LUNATICO – Staino al Lunatico Festival

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di Pino ROVEREDO

 

So che potresti rispondere alle mie domande anche in triestino, per via di un episodio di molti anni fa, quando eri venuto, per ragioni di cura, all’Ospedale Maggiore…

Sì, era il ’77, anni duri, anni di piombo ed ero arrivato quassù perché l’oculista che mi aveva in cura era primario qui. Percorrevo i corridoi di quell’ospedale non ancora ristrutturato, buio, e l’unica cosa che c’era, bella e luminosa, era l’insegna della Cisnal; io, venendo da Firenze, marxista- leninista, comunista incallito, ho pensato: “Mamma, se questi se n’accorgono, qui mi accecano del tutto!”

Nel leggere questo tuo libro:, sono tornato col pensiero agli anni – venti – che ho trascorso in fabbrica, e pensavo che quando gli operai hanno smesso di arrivare negli spogliatori con in tasca Il manifesto o l’Unità, ma arrivavano invece con La Gazzetta dello Sport, ci sia stato il grande cambiamento nella cultura e nella sensibilità operaia. Non so se porterà agli epiloghi che tu profetizzi nel libro…

Cioè che la sede della CGIL si trasferirà a Detroit, fuso con la Fiat Chrysler.

O, peggio, che con L’Espresso si potranno acquistare venti volumi delle poesie che Sandro Bondi avrà dedicato a Renzi. Ma veniamo al libro, questo tuo Alla ricerca della pecora Fassina. Ricordo che alla prima presentazione del mio primo libro, molti compagni di lavoro vennero in libreria e quasi tutti acquistarono una copia del volume, ma molti mi dissero che non l’avrebbero mai letta. Fu allora che pensai che una volta o l’altra avrei dovuto scrivere un libro “de pupoli”, come diciamo qui: un fumetto, invece ci hai pensato tu… Ellekappa, che ne ha scritto la prefazione, individua questo presente italiano come stralunato e caotico, particolarmente nella sinistra, afferma “Ovviamente Sergio, che non è tipo da sottrarsi alla rissa globale, riesce a ritagliare per sé il ruolo di uno dei principali piromani”.

Laura Pellegrini, in arte Ellekappa, che adesso fa le vignette su Repubblica, ebbe un grosso exploit quando facemmo Tango, (i due che sono usciti alla grande da quell’esperienza furono lei e Michele Serra) è una delle persone più care che ho, cui sempre mi riferisco quando ho qualche dubbio professionale. Lei e Altan sono le due persone con le quali mi confronto, soprattutto quando non sono del tutto convinto di qualcosa che ho fatto.

Toglici una curiosità, ma il compagno Fassina, citato nel titolo, si è arrabbiato, dissociato, indignato o che?

Fassina, dal punto di vista umano, è una delle personalità che mi sembrano più difficilmente interpretabili; io ho avuto subito una simpatia immediata nei suoi confronti, anche se parla un italiano un po’ improbabile, ma mi è sembrato autentico e sincero. E quella società di uguali, senza sfruttati né sfruttatori, in cui mostra di credere è già quanto mi basta per identificare un compagno. Sul piano pratico, sul suo agire politico, mi ha invece deluso molto, perché ha cercato a tutti i costi una rottura della quale non ho mai compreso del tutto le ragioni. Storicamente, nel partito si ricercava sempre l’unità, ma quando l’unità non c’era la minoranza si adeguava sempre alla linea della maggioranza, quindi era fatale che iniziassi prima o poi a prendere di mira Fassina. Anziché irritarsi o ignorarmi per alcuni anni, come ha fatto per esempio D’Alema, lui mi cercava e sembrava assai divertito delle mie vignette, al punto da farmi chiedere se l’aveva capita o meno, se cioè si tratta di uno che non capisce nulla o di un filosofo talmente al di sopra da non curarsi d’essere il mio bersaglio.

Sotto la tua matita di personaggi ne passano tantissimi. Devo dire che sembri dimenticare la nostra governatrice…

Eh, cosa vuoi… ormai si tratta di un’anatra zoppa, dopo che Renzi le ha fatto già capire che ha i giorni contati. Lavorare con Renzi è difficile.

A proposito di Renzi, tu fai dire a Giuliano Ferrara, anche lui nel libro di cui stiamo parlando, che è la reincarnazione di Berlusconi, che a sua volta è la reincarnazione di Craxi. Secondo te, chi si è reincarnato invece in Salvini?

