La materia esplorata e modellata

| | |

Un ritratto d’artista attraverso la sua opera

Nelle sculture di Villibossi il “respiro” molteplice della materia

di Enzo Santese

 

Il castello di Muggia, dove risiede, è stato ripristinato come attuale residenza di Villibossi dalle sue mani, mezzi sapienti che con pazienza hanno riportato la vita di oggi dentro le atmosfere di un gran tempo andato. Nelle espressioni più significative dell’arte contemporanea ha sempre avuto un ruolo decisivo quel complesso di fattori che l’artista ha respirato intorno a sé; da Brancusi a Martini, da Andrea Cascella a Mascherini, da Castagna a Melotti corre un flusso di esperienze scultoree che celebrano in maniera sostanziale l’importanza della relazione tra il soggetto creante e il luogo dove trova consistenza fisica la sua ispirazione.

Il rapporto diretto tra l’artista e l’ambiente è una delle connotazioni fondamentali dell’operare di Villibossi, che concentra lo sguardo di fronte alla pietra arenaria di Muggia o a quella bianca d’Aurisina per captarne potenzialità di resa plastica con la ricerca a venire. Lo scatto creativo non si realizza solo con la materia prima da trasformare in creatura scultorea, ma anche con qualsiasi oggetto di rifiuto gli suggerisca sviluppi creativi. Così su ogni cosa “interessante” trovi, pone mano per modificarla plasticamente: un relitto vegetale, uno scarto del tempo, un brano di porta o finestra, un sasso su cui le stagioni abbiano già prodotto un lavoro di scavo e di trasformazione.

Lo scultore muggesano interviene per aprire la superficie della pietra al gioco di luci e ombre, per segnare le scanalate tensioni della materia, gli avviluppi susseguenti delle masse, la sequela di rotondità che costituiscono l’anatomia dell’opera medesima. Questa lascia intravedere un gusto autentico dell’artista per la materia, per i suoi segreti, per le proiezioni di espressività che rivela proprio nei tratti in cui viene lasciata rozza, informe e spezzata. Una precisa attenzione alla natura, ai suoi lineamenti costitutivi, alla storia e alla contemporaneità, con le tracce del passato che perdurano e, anzi, vengono recuperate per una specie di congiunzione ideale con la prospettiva a venire. La foglia è motivo ricorrente e designa emblematicamente un fotogramma del tempo vitale; si accartoccia leggermente, si incurva inglobando nella sua concavità i segni simbolici del suo divenire, cioè i semi, concepiti geometricamente come involucri di esistenze “in fieri”.

Il senso del movimento viene impresso alla scultura proprio dalla riduzione delle masse compatte, dall’elezione dello spazio vuoto come parte integrante dell’evento plastico. Vasto è il complesso di opzioni adottate nella ricerca: fra tutte un rilievo particolare ha la lavorazione a lucido, quando il marmo – per lo meno in alcune sue porzioni – è tirato a specchio, che rende la superficie della scultura una delicata epidermide riflettente, capace di rispondere alla carezza dello sguardo, di illudere un’azione in profondità. Ma spesso l’opera espone alla luce una sua accidentata corteccia, fatta di granularità fisica oppure una struttura esterna incisa e scavata, percorsa da un complesso di segni incisi che si incrociano. Un concetto sempre presente è quello della nascita e della rinascita, dei motivi floreali e vegetali; la natura cresce e si modifica, i semi sono in questo contesto nuclei di energia sorgiva, come noccioli potenziali di vita che sta per schiudersi. Il modulo cubico stilizza proprio l’idea del seme: la metafora dell’essere. Concavità, convessità, aperture all’interno, sovrapposizione di cubi-semi, costituiscono improbabili infiorescenze che anche quando non rappresentano lo scatto fantastico dell’autore, si aprono a far sentire interne risonanze che Villibossi è andato a catturare con la sua sensibilità nelle regioni ipogee, nelle plaghe meno ambite dalla frequentazione dell’uomo e, appunto per questo, più ricche di potere nel generare stupore di fronte a un evento di natura tradotto nella cifra plastica.

