Riflessioni di un artista

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Intervista a Claudio Sivini, artista, docente, organizzatore di cultura nel campo delle arti visive

di Walter Chiereghin

 

Entrare nell’appartamento dove Claudio Sivini vive assieme alla moglie è un po’ come visitare una sua antologica: alle pareti una rassegna di suoi lavori, da quelli degli esordi, quando ancora frequentava l’Istituto d’Arte o poco dopo, e, dopo che ebbe scoperto l’esistenza degli specchi, una quantità di quelle sue inconfondibili composizioni articolate, equilibrate e ammalianti, costruite con rigore e pulizia formale, che paiono irridere con benevolente ironia la bidimensionalità di un comune dipinto. Sui piani dei mobili, alcune sue sculture – ma anche opere di Carà, Negrisin, Villibossi, Pisani e Berrocal – testimoniano di una ricerca inesausta, che condivide col visitatore, chiamato a ricomporre a piacere i vari piani che ruotando su un perno si sovrappongono, il piacere della creazione di opere diverse ad ogni tocco delle dita. Entriamo nello studio, alla fine del percorso, sancta sanctorum forse troppo piccolo per contenere il tavolo da disegno, migliaia di fotografie ordinatamente raccolte in diverse centinaia di raccoglitori, cataloghi e sontuosi volumi di storia dell’arte. Tra i più preziosi, realizzati manualmente, alcuni quaderni d’appunti corredati di illustrazioni – autentici libri d’arte – che raccolgono le lezioni di due insegnanti dell’Istituto d’Arte che molto contano nelle vicende artistiche e culturali del nostro territorio, e non solo di esso: Maria Campitelli e la compianta Edda Serra. Cominciamo da qui.

 

Claudio, sfogliando, con ammirazione, questi tuoi magnifici appunti mi pare di capire che fin dall’adolescenza tu avessi preso sul serio l’esigenza di acquisire strumenti culturali che travalicassero la formazione “tecnica” che ti veniva fornita dall’Istituto d’arte: è stato così?

L’istituto Statale d’Arte per l’Arredamento e la Decorazione della Nave e degli Interni Enrico Nordio, che ho frequentato tra il 1958 e il 1963, mi ha dato la possibilità di apprendere, oltre a tantissime tecniche, anche nozioni più generali, che dovrebbero sempre far parte del bagaglio culturale di ciascuno. E di questo devo ringraziare le professoresse Maria Campitelli e Edda Serra. La possibilità poi di studiare artisti storicizzati e movimenti artistici emergenti ha completato utilmente il mio progetto formativo. Alla fine degli studi, con il diploma in mano, ho cercato però di trovare una “mia strada”, sperimentando tecniche che mi contraddistinguessero.

 

Molti artisti ti hanno accompagnato come insegnanti in quel tuo percorso scolastico. C’è qualcuno tra loro a cui ritieni di essere particolarmente debitore?

Mi sento in dovere di ricordare, in rigido ordine alfabetico, per non far torto a nessuno, Riccardo Bastianutto, Ugo Carà, Girolamo Caramori, Enzo Cogno, Ladislao De Gauss, Dino Predonzani, Gianni Russian. Ognuno di loro ha lasciato in me una traccia indelebile, mi hanno fornito le basi per iniziare il mio percorso artistico.

 

Finiti gli anni della tua formazione scolastica hai avuto modo di collaborare con studi di architettura, che operavano soprattutto nella fornitura di arredi e decorazioni per le ultime grandi navi passeggeri costruite al Cantiere San Marco o a Monfalcone. Ritieni di aver imparato qualcosa lavorando con prestigiosi professionisti quali Boico, Celli, Cervi, Frandoli, o Nordio?

A dire il vero ho incominciato a “tirar righe” negli studi di architettura quando ancora andavo a scuola. Ho avuto modo di scoprire un mondo che non conoscevo. L’esperienza, indubbiamente molto positiva e purtroppo interrotta dal servizio militare (due anni di Marina…), mi è tornata particolarmente utile quando per due anni ho insegnato arredamento all’I.N.I.A.S.A. e per la mia successiva attività sempre nel campo dell’arredamento e della decorazione.

