LE LETTERE D’AMORE DI VECCHIONI

|

Anna Calonico

 

 

Quando si tratta di personaggi come Roberto Vecchioni, la cosa migliore da fare è lasciare a loro la parola: Quando io leggo poesia, non bado al tempo. La poesia mi porta fuori da me; se io morissi domani con l’Antigone sul petto, non chiederei altro, avrei sentito, avrei avuto tutto.

– Sì papà, ma io voglio cose, non letteratura.

– Hai ragione. Ma io non sono capace, non sono in grado di darti tutte quelle meravigliose cose che vorresti avere. Sto provando a darti la letteratura come cosa: là dove non puoi avere, cerco di farti sognare. La poesia è un sapore, un odore, una visione… Io, in fretta, di corsa, nel tempo che ho e che abbiamo, ti voglio passare non quel che vedi o credi di vedere, non quel che ami o credi di amare, ma la bellezza di vedere, di amare; non avrò modo, e lo sappiamo, di dirtelo esempio dopo esempio nella tua vita; non ci è concesso, non è possibile. Devo farlo subito, ammassando tutti i languori e i deliri di anni e anni in un attimo che li concentri e te li renda vivi, come vissuti. Noi, Marco, stiamo tentando di cantare un poema in una strofa. Una lirica in un verso. (pp. 94-95).

Sono parole tratte dall’ultimo romanzo, Il mercante di luce, un libro in cui un padre, professore di greco come Vecchioni, cerca di dare la sua vita al figlio morente. Marco, il ragazzino, ha una malattia terribile che fin dal suo apparire non lascia speranze, e il padre non trova altro modo di confortarlo se non quello di regalargli tutto ciò che possiede: la bellezza, l’amore, la poesia.

In quest’ultimo lavoro, così come in tutta la sua produzione letteraria e musicale, Vecchioni parla dell’amore per la vita e per i libri: al solito, ci sono passione e tenerezza, lirismo e dolore. Per amore, solo per amore, cantava anni fa, e per amore, il professor Quondam (curioso il nome, tipico della colta ironia dell’autore) cerca negli autori greci i momenti più sublimi, la luce che possa rischiarare la sorte del figlio condannato, accorgendosi soltanto alla fine, sul punto di suicidarsi, che la luce veniva proprio dal ragazzo e non da lui; il mercante di luce era Marco, si era rivelato con semplici parole: Non ho più paura. (p.101), così che entrambi, padre e figlio, prima della fine trovano la salvezza, com’era giusto che fosse: Perché gli uccelli cantano quando passa la tempesta, e gli uomini non sanno nemmeno esser felici del sole che gli resta! (p. 119)

Fin dal suo primo romanzo, Le parole non le portano le cicogne, in cui un padre si trova a sostenere tramite delle lettere la figlia prima innamorata e poi triste e delusa per essere stata abbandonata dal fidanzato, Vecchioni parla del rapporto tra un adulto e un ragazzo. Che si tratti di un figlio o solo di uno studente, come in Il libraio di Selinunte, i testi trasmettono sempre amore per i giovani, per la loro vita che sta sbocciando, e l’autore si sente responsabile, si propone come maestro nell’insegnamento dei grandi libri e della poesia, ma anche maestro di vita, nel suo scorrere e sino alla fine: Tutte le parole scritte dagli uomini sono forsennato amore non corrisposto; sono un diario frettoloso e incerto che dobbiamo riempire di corsa, perché tempo ce n’è poco. Un immenso diario che teniamo per Dio, per non recarci a mani vuote all’appuntamento. (Libraio, p. 64)

Come ci ha abituati in tanti anni di canzoni, anche questa volta ci commuove con la sua storia e le sue immagini, di una bellezza struggente, di una tenerezza impotente e crudele; danzando tra Omero, Saffo, Euripide, Sofocle, anche un ragazzo destinato a morire troppo presto conosce l’amore: Io non ho conosciuto l’amore […] ma dovessi spiegarlo a qualcuno, gli risponderei così. Nessuno scrittore che ho letto, nessun film, nessuna canzone mi ha impressionato tanto: perché altro non c’è da dire. Tu mi racconterai che è un mistero di millenni, ma qui c’è tutto in poche righe, perché non esistono verbi che spieghino più di quelli di Saffo, comunque li si traduca. (p. 96-97) Sono tanti, nei suoi dischi, i testi che parlano del più forte tra i sentimenti: appassionato, finito e sfinito, aggressivo, profondo, stranamore. Amore per le donne, vivido e sensuale; per gli amici, nostalgico e gioioso; per Dio, dubbioso ma pur sempre tenace; per la poesia, dolce e lirico; per i figli, intenso, assoluto, interminabile: Chi t’insegnerà a guardare il cielo fino a rimanere senza respiro? A guardare un quadro per ore ed ore fino a avere i brividi dentro al cuore.

