Quando sorge Il sol dell’avvenire

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di Stefano Crisafulli

 

Un circo che si chiama ‘Budavari’, una coperta di lana, il film nel film, i calci al pallone, l’ossessione per le scarpe. Ai morettiani di ferro basterebbero questi indizi, presenti nel nuovo film di Nanni Moretti Il sol dell’avvenire, per capire l’allusione ad altrettanti titoli della sua filmografia: in Palombella rossa Budavari era il fortissimo giocatore di pallanuoto che l’allenatore Silvio Orlando intimava di marcare stretto, la coperta e il film nel film si trovano in Sogni d’oro, il palleggio calcistico in Caro diario e l’ossessione per le scarpe in Bianca.

Anche gli attori sono quelli di sempre: a parte Mathieu Amalric in omaggio alla Francia, che ricambia sempre il suo affetto (Il sol dell’avvenire è in concorso a Cannes), i protagonisti sono Silvio Orlando, nei panni di un attore che interpreta Ennio, giornalista dell’Unità e segretario di una sezione PCI nella Roma del 1956, Barbora Bobulova, attrice che veste i panni di Vera, attivista nello stesso partito e Margherita Buy, ovvero Paola, produttrice e moglie in crisi del regista Giovanni che sta girando il film e che ha le fattezze dello stesso Moretti. Eppure questo gioco degli indizi disseminati nella storia non è fine a sé stesso: tutto farebbe pensare ad una sorta di testamento filmico che è anche una dichiarazione d’intenti e di etica del cinema. Lo dimostra l’attacco ironico alle nuove piattaforme con la scena che si consuma negli uffici di Netflix: recatosi lì per cercare fondi, Giovanni si sente dire che la sceneggiatura del suo film è debole perché manca un momento «What a fuck’» e così se ne va inorridito.

Del resto il regista Nanni Moretti, nella realtà, ha sempre rifiutato di collaborare con le nuove piattaforme, più adatte alle serie e alla visione casalinga solipsistica. Ma lo dimostra anche la splendida scena sul set del primo film non suo prodotto dalla moglie, mentre un giovane regista sta per girare l’ultima sequenza, intrisa di violenza: un uomo è inginocchiato a terra e un altro sta per ucciderlo a sangue freddo puntandogli una pistola. Giovanni/Nanni interviene congelando la scena e chiamando alcuni amici, come Renzo Piano e Corrado Augias (che raggiunge il set un po’ come Woody Allen con McLuhan in Io e Annie), per spiegare che, in questo modo, si alimenta l’indifferenza verso l’assassinio, ormai replicato in migliaia di immagini sadiche e amorali. Invece ‘l’estetica è anche etica’ e, a tal proposito, Giovanni cita Kieslowski e il suo Breve film sull’uccidere, in cui emerge come sia difficile e orribile eliminare un altro essere umano. C’è infine anche un lato politico del film nel film: si narra di come la tragica vicenda dell’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 abbia scosso il Partito Comunista Italiano, dividendo la dirigenza (Togliatti in primis), che non criticò l’atto illiberale dell’Unione Sovietica, da coloro che invece avrebbero voluto prenderne le distanze. E qui si torna al circo ungherese ‘Budavari’, invitato a Roma dalla sezione PCI del Quarticciolo, che scopre con orrore cosa sta accadendo a Budapest e se ne va. Ma il cinema è anche una macchina dei sogni e allora, forse, si possono trovare dei finali alternativi a quello della Storia. Il sol dell’avvenire è, insomma, un atto d’amore per il cinema inteso come momento di condivisione (così come la musica: vedi la scena di ballo collettivo sulle note di Voglio vederti danzare di Battiato) e atto creativo autoriale. Con buona pace di chi lo vorrebbe ormai morto o dato in pasto alle onnipresenti piattaforme.

 

Nanni Moretti

Il sol dell’avvenire