insieme, specialità ottenuta grattando il fondo di una disperata dispensa).

Orbene, me lo giro e rigiro nelle mani senza ancora aprirlo. Mi sento smarrita, come derubata di ciò che mi è più caro. Il direttore aveva ragione (sennò che direttore sarebbe?). Dove sono tutte quelle cose che piacciono a me?! La struggente musicalità o musicale struggenza di un titolo malinconico ed evasivo, una smorta copertina senza orpelli, preferibilmente bianca come un lenzuolo, una quarta che mi accenni nebulosamente ad una storia rarefatta intima e tormentosa…

Oh! Qui si rischia una lettura brillante, persino allegra, ggiovane con due g. Mi farà mica male alla salute?

Vi dirò di più. Nella lettura come nella vita, per me due è compagnia tre è folla. Nei miei libri preferiti, i personaggi sono pochissimi, due, uno, mezzo. La solitudine regna sovrana, i silenzi sono lunghissimi e sacri.

In Blogaritmi newyorkesi invece c’è un sacco di gente, e non si tratta di personaggi ma di persone col cattivo gusto di esistere sul serio. Tutti, ma proprio tutti quelli che Egidi ha incontrato: dai coinquilini ed amici alle presenze più transitorie.

Vabbè, lo sento, qua si mette male. Ma toccherà leggerlo. Lo diceva anche Edward M. Forster che leggere i libri – non toccarli, non odorarli, non mangiarseli – è purtroppo l’unica modalità di assimiliazione concessa a noi occidentali.

All’inizio, la lettura mi conferma che, già, Blogaritmi non è nelle mie corde. Come non lo è il suo autore, che ho invidiato e detestato (con simpatia, ça va sans dire) poiché capace di cose che voi umani…, anzi, che io umana non ho mai osato.

Che si sia brillantemente laureato in statistica, è già una cosa che me lo mette in una luce ambigua.

Che abbia lasciato la patria per passare sei mesi nella Grande Mela per una visiting scholarship alla Columbia University lo allontana da me così tanto che nemmeno la cometa di Halley, ponendomi contestualmente in uno stato di soggezione e ridicola sudditanza di fracchiana memoria. Datemi una poltrona “Sacco” così mi ci accascio…

Per intenderci: 1) mi sono suonati i quarantotto, la giovinezza e la possibilità di fare queste cose per me sono irrimediabilmente perdute; 2) ho dato anch’io un esame di statistica (è l’evento cardine del 1989 insieme alla caduta del Muro) e ne conservo un ricordo terrificante: la scomposizione della varianza ancora mi perseguita nelle notti di luna piena; 3) affronto con inquietudine e borraccia da esploratore anche un pomeriggio a Nova Gorica; 4) sono andata a Londra per perfezionare l’inglese non a sedici anni bensì a ventinove, più o meno quando ci si sposa (e “perfezionare” è parola grossa; diciamo che da the book is on the table sono passata a mettere il book anche on the shelf, toh).

Insomma, figuriamoci se mai avrei potuto laurearmi in una disciplina incomprensibile e andare oltreoceano a lavorare gomito a gomito col guru mondiale della disciplina stessa.

Ecco, per ragioni varie e penosissime legate al mio carattere di m… odesta intraprendenza, questo libro mi ha procurato un misto di fastidio e fascinazione, rabbia e ammirazione. Nonché crescente sorpresa, perché – chi l’avrebbe detto? – pagina dopo pagina mi diverte e mi scorre dinnanzi rapido nei suoi capitoletti/giorni.

Sì, perché Egidi racconta appunto i giorni, uno per uno, della sua esperienza a New York. Immaginatelo, mentre quotidianamente scrive il suo diario, col pc sulle ginocchia, la lattina di birra sul mobiletto accanto: un’atmosfera assai Friends, vero?

Confesso l’inconfessabile (roba da rovinarmi per sempre la reputazione di recensora cupa e meditabonda): ho riso!

Non avrebbe molto senso elencarvi tutti i 176 giorni né tutti gli aneddoti con cui Leonardo ci rende partecipi della sua vita. Ne cito alcuni, tanto per (consentitemi un tanto per lasciato così, pendulo…).

Il fatto che negli Stati Uniti gli studenti intervengano, alzando la mano velocissimi, per esternare l’opinione la domanda l’osservazione il pensiero l’interpretazione. Nulla trattengono! Effettivamente, lo si vede anche nei film: tutti con ‘sto polso levato al cielo e la matita tra le dita. Lo studente italiano, per contro, per tradizione e naturale vocazione si nasconde. Se alza la mano, due son le cose: o è fascista o gli scappa la pipì.

Il modo buffo in cui il newyorkese usa l’ascensore.

Il Bomba Party!

Trovare il locale più affollato che ci sia per guardare la finale di Champions.

L’accurata ed incredibile accozzaglia di oggetti che si può trovare in un megastore per uscire dal quale alla cassa si fa un serpentone di fila che sul Grande Raccordo Anulare di Roma se lo sognano.

Scorrerie domenicali nel più profondo Bronx e nel più tranquillo Brooklyn.

L’Evento Americano, il Superbowl, che in realtà è una boiata pazzesca ma tutti ridono, in tv e al bar […] Sembrano crederci…

Il combattimento tra neri in strada, in mezzo alla Broadway Avenue. (Ma davvero? Sì, davvero.) E se i galli combattono, i polli – cioè un pubblico di sciocchini – sta a vedere, tifare, filmare e urlare ad ogni colpo ben assestato.

Le sirene di Manhattan. A tutte le ore, i newyorkesi suonano il clacson incessantemente, senza che ve ne ricorra l’effettiva esigenza da codice stradale. Nessun pericolo, solo il puro piacere di strombazzare.

Un barbiere che tiene lezioni su cosa sia il New York Style.

Sentire un gospel in una chiesa battista di Harlem.

Non è propriamente un aneddoto, ma scoprirete anche questo: che George Clooney senza capelli è Pier Luigi Bersani.

E via…

Ma ci sono anche momenti seri, serissimi. Come quello in cui, dopo aver assistito ad un concerto, viene spontaneamente da pensare che a Parigi al Bataclan era proprio così… O provare orrore a Ground Zero vedendo ragazzine che si fanno il selfie sorridendo inconsapevoli in un luogo di morte.

Che altro dire? Non essendo un romanzo, non vi posso raccontare una trama. Blogaritmi newyorkesi va letto, anche se non è del “vostro genere” perché – abbiate fiducia – vi divertirà lo stesso, o di più.

 

copertina:

 

Leonardo Egidi

Blogaritmi newyorvhesi

Battello Stampatore, Trieste 2017

pp- 238, euro 12,00