Hai iniziato ad esporre nel 1964, proseguendo poi con frequenza fino ad oggi in personali e collettive. Con cosa, con che tipo di pittura ti misuravi in quei tuoi esordi?

Durante gli anni ’60 e anche all’inizio degli anni ’70 utilizzavo ancora lo specchio come supporto per collage e operazioni materiche. Intervenivo sul retro dello specchio graffiando ed elaborando la superficie riflettente. La parte anteriore veniva invece lavorata con l’applicazione di carte veline colorate e strati di foglia d’oro e d’argento.

 

Quando hai “scoperto” che lo specchio ti dava la possibilità di giocare con più piani sovrapposti nelle tue composizioni?

A metà degli anni ’70, come già detto, dopo un primo periodo con un occhio di riguardo verso la pittura materica, ho cercato una “mia strada”, elaborando su specchio e vetri opportunamente distanziati una ricerca nel campo dell’arte programmata, cinetica e optical. In definitiva sono ormai cinquant’anni che sperimento e opero nell’ambito di queste tematiche.

 

Le tue opere tridimensionali – di necessità soltanto “riassunte” nelle tue acqueforti e serigrafie – riescono a non essere mai uguali a sé stesse, variando in ragione di chi vi si riflette, della modificazione della luce, della stessa postura dell’osservatore. Ritieni che sia questo il principale valore aggiunto ai tuoi lavori rispetto ad opere meno attente alle leggi della percezione?

Penso e spero di si. I miei lavori privilegiano l’approccio basato su una componente razionale e sul coinvolgimento del fruitore. Ciò che mi interessa è l’effetto di movimento che risulta dalla relazione tra gli elementi compositivi del quadro e la posizione di chi lo guarda. Inoltre le mie strutture ad assetto variabile permettono, in maniera guidata, di essere modificate dal fruitore che pertanto è stimolato ad interagire con l’opera.

 

Arte cinetica, optical art, arte geometrica: in quale di questi contenitori ritieni che dovrebbe essere collocata la tua esperienza di artista?

Preferirei definirmi un operatore attivo nel campo dell’arte programmata, con un occhio di riguardo verso l’arte cinetica e l’optical art.

 

Sei stato per molti anni insegnante in scuole di vario ordine e grado. Ritieni di aver ricavato qualcosa anche tu da quell’esperienza prolungata nel tempo, da quel costante confronto con i giovani?

Ho insegnato per più di trent’anni storia dell’arte, disegno tecnico ed educazione artistica e penso di aver dato molto e molto ricevuto… è stata una bella esperienza, mi piaceva insegnare, ma ho deciso di smettere quando la burocrazia ha incominciato a prendere il sopravvento sull’insegnamento vero e proprio.

 

Aldo Famà mi raccontava della vostra comune partecipazione al “Gruppo 5”. So che hai anche fatto parte di un “Gruppo 12”, eppure il tuo itinerario artistico mi sembra molto personale, non collegato ad altre personalità che agiscono o hanno agito nel nostro territorio. In altre parole, mi pare che nonostante la tua inclinazione a mantenere solidi rapporti sociali con i tuoi colleghi, tu sia in definitiva un solitario, o che almeno per molti anni ti sia comportato come tale. Concordi?

La partecipazione al “Gruppo 12” (Bertini, Carà, Caramori, Cornachin, Giordani, Iacobi, Moretti, Pisani, Ponte, Sivini, Steidler, Vecchiet) e successivamente l’aver fondato il “Gruppo 5” (Famà, Moretti, Sivini, Steidler, Stocca) mi ha facilitato l’inserimento nell’ambiente dell’arte triestina. In entrambi i gruppi ero il più giovane e devo ammettere che il fatto che artisti che stimavo avessero creduto in me mi faceva molto piacere. Negli anni ’70 e ’80 però non c’era nessuno che lavorasse in sintonia con la mia ricerca sull’arte programmata e pertanto non ho avuto modo di confrontarmi con artisti del territorio. In definitiva la mia produzione non è stata influenzata dagli artisti che all’epoca operavano a Trieste e ha fatto di me, forse come tu dici, un “solitario”.

