Ritorno a scuola

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Sta per esaurirsi quest’estate stralunata, che recherà nella memoria di tutti noi i segni della titubante incertezza personale (partiamo o no? indosso la mascherina? vado alla festa o meglio di no? torneranno gli amici dalle vacanze in Croazia? riuscirei a tenere aperta l’attività se dovessi essere di nuovo fermato per due tre mesi?), come pure di quella collettiva (cosa accadrà in settembre? voto sì o no al referendum sulla riduzione dei parlamentari? ha ragione il Presidente del Consiglio o quello della Giunta regionale? dove arriverà il debito pubblico che si dilata a vista d’occhio? arriverà questo benedetto vaccino?). Né le domande si fermano qui, sospinte ad accavallarsi da informazioni spesso in contraddizione tra loro, da ansie irrazionali e motivate apprensioni per quanto ci riserva il futuro.

Tra le sporadiche certezze che sembrano profilarsi nel settembre che viene c’è, prioritaria, quella della riapertura delle scuole prevista per lunedì 14. Una prova di tenuta collettiva che coinvolge milioni di italiani, tra docenti, discenti, personale, famiglie, amministratori locali e nazionali, sistema dei trasporti e, naturalmente, il sistema sanitario chiamato a coadiuvare dal punto di vista profilattico, diagnostico e terapeutico questo poderoso impegno dell’intera società. La consegna dei nuovi banchi individuali non è, sia chiaro, il problema fondamentale: il reperimento del personale necessario, il previsto inserimento di nuove forze negli organici, il controllo della temperatura corporea e del distanziamento tra gli studenti, la gestione di piccole o grandi emergenze sanitarie, la predisposizione, il mantenimento e l’affinamento della didattica a distanza che prevedibilmente tornerà a interessare il sistema formativo e, non da ultimo, il lievitare abnorme dei costi gestionali sono tutti elementi di uno sforzo epico cui scuola e alta formazione sono chiamati. Inoltre, far fronte a queste immani problematiche perdendo di vista il fatto che nel sistema scolastico sono riposte le residue speranze di crescita civile e di ripresa economica della nostra società significherebbe tentare la via di una modesta manutenzione dell’esistente, di rattoppi e provvisorie ricuciture di un abito che avrebbe invece bisogno di essere finalmente sostituito.

Anche, o forse soprattutto, in questa contingenza così prolungatamente emergenziale, c’è la necessità di pensare in grande, di discernere, nel confronto tra posizioni diverse, il grano dal loglio, individuando priorità e prospettive, e cercando di ripensare a quanto ha funzionato meno nel passato, anche in quello più recente e magari tuttora in fieri, imposto dalla lotta alla pandemia. Riflettere, ad esempio, su quanto negli scontri politici è dovuto all’autentica ricerca di soluzioni più adeguate ai problemi e quanto invece, sotto queste mentite spoglie, rivela un mero interesse elettorale, una ricerca del consenso estorto, in molti casi, affermando semplicemente il contrario di quanto proposto da un’autorità percepita come antagonista, come puntualmente si è verificato all’indomani di ogni decreto governativo da parte dei presidenti delle regioni, in particolare di quelli espressione di forze che in Parlamento siedono pro tempore all’opposizione. Anche in questo modesto esempio, “pensare in grande” significa costringerci a riflettere se non sia il caso, almeno in circostanze di emergenza, di rivedere un sistema di autonomie modificato a suo tempo sull’onda di una ricattatoria pressione separatista.

Il ritorno a scuola richiederà una concorrente volontà di far fronte ai problemi che quotidianamente ci verranno posti. Tornare a scuola in senso metaforico tutti noi, scegliendoci nuovi maestri, avventurandoci in materie finora trascurate, riprendendo come una buona consuetudine il senso della nostra responsabilità nei confronti della società in cui viviamo. Potrebbe essere un’efficace ripartenza.