E tanti sono anche i momenti in cui parla dell’abbandonare la vita, con un po’ di rammarico per averla amata in ogni momento Vivere in fondo è così scontato che non t’immagini mai che basti e resta indietro sempre un discorso e resta indietro sempre un rimorso ma senza rimpianti per averla vissuta al limite delle possibilità Ma gli anni io li ho amati da incosciente ad uno ad uno senza precedenze e ridarteli indietro brucia un po’; esattamente quello che il professor Quondam desidera fare con la vita del figlio. Il romanzo è autobiografico in molti punti: ovviamente il protagonista è Vecchioni stesso, professore e padre, e Marco è il figlio del cantautore, il rapporto tra i due è il racconto di un mondo fatto di cose meravigliose al di là delle piccolezze, delle meschinità del mondo (“meglio vivere di Van Gogh, di Fellini, di uomini così grandi”), perché la felicità, ci spiega durante la conferenza stampa, non sta nella serenità senza problemi, ma nel combattere. Il senso finale del Mercante di luce è appunto la felicità, è credere che la vita non finisca mai, o rendersi conto che, una volta finita, ha dato tanto. La vita è più forte di ogni dolore, la vita è così grande che quando sarai sul punto di morire pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire, e il romanzo porta energia, forza di vivere. Dalle Luci a San Siro al Mercante di luce: la luce, la felicità, lo scopo di ogni vita, c’era anche in Le rose blu, scritta proprio per il figlio malato: Vedi, darti solo la vita sarebbe troppo facile, perché la vita è niente senza quello che hai da vivere. Scritto in un mese dopo averlo tenuto in mente per cinquant’anni, questo è il romanzo preferito dell’autore e ruota attorno ai classici della cultura greca, perché tutto deriva dalla Grecia, insiste citando Gramsci: “Non si impara il greco per parlare greco, ma per imparare a studiare”.

Di fronte ai giornalisti, lui che si considera un “poetastro”, e che, scherza, non si aspettava di “vendere come Fabio Volo”, guarda alla Grecia di un tempo, verso la quale tutto il mondo ha un debito immenso, e pensa che la salvezza del paese di Saffo, al limite tra antichità e pensiero moderno capendo per prima che gli uomini non amano perché l’hanno deciso gli dèi, ma perché sono uomini, sia la salvezza del mondo intero. Da qui, il professore diventa prima estremamente umano, raccontandoci come questo amore gli sia nato a dodici anni, dopo aver trovato una vecchia grammatica di greco del padre, e poi cantautore, difendendo tutte le sue duecentottanta canzoni che in realtà non sono altro che una forma di poesia moderna. Ma fare il cantante, spiega, è come fare il mercante perché le sue canzoni esigono un prezzo: la commozione. Mentre lui si emoziona, il pubblico deve dimostrare con pathos che sente ciò che sente lui e, anche se alcuni suoi testi ad una prima lettura risultano un po’ ostici, a giudicare dal pubblico variegato e attento di Pordenonelegge può considerarsi soddisfatto del risultato: al suo apparire, gli applausi sembravano quelli di un concerto, mentre parlava, si vedevano volti contriti rischiararsi di speranza, e non sono mancate le risate quando il giornalista Fabio Canessa, con lui sul palco, ha ricordato che avevamo davanti l’unico vincitore di Sanremo (nel 2011) candidato anche al premio Oscar (nel 2013)!

 

Roberto Vecchioni, Il mercante di luce, Einaudi, Torino 2014, pp. 120, € 15

 

Roberto Vecchioni, Le parole non le portano le cicogne, Einaudi, Torino 2000, pp. 197, € 11,36

Roberto Vecchioni, Il libraio di Selinunte, Einaudi, Torino 2004, pp. 65, € 7,00