Raccontare Trieste con la fotocamera

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La mostra del Circolo Fotografico Triestino a Palazzo Gopcevich

«Fotografare la propria città è una grande sfida, perché bisogna saper cogliere il mai visto nelle cose viste da sempre»

di Marina Silvestri

 

Il nostro passato prossimo, così vicino, eppure già consegnato alla storia. Ce lo regalano le immagini in bianco e nero della mostra Trieste, un racconto per immagini, allestita a Palazzo Gopcevich nella sala Attilio Selva a cura del Circolo Fotografico Triestino, con il contributo dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Trieste. «È un omaggio dei fotoamatori del Circolo alla città, ed è dedicata ai fatti di ogni giorno – scrive la presidente del CFT Alida Cartagine – a momenti apparentemente banali (e non alla cronaca su cui operano i professionisti) che però, con lo scorrere del tempo, si trasformano in storia, forse con la ‘s’ minuscola, ma non per questo meno rappresentativa di una realtà in evoluzione e comunque degna di essere ricordata. Attimi di vita colti e impreziositi dal desiderio di ricerca degli Autori, istanti unici che si ripropongono a noi con tutta l’energia di ieri». Ma l’esposizione è anche un momento di visibilità per l’attività del CFT, operativo a Trieste dal 1925, sede di una scuola permanente di fotografia dove si tengono un corso di base e corsi avanzati, e, in concomitanza, una nutrita serie di manifestazioni, nonché collaborazioni con istituzioni e associazioni culturali. Così la mostra è occasione – attraverso i testi che accompagnano il percorso espositivo – per una riflessione sul significato e il significante del mezzo usato, l’apparecchio fotografico e sulle sue diverse declinazioni. «Le immagini di reportage – vi si legge – vivono della presenza di indici, di segni che, puntualmente, intendono restituire allo spettatore il trinomio identificativo tempo-luogo-situazione. Nascono dal saper vedere il mondo che ci circonda al fine di cogliere momenti e frammenti che attraggono l’attenzione del fotografo, con lo scopo di consegnarli alla memoria iconica futura. I temi di possibile ricerca fotografica possono essere i più vari perché molteplici sono i risvolti e le sfumature della vita, intessuta di casualità con la quale dobbiamo giornalmente rapportarci. Amplissima dunque è la gamma dei soggetti potenzialmente interessanti, qui selezionati per economia di spazio».

Così, dato che i cambiamenti della vita sociale di questi ultimi decenni sono stati repentini e sconvolgenti, o forse perché la percezione di fatti e atmosfere di ieri risulta sorprende quando è consegnata a immagini che sanno farsi evocative, la mostra riesce a proporre diversi volti della città che ciascuno si porta dentro nel suo bagaglio di ricordi.

Emoziona ritrovare la vecchia venditrice di palloncini sotto le volte del municipio, come emoziona rivedere il fotografo ambulante alla radice del Molo Audace. «Gli elementi salienti delle foto documento, su cui la mostra si basa, sono il chi-cosa-dove-quando in modo da poter risalire al ‘come’ – dice Paolo Cartagine a cui si deve l’allestimento – e ancora più affascinante è la ricerca del ‘perché’, guardando a Sigmund Freud quando afferma che ogni azione umana ha sempre una motivazione, che spesso rimane inconscia. La fotografia è allora un ponte fra autore, frammenti di vita, e lettori. La comunicazione poi nasce dall’inquadratura, ovvero da ciò che lo spettatore deve vedere e questo lo decide l’autore. È una piccola parte del mondo, il risultato di una sottrazione, una condensazione di informazioni; nel riprodurre il tempo reale e nel cercare la verosimiglianza si immobilizza lo scorrere del tempo. Ogni fotografia mostra e non spiega, non dice mai tutto. Ed è anche l’anello di congiunzione di due tempi: il passato che ha originato la situazione ripresa, e il futuro dove forse quella fotografia sopravviverà».

Dunque, un ritratto collettivo della città di cui sono autori i fotografi amatoriali, ciascuno con la propria sensibilità che li ha portati a privilegiare un tema o una situazione in un modo fortemente oggettivo e cogliendone l’attimo da tramandare. La mostra propone sia la vita quotidiana di ogni giorno, sia taluni eventi specifici. «Queste fotografie – afferma Alida Cartagine – sono, al contempo, memoria per chi c’era e occasioni di conoscenza per le generazioni più giovani».

