La lingua più bella del mondo

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di Tiziana Piras

 

“Non ha’ mai pensato che tutte le cose che per legge abbiamo imparato essere ottime, e per le quali sappiamo vivere, tutte le abbiamo imparate per mezzo della favella? e se alcuno impara qualch’altra disciplina, per mezzo della favella l’impara? e che i valenti maestri più d’ogni altra cosa si vagliono del parlare? […] E non ha’ mai pensato a questo, che quando esce da questa città un coro, come quello che si manda solennemente in Delo, da niun’altra parte n’esce un coro uguale a quello?”

Questo passo, tratto dai Detti memorabili di Socrate, stilati dal suo allievo Senofonte, contiene non solo l’osservazione che ogni nostro sapere ha come tramite la lingua, ma anche un elogio della grazia e della musicalità del greco, di fronte al quale ogni altra lingua sonava ‘barbara’, cioè balbettante. Un apprezzamento analogo, se non più appassionato, è espresso, questa volta per la lingua italiana, da Thomas Mann, il quale al protagonista delle Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull (1954) fa dire: “Sono veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo. Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano. Impossibile immaginare che queste beate creature si servano di una lingua meno musicale”.

E non è certo un giudizio isolato: in pieno XVI secolo, l’imperatore Carlo V d’Asburgo (1500-1558), sui domini del quale non tramontava mai il sole, affermò: “Parlo in spagnolo a Dio, in italiano alle donne, in francese agli uomini e in tedesco al mio cavallo”. E non si deve pensare che sia una valutazione riduttiva, vista l’importanza capitale delle donne, depositarie di fascino, bellezza, grazia ed eleganza: basti pensare al posto che le donne occupano nella Commedia di Dante, nel Canzoniere di Petrarca e in infinite altre opere letterarie (nel poema di Ariosto la prima parola è proprio Le donne), nelle arti figurative e nelle composizioni musicali.

La “lingua degli angeli”, dunque, questo strumento duttile e malleabile, musicale, seducente, armonioso, che non si limita ad esprimere contenuti ma, per parafrasare il celebre verso di Dante, “mostrasi sì piacente a chi la ode” che non si può non restarne incantati. E questa bellezza dell’italiano è largamente riconosciuta nel mondo, tanto che è la quarta più studiata tra le lingue straniere. E non solo per le sue qualità estetiche, ma anche per l’immenso patrimonio culturale che nei secoli si è espresso in italiano, consustanziandosi in questa lingua. E siamo proprio noi italiani a non apprezzarne appieno il tesoro, tanto che spesso la sciupiamo e giungiamo a tradirla con altri idiomi in nome di una moda che vorrebbe significare una cultura disinvolta e internazionale e spesso denota invece un irrimediabile provincialismo.

Alla nostra lingua ha dedicato un libro agevole, appassionato e ricco di spunti per ulteriori letture Annalisa Andreoni, che insegna Letteratura italiana alla Libera università di lingue e comunicazione IULM di Milano. Il titolo del volume, Ama l’italiano, è un invito ad accostarsi con affetto e consapevolezza a questa lingua, nella quale per otto secoli si sono espressi l’amore e il canto, la beffa e la parodia, l’arte e la scienza: da Dante ai cantanti rock, da Boccaccio a D’Annunzio, da Galileo a Benigni. L’autrice ci accompagna in otto percorsi attraverso i tesori che si sono accumulati nella dinamica linguistica e negli intrecci politici e culturali dei secoli, e che troppo spesso ignoriamo o diamo per scontati. Non per nulla la Andreoni è toscana e si porta nell’orecchio e nella parlata la ricchezza nativa di quella terra da cui zampillò l’italiano della triade eccelsa, Dante Petrarca Boccaccio.

E il toscano, per tornare a Socrate attraverso le parole di Madame de Staël in Corinna o l’Italia (1807), supera in musicalità ed espressività gli altri dialetti della penisola, anche nella bocca degli incolti: “È una vera gioia ascoltare i toscani, compresi quelli delle classi inferiori. Le loro espressioni, piene d’immaginazione e di eleganza, danno l’idea del piacere che si doveva provare ad Atene, quando il popolo parlava quel greco armonioso che era come una continua musica.” (p. 16).

E subito dopo la Andreoni cita il poeta inglese John Keats, che in una lettera del 1817 si augura che l’italiano, “pieno di vera poesia”, sostituisca il francese nel sistema scolastico britannico: “In verità l’italiano suonerebbe musicalissimo sulle labbra di chi incominciasse a pronunciarlo mentre ancora il francese ci viene ficcato in bocca a forza.” (p. 17).

Il grande poeta russo Osip Mandel’stam aggiunge: “Qualcos’altro ancora mi colpì – il carattere puerile della fonetica italiana, la sua stupenda infantilità, la sua vicinanza al cinguettio dei bambini, un certo suo congenito dadaismo […] desiderate familiarizzarvi col rimario italiano? Prendete l’intero vocabolario italiano e sfogliatelo a piacere… Qui tutto rima con tutto. Ogni parola chiede di mutarsi in concordanza. È straordinaria la profusione di desinenze convolanti a nozze. Il verbo italiano si rafforza verso la fine e solo nella desinenza si carica di vita. Ogni vocabolo ha fretta di esplodere, di volar via dalle labbra, fuggire, lasciar il campo ad altre parole […] La più dadaista delle lingue romanze si insedia così al primo posto in campo internazionale.” (pp. 17-18). Non è forse questa la descrizione di una musica viva, elegante, operosa?