 

Sei stato molto attivo anche nell’organizzare occasioni d’incontro ed eventi espositivi, basti pensare alla tua lunga organizzazione di esposizioni al Caffè Stella Polare. Vuoi raccontarmi qualcosa in merito?

Nel 1983 ho pensato di fornire agli artisti di Trieste e zone limitrofe uno spazio dove poter esporre, gratuitamente, le loro opere. Il Caffè Stella Polare all’epoca offriva grande visibilità per mostre personali e collettive. Pertanto, grazie al sostegno degli allora gerenti del Caffè, ho organizzato uno spazio espositivo nel quale, in 32 anni di attività (fino al 2015), ho invitato ad esporre più di 300 artisti in oltre 500 mostre. Nello stesso periodo, grazie anche alla mia esperienza fatta nel campo dell’arredamento, ho avuto anche modo di allestire, oltre alle mie mostre personali, anche numerose mostre collettive in spazi pubblici e privati. Attualmente, ogni settimana, continuo a portare avanti, con il “Gruppo Amici del Venerdì”, incontri conviviali aperti ad artisti, collezionisti, estimatori e addetti ai lavori nel campo dell’arte figurativa.

 

Recentemente sei collegato con un gruppo di artisti di Padova, tra i quali hai trovato persone abbastanza vicine al tuo agire artistico. Trovi stimolante il confronto con loro?

Penso proprio di si, ho trovato in questo gruppo quello che a Trieste mi mancava. Il gruppo “C.O.N.V.I.D.” è nato da un’idea di Roberto Sgarbossa, artista attivo a Padova, col quale avevo già avuto il piacere di esporre. Il nome è l’acronimo che racchiude il significato di “Confrontare Opere Necessita Visione Informazione Dibattito”. Il progetto, nato nel 2019, coinvolge un gruppo di artisti attivi sul territorio nazionale e oltre (del gruppo fanno parte anche due giapponesi). Le loro ricerche si basano su un denominatore comune, che è quello che fa riferimento alla percezione visiva, indagata mediante l’analisi e la selezione di tecniche e materiali. Le loro opere spaziano dal linguaggio programmato, cinetico e optical fino alla concezione minimalista e concettuale.

 

Hai progetti per l’immediato futuro?

Ho in programma alcune mostre collettive sul territorio nazionale con il Gruppo C.O.N.V.I.D. Sto lavorando, con l’aiuto del laser, ad alcune strutture di acciaio ad assetto variabile. Sto progettando mini quadri con marcato effetto optical. Con il Gruppo c’è anche la possibilità di una mostra in Giappone. Forse, alla mia età, sto esagerando? Quest’anno gli anni sono 80 e il loro “peso” incomincia a farsi sentire…

 

Voltandoti invece all’indietro, hai pentimenti per qualcosa che avresti potuto fare diversamente, oppure ti compiaci invece per le scelte che hai fatto in ambito artistico?

Non rinnego le scelte che ho fatto in ambito artistico. Posso anche dire di non essere mai sceso a compromessi, rimanendo sempre fedele al mio genere di ricerca. Ho forse peccato di una forma di “pigrizia”, non facendo conoscere il mio lavoro in maniera adeguata nelle sedi più appropriate. Ma nel secolo scorso Internet era ancora un illustre sconosciuto e comunicare non era così facile come oggi… E oggi è ormai troppo tardi… o forse no?

 

Sinceramente, considerata la vitalità del personaggio, risponderei proprio di no.

 

 

Cattedrale 2

2019