Montagne in cartolina

La bella vita del critico d’arte / 23

di Giancarlo Pauletto

 

L’altra mostra “personalissima” è stata una mostra di cartoline.

Fu realizzata qualche anno fa presso lo “Spazio foto” della Casa dello studente, sempre a Pordenone, e riguardava le Dolomiti.

Fu apprezzata da molti e si capisce perché: non c’era nulla da leggere – a parte le didascalie – e nulla da capire, almeno in apparenza; si guardavano semplicemente delle belle immagini in bianconero collocate in giusti passepartout, si riconoscevano i luoghi, alcuni – non molti – si interessavano anche ai fotografi e a determinati elementi tecnici, qualcun altro, davanti a certe foto d’alta montagna – per esempio il ghiacciaio della Marmolada – coglieva la fatica che l’operatore aveva dovuto sopportare per salire a certe altezze con il suo fardello, e la pazienza nella ricerca della luce e della posizione.

Erano in effetti, per quanto mi pareva, belle “vere fotografie” – come venivano chiamate una volta –: a queste “vere fotografie” avevo cominciato ad appassionarmi molti anni addietro, quando un giorno mi capitò di trovare la prima della lunga serie.

Devo premettere che io vado in montagna, a pedalare, camminare e sciare, fin da ragazzo, ma tutto questo andare non mi ha mai saziato, al contrario, ho la frustrazione di esserci andato troppo poco.

Rimpiango le cime non toccate, i paesaggi non visti, i fiori non fotografati, i funghi non raccolti, cucinati e mangiati, le bottiglie – pazientemente portate nello zaino – non bevute, i canti non cantati, le nevi non percorse affondando fino al ginocchio, i boschi non esplorati, i torrenti non attraversati, insomma tutti i sentieri non camminati: qualche milione, a questo mondo.

È una frustrazione – si capisce – che non ha alcuna possibilità di risolversi, ma è appunto per questo che mi sono buttato sulle “vere fotografie”: per essere in montagna anche quando non ci posso andare, mentre le guardo e le riguardo, le ordino e le riordino, e mentre, ovviamente, vado per mercatini a caccia del tesoro.

La cosa ebbe un inizio abbastanza singolare.

Mi trovavo a Venezia, La Salute 33, a casa di Armando Pizzinato.

Per una ragione che esattamente non ricordo, eravamo scesi al piano terra dove, in una sorta di stanzone, lui teneva una quantità di cose da disbrigo, più o meno da buttare in canaasso, come diceva con la sua bellissima voce di basso.

Sopra un mucchio di vecchi giornali, riviste e corrispondenza ammontata in un cantone, vidi una cartolina, che per il suo soggetto e la sua bellezza mi colpì immediatamente: l’origine della passione.

Si trattava della località di – cito dalla didascalia stampata sul retro – “Avelengo presso Merano”, datata nel timbro postale 1938, fotografo Karl Felderer, Bolzano.

Il mio amore per la montagna, e soprattutto per la neve, si risvegliò di colpo: c’era la neve alta del grande inverno, in piena luce, come declamava l’ombra gettata sul bianco da un’alta staccionata di pali che, da sinistra, accompagnava l’occhio verso la stupenda vista di una chiesetta romanica, sfiorata, sulla riva alta dove stava, da una stradina la quale, segnando una direzione, accennava all’immenso paesaggio che certamente splendeva al di là di ciò che l’occhio poteva vedere, facendo vivere in equilibrio lontananza e vicinanza.

Insomma, una specie di colpo al cuore, come quando a tredici, quattordici anni si incontra improvvisamente, per la strada, la ragazza dei nostri sogni.

Armando me la regalò, naturalmente, ed essa se ne stette per vari anni in un cassetto a ricordare al mio subconscio – le volte che per caso la vedevo – che ce ne dovevano essere altre, in giro, di uguale bellezza: della bellezza, cioè, degli inverni antichi che io avevo conosciuto da ragazzo, quelli con tanta neve, in montagna e spesso anche in pianura.