Salvini è una figura veramente secondaria. Solo l’abbattimento che è intervenuto nella qualità etica della nostra classe dirigente fa sì che un personaggio come Salvini possa parlare in televisione. A mio avviso ha più una sua grandezza tragica un Grillo, che pure disprezzo profondamente, anche se mai quanto disprezzo Travaglio. Salvini… una persona, anche un minimo buona e onesta, non ha bisogno nemmeno d’essere intelligente per non accostarsi a uno così, mentre Travaglio mi corrompe i compagni. Noi abbiamo nella nostra simbologia il sole dell’avvenire, un simbolo così chiaro, mentre il suo simbolo sono il carcere, le manette. Io ai miei figli voglio lasciare il sole dell’avvenire, mica le forche. Il giorno che sentirò Travaglio parlare di solidarietà, può darsi che cambierò idea.

Travaglio è anche molto richiesto nelle carceri: io l’ho anche invitato, ma lui ha l’agenda piena, non viene.

Però riempie i festival letterari: io alla fine di questa serata, se venderò venti libri sarà un successo, lui cento dugento, trecento: mi umilia!

Tu sai che nel mio libro Mio padre votava Berlinguer riporto dialoghi con mio padre, e in alcuni di essi lui mi parla di Nenni, De Gasperi, Tina Anselmi, o Pertini e io gli posso contrapporre Razzi, la Minetti, Scilipoti, Santanchè…

Spero per lui che non sappia di cosa gli parli!

Ma tu dici che abbiamo ancora margini di peggioramento?

L’esperienza ci ha insegnato che al peggio non c’è mai limite, ma io spero che ci sia la possibilità di tornare indietro. È una delle cose che m’intristisce di più, questa perdita di capacità, di senso civile di convivenza. Si è ventilata l’ipotesi a un certo punto che io andassi a dirigere l’Unità: la cosa non è ancora chiusa e c’è qualche possibilità (in effetti Staino è diventato direttore del quotidiano il successivo 15 settembre, n.d.r.) , ma se succedesse, la prima cosa che voglio fare è mettere un fotogramma finale del film sceneggiato da Zavattini, Miracolo a Milano, là dove si auspica di procedere verso un regno, uno stato, una società dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno. Questo recupero della parola, del valore della parola attraverso la quale esprimi l’anima, il tuo pensiero è il contrario di questo presente dove si è sdoganato il vaffanculo, lo si è preso come una battuta, mentre è l’inizio di una degenerazione del linguaggio, che incattivisce gli animi, che nega il dibattito, la dialettica. È l’espressione più isolazionista che si può trovare. Come si fa a crescere se rompi l’elemento fondante della relazione umana? Io ho amici che hanno votato MSI. Per esempio una psicologa che ci ha fatto i corsi per smettere di fumare, simpatica, brava, intelligente. Il giorno che ho scoperto che votava Fini ci son rimasto malissimo, però lei è rimasta per me la bravissima persona che era stata fino a quel momento e le ho proposto un patto: tu m’insegni a smettere di fumare, io t’insegno a non votare Fini. Quando, di fronte a una legge che sembra andare nel senso sbagliato, puree restando però nell’ambito del sistema democratico tutelato dalla nostra Costituzione, è possibile parlare di golpe? Ma è un’offesa ai compagni cileni, a quelli greci, ai desparecidos! Come un insegnante trasferito dall’altra parte dell’Italia, che avrà tutte le ragioni per imprecare e avrà anche tutta la mia solidarietà personale, ma fintanto che non si parlerà di deportazione: anche in questo caso, si tratta di un atto amministrativo magari odioso ed impugnabile, ma niente a che vedere coi vagoni piombati e con la shoah, altrimenti si passa al delirio.

Puoi dirci qualcosa rispetto all’ambiente in cui sei cresciuto, raccontarci di com’è nato il tuo impegno civile?

