Oltre sessant’anni d’arte

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La scultura di Gianmaria Potenza al Palazzo Ducale di Venezia

di Enzo Santese

 

Dopo varie partecipazioni alla Biennale, il veneziano Gianmaria Potenza approda al Palazzo Ducale della sua città con una poderosa rassegna personale (fino al 10 ottobre) che suggella oltre sessant’anni di presenza attiva nel campo della ricerca artistica contemporanea. È un’importante occasione di verifica per una vocazione plastica che nel tempo fino ad oggi ha avuto il merito di rinnovarsi continuamente nel solco di una matrice creativa pienamente riconoscibile.

Nel reticolo di emozioni che il contatto con l’esistente produce in ogni momento, si impiglia spesso un elemento che si fa tratto costante nella memoria e forza generatrice della fantasia. Così nel campionario di evidenze vegetali o animali prende corpo quel processo che crea un’orbita concettuale tra le cose e il loro significato emblematico; lungo questo corre il senso di appartenenza al mondo del soggetto creante, attivando una sensibilità specifica per il punto di aggancio simbolico. Gianmaria Potenza ha una particolare attitudine a far viaggiare il pensiero da un aspetto della realtà a un altro, avendo ben presente la forza metamorfica delle cose che è propulsiva di un movimento verso la metafora. Nella natura l’artista va a reperire non soltanto le forme, ma le atmosfere che aggregano, compattano, amplificano, esaltano il marchio di pertinenza all’universo del visibile, reso poi nella materia più congeniale a farlo lievitare verso esiti formali diversi; in tal modo la sfera dei desideri si sminuzza in scaturigini di eventi creativi dentro l’ambito dove pittura e scultura fondono le loro specifiche tensioni in una sintesi, che è architettura del pensiero risolta in puro respiro della materia, in germoglio di crescita della forma. Pur raccontando il senso del suo attestarsi nella concretezza del percettibile, l’artista fluttua nella leggerezza della poesia inscrivendo con sapienza di effetti ritmi e segni di una magia incantatrice e di un’intrigante meraviglia. I personaggi (anche i gufi e i cavalli diventano personaggi di un teatro incantato!) sono circondati da un’“aura” che inarca tra l’opera finita e il fruitore un fascio di cenni significanti che la fanno trascendere dai limiti della sua fisicità. Quindi il gufo, anatomicamente perfetto nella scansione geometrica costitutiva, è infinitamente più prezioso per le potenzialità interpretative offerte a chi osserva e rimanda, per esempio, all’affermazione di un ordine naturale che ha nei volatili il suo punto di scatto dinamico; Potenza canta la filosofia imperniata sull’esistente, che egli non guarda per ispirarsi, ma abita davvero per viverlo a pieno.

C’è una corrispondenza diretta tra il mondo interiore e l’armonia circostante secondo i ritmi di una bellezza che non è mai fine a se stessa, caso mai splendido pretesto dell’artista per tradurla in regola generale di sintonizzazione col mondo, nella sua luce più intensa, nelle sue forme più pure. L’idea è di uno spazio non solo contenitore, ma complemento necessitante dell’evento pittorico o plastico, che consente alle superfici di farsi piani riflettenti e che, con la modalità del rimando iconico, dilatano le peculiarità visive della scultura, nella quale l’intermittenza del lucido-opaco è intensificazione espressiva dell’opera attivata per simboleggiare il chiaroscuro della realtà e dell’esistenza.

 

Fluttuando libero nella poesia della materia

 

Marmo, argilla e legno sono piattaforme per un’avventura dell’abilità manuale, mossa dalla combinazione sostanziale dell’intuito artistico e dell’emozione interna, quella che nasce dalla sintonia del soggetto creante con il mondo circostante, del quale riesce a sfrondare l’inutile e il dannoso privilegiando la seduzione del buono; questa è una capacità peculiare di Gianmaria Potenza, proteso a focalizzare tutto ciò che nel mondo fisico e umano è sinonimo di bellezza. Il che avviene nei suoi “concetti spaziali”, nei cavalli, nei totem, nei gufi, tutte creature di un universo al quale l’artista abbina di volta in volta le sfumature del suo sentire, gli stati d’animo che danno il via alla costruzione dell’immagine fino alla sua definizione in opera d’arte. Gli oggetti si fanno pensiero e il pensiero si fa corpo plastico, nato da aggregazioni modulari che, partendo da elementi semplici (cubici, cilindrici, conici), arrivano a una molteplicità di forme positive e negative, concave e convesse. E quando la scansione razionale dell’opera è dominante nella struttura facendola apparentemente declinare verso una staticità simmetrica, la convivenza degli opposti fa scaturire l’equilibrio armonico caratteristico del fare dell’artista, come accade pure per gli oggetti d’uso che solo in seconda battuta si rivelano come tali, in realtà sono evidenze scultoree con piena dignità plastica.

Lo sguardo attento alle opere e la lettura della loro fisionomia mettono in evidenza una sorta di codici arcaici, emersi alla superficie dell’attualità da millenni di storia per essere letti in un continuum con la natura, sempre la stessa, anche se le creature si susseguono differenti tra generazioni lontane. L’alfabeto risulta la quantificazione segnica di un paesaggio mentale che si distende nella dimensione musicale del tempo e in uno spazio virtuale dove l’intreccio tra finito e infinito, sussulto interiore e slancio contemplativo alimentano la progressione emotiva di partenza, di sviluppo e di approdo finale.

L’essenza veneziana vibra nell’opera di Gianmaria Potenza non come elemento di aderenza meccanica all’origine, ma sulla spinta della capacità ad assorbire, filtrare ed elaborare il dato nativo nei suoi ingredienti di storia e cultura, umanità e carattere; e così il piano e la tridimensione diventano per l’artista i luoghi su cui proiettare la “forma” delle proprie pulsioni, adatte a rendere perfetta la sovrapposizione tra il pensiero e la pittura, tra il palpito d’avvio e la scultura. C’è nel repertorio iconico di Potenza la traccia marcata di un racconto, dove protagonisti sono gli stati d’animo provati a contatto con la realtà (che significa concretezza storica, artistica e d’attualità) dove l’artista va a innestare la propria riconoscibile fisionomia interiore, rilevabile in una confessione aperta alle sollecitazioni più inattese da parte dell’osservatore.

I corpi zigrinati come fossero segnati da alfabeti in rilievo si espongono alla luce riflettendo la dialettica radiale oppure assorbendone gli effetti secondo la maggior o minore levigatezza della superficie laterale.

Le verticalità totemiche esibiscono una corteccia lavorata a scaglie geometrizzanti, che nel loro aggettarsi in ritmo variabile e rilievo diversificato, catturano i sensi di uno spazio mutante secondo il luogo dove sono installati.

Immesse nell’universo del sensibile le idee, tradotte in cifra pittorica e scultorea, “respirano” animate da un afflato che l’artista istilla come un creatore di presenze, proiettate nella pellicola dell’esistente che, armato di decisa fisicità, illude un movimento libero, senza peso, prossimo alla consistenza rarefatta del pensiero. Lo testimonia il gufo, che nella fissità di una posa statuaria guarda e narra storie di viaggi tra stazioni mobili in cui i ritmi del tempo rallentano fino a far sentire le minime sfumature del dicibile.