Slurp di Marco Travaglio al Bobbio

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Lecchini, cortigiani & penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinato.

di Adriana Medeot

Sold out al Bobbio il 17 dicembre per lo spettacolo di e con Marco Travaglio. Interesse prevedibile per la presenza in scena del noto giornalista, saggista e polemista, che negli ultimi vent’anni ha saputo dar voce a una feroce, puntuale e documentatissima critica ai malvezzi della politica e del costume italiano, attraverso i suoi articoli, i suoi libri, le sue inchieste, i suoi interventi televisivi. Personaggio interessante e di difficile collocazione politica: Travaglio si definisce un liberale, un pensatore di destra; i suoi riferimenti storici sono Cavour, Quintino Sella, Giolitti, quindi la destra storica italiana. Si è formato professionalmente al Giornale di Indro Montanelli, che abbandonerà nel 1994, seguendo il direttore, suo mentore, per fondare insieme agli altri redattori transfughi La voce. Lo scisma tra Montanelli e il suo editore, Berlusconi, è ormai storia: Montanelli si ritirò per non ridurre il giornale che dirigeva a mero organo di partito, nel momento in cui Berlusconi, proprietario della testata, decise di scendere nell’arena politica, con tutte le conseguenze del caso.

Dopo la chiusura nel 1995 de La Voce, Travaglio lavorò come free lance, sino a essere assunto dal 1998 al 2009 da La Repubblica di Scalfari, collaborando nel contempo dal 2002 al 2009 con l’Unità, come editorialista e commentatore. Il suo risulta pertanto un percorso scevro da apriorismi e da ideologie, a confermare il suo punto di vista, espresso in più occasioni: “Il giornalismo ha una funzione di opposizione” (Otto e mezzo, 19 maggio 2015). Tout cour si potrebbe aggiungere: far le pulci a chi detiene il potere è un divertimento? Oppure è un’emergenza morale? Qualsiasi sia la risposta, non c’è giudizio.

Il 14 marzo 2001 la svolta mediatica per Travaglio: è ospite del programma Satyricon di Daniele Luttazzi dove presenta il suo libro-inchiesta L’odore dei soldi, scritto con Elio Veltri, in cui racconta le possibili collusioni di Silvio Berlusconi con la mafia, che sembrano essere all’origine del suo straordinario arricchimento.

È una bomba. Da allora in poi diventa un personaggio pubblico e un’opinionista, da cui, seppur scomodo, nessuno può prescindere. Qualche mese dopo, Silvio Berlusconi, ormai Presidente del Consiglio, pronuncerà il cosiddetto “editto bulgaro”. Luttazzi non metterà più piede in Rai, così come – per un lungo periodo – Santoro e Biagi.

Ora Travaglio è direttore de Il fatto quotidiano.

In Slurp Travaglio è in scena per più di un’ora e mezza, insieme all’attrice Giorgia Salari, che gli fa da contrappunto e, attraverso le parole dei giornalisti asserviti al potere, racconta un’Italia in cui, come diceva Ennio Flaiano, lo sport prediletto è il salto sul carro del vincitore. Non è un caso, ricordava Indro Montanelli, giacché nel Belpaese gli intellettuali nascono alla corte dei mecenati rinascimentali e lì sono rimasti, sempre in cerca di un padrone, di racimolare qualche soldo o di un pasto caldo. Mentre Martin Lutero affiggeva le sue 95 tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg, dilaniato nella sua fede per aver preso consapevolezza della corruzione in cui versava la Chiesa romana, Baldassar Castiglione scriveva Il Cortegiano, eccellente opera ma di argomento di certo più leggero.

E così a partire da Mussolini sino ad arrivare a Renzi, attraverso una lunga serie di citazioni tratte da quotidiani, da documentari giornalistici del ventennio e da servizi televisivi, viene descritta la pessima pratica della cortigianeria e dell’adulazione, che ha ammorbato il giornalismo italiano. Non da meno è il funambolismo dei voltagabbana, i quali al passaggio di testimone da un potente al suo successore smentiscono, in un lasso di tempo brevissimo, quanto detto poco prima, pur di rendersi servizievoli a chi comanda.