 

L’idea dell’incontro e dell’ascolto anche in creature di pietra

 

Spesso l’idea di un dialogo costantemente aperto tra le persone, disposte a dire e ad ascoltare le ragioni dell’altro, emerge dall’opera a cui il bianco della pietra d’Aurisina conferisce una luminosità amplificata dalle increspature di superficie; spesso è strutturata da una geometria dinamica che si avvita nello spazio, grazie alla torsione con cui i due elementi verticali si collocano in posizione parallela: è come se il simulacro di una statua antica (la dea madre) avesse smussato le proprie ridondanti rotondità per assumere rilievi anatomici completamente risolti con un rigore geometrico-razionale. Talora si può rilevare anche l’indizio concreto di una presenza umana che stilizza un atto di congiunzione tra terra e cielo, con le braccia rivolte in alto in segno di preghiera e di speranza. La parte superiore, sospinta in direzione verticale a sviluppo “binario” – come in Dialogo parallelo – rimanda alla necessità di relazione intensa tra l’individuo e il sé, alla costante verifica introspettiva che la persona attua per conoscere sempre meglio se stessa e impossessarsi dei contorni fisionomici della propria personalità che possono sfuggire a una ricognizione, resa problematica dalle “distrazioni” della contemporaneità.

Le qualità fisiche della pietra d’Aurisina, le peculiarità plastiche dell’opera, la sua potenzialità di innescare una sottile dialettica con il luogo di installazione, ne fanno un’ipotesi che unisce in sé una funzione decorativa del luogo e un ruolo significante sul piano della simbologia: l’incontro, l’ascolto, la richiesta di solidarietà, l’offerta di aiuto, la tensione verso l’alto nel tentativo di raggiungere sempre nuovi traguardi intellettuali, spirituali e umani.

In alcuni casi la scultura si presta a una lettura bifrontale e la sua struttura compatta suggerisce il moto dinamico che corre su linee di direzione parallele. Il tema accorpa in sé la metafora, riferita alla società contemporanea, che le acquisizioni tecnologiche e scientifiche portano ad “auscultare” le voci e le armonie del cosmo, ma qualche volta non servono a qualcosa di più semplice: far comunicare tra loro gli individui, i gruppi di persone, i popoli. Il tutto senza escludere anche l’ipotesi frequente in cui il singolo trova difficoltà a intercettare i sensi più veri della propria interiorità, a registrare i battiti della sua sensibilità, per cui capita spesso una sorta di cortocircuito che rende precario l’equilibrio psichico. Per questo la scultura esibisce il senso di una saldezza compositiva, dove il moto ondulatorio è in ogni caso auspicio per un mondo in cui l’acqua non è quella delle paludi, ma la realtà di un mare pulito capace di contenere nella magia dei suoi tesori anche quello della vita.

In ogni caso la forza espressiva delle creature tridimensionali sta nell’equilibrio delle parti, nella logica degli incastri anche virtuali, nella chiarezza elementare delle geometrie, nella forza sorgiva delle verticalità che escono alla vita esattamente come semi dischiusi al tepore della primavera. L’andamento a spirale che avvolge una tensione al cielo è uno dei tratti simbolici più frequentati dall’artista, mirato a celebrare lo slancio dell’uomo verso l’infinito, lo scatto conoscitivo in direzione di insondabili approdi, tanto più ambiti quanto più arcani ed enigmatici. E il mistero di un universo, che si rinnova dentro una ciclicità di moti sempre uguali eppur sempre diversi, è alla base della riflessione di Villibossi, che traduce in fisicità palpabile la rarefazione di pensieri, nutriti da un viscerale amore per gli accattivanti umori del mondo fisico.