Finché un giorno, passando per la piazza medioevale di un paesino dove c’era un mercatino, vidi una quantità di cartoline su un banchetto presidiato da due belle ragazze.

La bellezza della mia cartolina si associò evidentemente alle bellezza delle ragazze, e così il tutto passò dal subconscio al conscio e dunque mi fermai, e cominciai a scartabellare: senza grandi risultati, devo dire, alla fine ne acquistai solo quattro.

Quattro sole, però degne della prima.

Ora qualcuno si chiederà: ma cosa c’entra tutto questo con la bella vita del critico d’arte?

Qui si tratta di fatterelli autobiografici che per di più mostrano una certa patina di inutile compiacimento, non si capisce per quale ragione queste coserelle dovrebbero interessare anche ad altre persone.

Mi oppongo a questa legittima, ma troppo riduttiva interpretazione: affermando recisamente che, in quelle cartoline, io cercavo la bellezza.

E quindi esercitavo la critica: ben condotta o mal condotta, altri avevano giudicato, vedendo la mostra che alla fine ne era risultata.

E facevo anche la bella vita: girare per mercatini, per anni – ci ho messo trent’anni a raccoglierne circa quattrocento, ma non facevo il cercatore di cartoline, per mestiere; girare magari in bicicletta, a volte anche con amici, fermandosi di tanto in tanto a bere qualche buon bicchiere, e magari pranzando in trattorie che ben si sa: se non è bella vita questa, cos’altro mai lo è?

E soprattutto, durante la cerca, era andata aumentando sempre più la mia stima per i fotografi delle stampe che via via sceglievo: bravissimi professionisti e spesso anche poeti della luce, persone che sentivano intimamente la bellezza montana, la sua capacità di suggerire al riguardante la vitalità di chi cammina, avanza e scopre la vastità del mondo, e nello stesso tempo la calma, finalmente pacifica, gioia del contemplare.

Ho in mente, per fare un unico esempio, l’immagine intitolata Dalla Marmolada verso Badia e l’Ampezzano, datata 1939, stampigliata “Fotografia Ghedina Cortina”: tre sciatori sono in un paesaggio bianco e vastissimo, non in primo piano, collocati ben dentro l’immagine e spostati sulla destra.

Sono colti mentre contemplano quel paesaggio, il candore delle nuvole che stanno sotto di loro, la cresta delle vette che percorre lo spazio lontano.

Immagine nitidissima, piena di luce e di silenzio.

La magia è nel fatto che chi guarda inevitabilmente si identifica, e assieme ai tre sciatori vive quel momento di beata, sospesa vitalità.

Ne venne alla fine, dopo la mostra cui ho accennato, anche un libro, intitolato Carissime Dolomiti.

In esso, con grande soddisfazione, ho pubblicato duecentoquaranta di queste cartoline, datate dagli anni venti agli anni sessanta del secolo scorso, suddivise in undici capitoli brevemente introdotti da un testo: dallo Stelvio alle Giulie, passando per Dolomiti di Brenta, Catinaccio, Altipiano di Asiago, Alpe di Siusi, Sella, Marmolada, Pale di San Martino, Civetta, Pelmo, Cortina e tutta la sua cerchia, Misurina, Sappada, Dolomiti d’oltre Piave col Campanile di Val Montanaia eccetera eccetera.

Ne parlo perché la pubblicità è l’anima del commercio, sicuro, ma anche perché in questo libro trovate il nome di molti fotografi molto bravi, e io sono contentissimo di aver contribuito – per un verso – ad una maggior attenzione all’arte che si è espressa anche attraverso le cartoline; per l’altro alla memoria di questi fotografi, che certamente faticarono non per il poco soldo che ne avranno potuto ricavare, ma soprattutto per amore dei luoghi e dei paesaggi.

 

Lago di Misurina

Sorapis. 1938

fotografia Ghedina Cortina