E sono tanti gli aggettivi che qualificano la nostra lingua com’è percepita dagli stranieri: musicale, delicata, femminile, armoniosa, dolce, florida, gentile, piacevole, melodica… Una lingua cui ci si accosta spesso non per motivi utilitaristici (vedi l’inglese), ma perché essa trasmette il piacere gratuito della bellezza, il godimento di sensazioni gratificanti.

E quanti hanno la ventura di avere l’italiano come lingua madre? Non vi è in essi per lo più, opina la Andreoni a ragione, grande consapevolezza della diversità di questa lingua in chi la parla dalla nascita, e questo è ovvio: solo grazie al confronto con altre lingue se ne può apprezzare il valore espressivo, i punti di forza e le poche debolezze. Molti dei forestieri che hanno imparato l’italiano, affascinati dalla sua musicalità, sottolineano la facilità con cui esso esprime le emozioni e ne ammirano le irresistibili doti onomatopeiche. E queste caratteristiche si cominciano a notare solo quando si confronta l’italiano con altre lingue, così come si notano le caratteristiche dell’intelligenza umana solo quando la si confronti con le intelligenze altre, animali e artificiali.

Andando oltre le impressioni epidermiche, l’autrice attribuisce la musicalità che molti poeti e scrittori hanno riconosciuto all’italiano in primo luogo al suo sistema vocalico: pochi suoni diversi, sette in tutto (a, è, é, i, ò, ó, u), ben marcati e distinti. Inoltre “le sillabe atone non sono mai sacrificate nella pronuncia a vantaggio delle sillabe toniche, come succede in inglese e in francese, ma mantengono una loro autonomia sonora che agevola il canto. Al vocalismo si aggiunge il ritmo estremamente vario, effetto della grande mobilità dell’accento tonico, che può cadere sull’ultima sillaba della parola, sulla penultima, la terzultima e anche la quartultima, permettendo la presenza, all’interno della frase o del verso, di parole tronche, piane, sdrucciole e bisdrucciole. L’alternanza degli accenti conferisce al discorso italiano un ritmo mai ripetitivo e molto vario, rispetto alle lingue che hanno un accento tendenzialmente fisso. Se aggiungiamo che tutte le parole terminano con una vocale, possiamo capire come molti ritengano la nostra lingua una delle più musicali del mondo.” (p.24). A tali qualità si aggiunga la libertà sintattica, che consente costruzioni alternative del periodo tutte perfettamente valide: così si può mantenere o accrescere e comunque variare la musica della frase o del verso.

E che dire della ricchezza lessicale dell’italiano? Se è vero che la nostra lingua annovera circa 250.000 vocaboli, contro i circa 600.000 dell’inglese (lingua incrociata, di lessico latino e germanico), è anche vero che in italiano, mediante prefissi e suffissi, si possono coniare un gran numero di parole. L’autrice così afferma: “Non solo possiamo modificare una parola con gli accrescitivi e i diminutivi in –one e –ino, ma possiamo anche esprimere mille sfumature lessicali diverse con un ampio ventaglio di suffissi come –ello, –etto, –ettino, –otto, –astro, –accio, –occio, –uccio,ucolo, –icolo. È una cosa talmente naturale nella nostra lingua che lo fanno spontaneamente i bambini [coniando parole come] gomitoluccio e matitarelle. Ed è quasi impossibile definire in maniera precisa la connotazione che ciascun suffisso apporta alla parola, perché spesso è diversa a seconda dell’uso che si è consolidato.” (pp. 28-29).

Finora tuttavia ho appena scalfito la ricchezza di questo volume, delizioso nella sua alternanza di discorso e di citazioni, anche rare e sorprendenti. Non si può, in una breve recensione, andare al di là di un’adesione convinta: è un libro da leggere, da degustare e centellinare proprio come un giulebbe aromatico e corroborante, a cominciare dall’introduzione, e percorrendone gli otto capitoli: La lingua degli angeli, La lingua libera, La lingua madre, La lingua dell’amore, La lingua della beffa e della parodia, La lingua delle arti e della scienza, La lingua del canto e della musica, La lingua oscena. Voglio sottolineare, fra tutti gli argomenti interessanti, una questione di grande attualità, legata alla volontà di sostituire, in alcuni corsi universitari, l’inglese all’italiano. Il tema è trattato dalla Andreoni in un paragrafo intitolato Cosa perdiamo se perdiamo l’uso dell’italiano come lingua della scienza e della tecnica? (p. 133). Non mi dilungo, sperando che questo cenno accresca la curiosità dei lettori.

Ama l’italiano non è un libro per specialisti puntigliosi o per ostinati pedanti, ma per tutti coloro che vogliono accrescere la propria consapevolezza che stanno usando una lingua duttile ed espressiva capace di esprimere qualsivoglia sfumatura o esigenza, da un sonetto di Petrarca a una poesia di Alda Merini, dalla florida ottava dell’Ariosto alla comicità del Fantozzi di Paolo Villaggio, dai poeti siciliani ai testi di Vasco Rossi, da Bembo alla “supercazzola” di Amici miei, per innamorarsi, o reinnamorarsi, dell’italiano, che ricambierà regalando godimento, fascino, sicurezza in sé stessi e nelle proprie idee. Buona lettura!