Grande attenzione è data da sempre al CFT alla multiculturalità e le immagini mostrano tanto i luoghi e i momenti di culto delle nostre comunità religiose, quanto i nuovi arrivati a Trieste; inoltre le Rive, soggetto per eccellenza che contraddistingue il paesaggio urbano, il Molo Audace, le grandi navi, ma anche l’attività al mercato ittico all’ingrosso, gli Horti tergestini, le statue che ‘animano’ i percorsi del passeggio, come quella di Umberto Saba; ed ancora i passanti, le vetrine, le piazze del Ponterosso, di Cavana, il Caffè degli Specchi; dai tuffi dalla scogliera di Barcola alla Barcolana (notevoli le foto esposte) agli altri avvenimenti sportivi come il giro d’Italia, la Bavisela, la Maratona. C’è una turista abbigliata come una ‘romantica donna inglese’ in visita al castello di Miramare che osserva il ritratto di Massimiliano, ci sono gli artisti di strada che si esibiscono fra l’interesse di alcuni e il disinteresse dei più e gli affollati mercatini; il Trieste Film Festival e i set cinematografici che esaltano l’architettura liberty dei palazzi e hanno fatto di Trieste una città del cinema, comprese periferie che pochi avevano prima ‘guardato’ e l’obiettivo valorizza; i concerti all’aperto dell’estate musicale triestina, i balli in strada, le parate militari in Piazza dell’Unità d’Italia. Una sezione è dedicata ai ritratti di personaggi noti della vita culturale della città come Claudio Grisancich, Claudio Magris, Boris Pahor, Giorgio Pressburger, Viet Heinnichen, Renzo Crivelli, Gino Pavan, e gli scomparsi Fulvio Tomizza, Guido Botteri, Renato Ferrari, Nino Spagnoli, Livio Rosignano, Alfredo Lacosegliaz, per nominarne alcuni; ed ancora musicisti, attori, protagonisti dello sport come Nino Benvenuti. Foto che sembrano avere fatta propria la lezione di Guido Piovene che del ritratto ricordava che «l’originalità si deve al rapporto tra fotografo e soggetto», che «la scoperta dell’attimo e la frammentazione dello sguardo sono gli aspetti peculiari della fotografia nel raccontare le sfumature della vita e della persona ritratta». Un’altra sezione riguarda le foto d’epoca con le botteghe artigiane, il tram sulle Rive, la Befana del Vigile, i giochi di bambini, le prime elezioni del dopoguerra durante gli anni del Governo Militare Alleato, con i muri tappezzati di manifesti elettorali (foto di Umberto Vittori, tuttora attivo in Circolo), le storie di periferia narrate da Ermanno Comar, e l’ironia di Vittorio Buzzi che ritrae l’esplosione nei cinema dei tabelloni pubblicitari di film che fecero scandalo come La Dolce Vita di Fellini negli anni Sessanta.

«Fotografare la propria città è una grande sfida, perché bisogna saper cogliere il mai visto nelle cose viste da sempre», dicono i curatori che hanno lavorato anche tenendo conto del rapporto fra lo spettatore e l’immagine, dato che «gli spettatori si sentono più coinvolti se si «avvicinano» all’immagine da leggere, e pertanto è stata scelta una dimensione geometrica delle stampe «tale da rendere possibile la completa e diretta inclusione della fotografia del campo visivo di chi guarda da vicino, offrendo l’indispensabile immediata percezione dei dettagli». Il numero dei soci che espongono è significativo della presenza e della qualità dei lavori: Paolo Bullo, Vittorio Buzzi, Anna Calonico, Antonio Calonico, Claudio Caramia, Alida Cartagine, Marco Cartagine, Paolo Cartagine, Rocco Colavito, Ermanno Comar, Oscar Costantini, Lucia Crepaldi, Carmen Crepaz, Ferruccio Crovatto, Vittorio Maria D’Angelo, Emanuela Dossi, Paolo Drioli, Luciano Dubs, Marina Fonda, Nino Gaudenzi, Estella Levi, Giovanni Lo Greco, Riccardo Macuglia, Giulia Manca, Emma Manestovich, Stefano Marsi, Sergio Marsi, Olga Micol, Giulio Milion, Moreno Moro, Paolo Nigido, Ernesto Petronio, Laura Plossi, Elio Ravalico, Alessandro Rosani, Rina Rossetto, Nevio Saule, Andrea Sava, Arianna Simcic, Fabiana Stranich, Tullio Stravisi, Roberta Toso, Mauro Varagnolo, Stefania Varagnolo, Francesca Venier, Umberto Vittori e Massimiliano Waiglein.

Un racconto. Un racconto per immagini. Perché, sottolineano i curatori: «Fotografare è scrivere con la luce, e nel verbo è già presente l’idea di narrazione, di testo che descrive il racconto, dove tecnica e strumenti tecnologici sono necessari ma non sufficienti: prima bisogna saper guardare, avere qualcosa da dire e preziose capacità individuali».