Mi viene in mente un episodio in particolare. Ero ragazzino, otto anni e il 14 luglio del ’48 ci fu l’attentato a Togliatti: immaginatevi il clima che subito si addensò, anche perché le comunicazioni allora erano quello che erano, non si avevano notizie in tempo reale, non si capiva se fosse morto, se fosse vivo. In Toscana e in Emilia, poi, ci fu un movimento intensissimo per cui tutta una parte dei comunisti pensavano che quella fosse l’occasione per rifarsi della sconfitta del 18 aprile e tentare di prendere il potere per via insurrezionale. Mio padre era carabiniere e meridionale, venuto su in Toscana dalla natia Lucania dopo un’infanzia poverissima. Mia madre figlia di un toscano che era stato anarchico, poi socialista e infine comunista, uno che quando seppe della sua figliola e di questo carabiniere meridionale disse che solo facendosi suora avrebbe potuto dargli lo stesso dolore. “Perché noi fiorentini – diceva – mica siamo razzisti: son loro che sono meridionali!”. Io vivevo dunque in questa famiglia patriarcale dove il babbo non contava nulla, ed era il nonno che reggeva i fili e ricordo come oggi il giorno dopo l’attentato, con il Paese in subbuglio, eravamo seduti a tavola: i due uomini a capotavola, io e il mio fratellino, la mamma e la nonna. Mio nonno, rivolto a mio padre, gli chiede di non farsi vedere in giro nelle ore successive (che per un carabiniere che andava in divisa al lavoro in bicicletta era un po’difficile), perché “te lo dico perché sei mio genero: aspettiamo il via da Roma e poi parte l’insurrezione”. Mio padre dev’essersi sentito nelle vesti istituzionali, uso a obbedir tacendo e tacendo morir; s’alzo in piedi e disse: “Babbo, pregate il vostro Iddio che non sia vero, perché la mia prima fucilata è per voi!” Urli della nonna, della mamma… io che gridavo rivoluzione, rivoluzione! E la nonna: “Stai zitto! Lo sai che se c’è la rivoluzione i primi a morire sono i bambini?”. Capite anche voi che quando mi chiedono perché ho scelto di fare il disegnatore satirico mi vien da rispondere “Prova te a vivere in una famiglia così!”. Ci vuole un po’d’ironia per sortirne e siccome, fortunatamente, noi in Toscana d’ironia ne abbiamo parecchia…

E Renzi ce n’ha ironia?

Eh, tanta! Devi pensare che sono stato abituato a vivere in un partito che era costruito sul modello sovietico, dove c’era sì tanta generosità, fratellanza, tutto quello che ti pare, però anche la massima prudenza, l’attenzione a non fare un passo falso, non fare per non prendersi responsabilità. Ora vi racconto una cosa che non ho mai raccontato in pubblico. Quando ho fatto Tango, l’inserto satirico da collocare all’interno dell’Unità, essendomi reso conto che la cosa poteva funzionare, ne ho parlato col direttore, Macaluso, che ha manifestato un certo interesse, ma che non era cosa che avesse potuto decidere lui, dovresti sentire l’amministrazione, il compagno Sarti. Vado da Sarti, che si dice interessato al progetto, ma si dichiarò incompetente a decidere, trattandosi di una scelta politica, che doveva essere decisa a Botteghe Oscure. Arrivato lì, di nuovo apprezzamenti per l’idea, ma mi si disse che era una cosa che riguardava il giornale e che avrei dovuto parlarne con Macaluso. Non se ne usciva: nessuno intendeva assumersi la responsabilità. La cosa si risolse grazie al fatto che Panorama, che all’epoca era un bel giornale, diretto da Carlo Rognoni, mi chiese di usare Bobo per un inserto che intendevano fare per i libri di Natale. Non chiesi niente per la cessione dei diritti, se non che dessero, con un certo rilievo la notizia che all’Unità si stava preparando questo inserto satirico. Mi dettero sei o sette pagine, uno spazio enorme, in cui si dava per scontato che l’inserto si sarebbe fatto. A questo punto avevo rovesciato i termini del problema: qualcuno avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di fermare l’iniziativa e quindi potemmo partire con Tango. Così funzionava il PCI. Mi resi conto che con Renzi, appena nominato sindaco di Firenze, si sarebbe cambiato registro. Si recò, per dirne una, senza essere invitato, a un’assemblea dei commercianti che si opponevano all’estensione della zona a traffico limitato. Nessun dirigente del PCI avrebbe fatto una cosa del genere, mentre lui, senza temere fischi o contestazioni, si presentò lì, parlò, li convinse e oltre il sessanta per cento dei presenti approvò il progetto del Comune. Un’altra volta, dopo un concerto di Vecchioni, s’era a cena con alcuni amici di Firenze e arriva Renzi, scusandosi per esser stato trattenuto, e racconta che s’era allargato a dismisura il dibattito dopo la presentazione di un libro sullo Stil novo dove gli avevano chiesto tra l’altro se si potesse considerare Dante uomo di sinistra. Lui aveva risposto affermativamente, e allora io chiosai: “Sì, e se poi lo confronti con te anche parecchio di sinistra!” Lui allora fa: “Bella Sergio, bella! Che la posso mettere su Facebook?” D’Alema non mi avrebbe parlato per tre anni per una battuta del genere!

Chiudiamo, se credi, dalla pecora Fassina: potrà mai, da pecora, diventare leader di un partito e capo del governo?

No, lo escludo. Vedi, se vuoi essere di sinistra devi esserlo con tanti, non esiste il singolo comunista. A suo tempo feci una vignetta, quando a Roma si riunirono Fassina, Cofferati e Civati, in cui Bobo commentava la notizia dicendo che stavano decidendo se fare uno, due o tre partiti. Ma la mia era una battuta: ne hanno fatti tre davvero! Che speranze hai con gente così? Da soli non si va da nessuna parte…