Dante mise gli adulatori nella seconda bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, dove, immersi nello sterco, si punivano con le loro stesse mani, in quanto, secondo la legge del contrappasso, avevano vissuto nella sporcizia morale e di conseguenza la pena inflitta constava nel marcire per l’eternità nella sporcizia materiale. Neanche Travaglio scherza: sembra un Savonarola ironico e pacato, con una vena gelida smussata da un a plomb inglese, ma non perdona. Da Bruno Vespa a Giuliano Ferrara, passando per Emilio Fede – e molti altri – un certo modo di fare giornalismo in Italia viene duramente condannato.

Lo spettacolo inizia. Si apre il sipario. La scenografia è semplice: un grande schermo bianco campeggia; alla sua destra la tipica scrivania retrò, lignea e consunta, da quarto potere, emblema della quotidianità del lavoro del giornalista. L’attrice Giorgia Salari all’estrema sinistra del palcoscenico e Marco Travaglio a destra sottolineano le immagini e i filmati attraverso la lettura di articoli coevi pubblicati da giornalisti più o meno noti. Scorrono i fotogrammi di un documentario dell’Istituto Luce in cui si vede Mussolini mentre pratica esercizi ginnici, nel suo fulgore mascolino, con tutto l’ambaradan che ne consegue. La stampa del tempo elogiava le virtù fisiche del duce, la sua prestanza, la sua capacità amatoria. Egli adorava essere celebrato per il suo essere un superuomo e i giornalisti lo accontentarono. Per Berlusconi fu diverso: c’era odore di sacro, di divino e di immortalità nel suo desiderio di essere rappresentato. E i suoi fedeli lo accontentarono. Renzi desiderava dare un’immagine di sé di gran figo? Di giovane moderno e veloce nel risolvere i problemi in contrapposizione a una classe politica vecchia, superata e stantia? Non c’è problema, più di un cortigiano, qualcuno anche in anticipo sui tempi, ovvero prima che diventasse Presidente del Consiglio dei Ministri, così, tanto per portarsi avanti, ha scritto di lui che è un gran figo, che è acuto, intelligente e veloce. L’ha fatto utilizzando le parole, ma ancor più i simboli: per Renzi l’emblema fu la Smart, alla cui guida fu fotografato, a rappresentare dinamismo, voglia di fare, classe media; per Monti fu il loden che indossa abitualmente, simbolo della sua sobrietà e del suo rigore in politica; per Enrico Letta, la fotografia di una vacanza casalinga con i figli in una piscina gonfiabile nel prato di casa, rappresentazione della normalità, da contrapporre alla eccezionalità della prestanza fisica – in odore di immortalità – e sessuale di Berlusconi (non va dimenticato che Enrico Letta è nipote di Gianni Letta, vicepresidente della Fininvest e indagato nel 2008 per reati di abuso d’ufficio, pertanto andava sdoganato da vicinanze berlusconiane). Insomma, il servizio che compie chi vuole compiacere al potere è lo stesso, cambia soltanto la modalità, che varia a seconda dei desideri o delle debolezze di chi detiene il potere. Talvolta non c’è neppure un tornaconto reale e tangibile: è pura piaggeria.

Marco Travaglio ha la presenza scenica di un comico del muto, non sorride mai, è imperscrutabile – viene in mente Buster Keaton – ma la verbosità, la dizione e il ritmo teatrale di un attore smaliziato, ed è davvero convincente e molto bravo. Giorgia Salari fa egregiamente e con passione il suo mestiere; lo spettacolo viene accolto con vero entusiasmo dal pubblico: le risate copiose e fragorose sottolineano le battute. Il tutto si conclude con una standing ovation. Molto, davvero molto divertente.

La regia dello spettacolo è di Valerio Binasco. Il testo è tratto dal libro di Marco Travaglio: SLURP. Dizionario delle lingue italiane. Lecchini, cortigiani e penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinati, per i tipi di Chiarelettere, 2015.