Solo per ringraziare

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La bella vita del critico d’arte (parte ottava): Tiziano Turrin (1912-1975) e Ugo Canci Magnano (1918-1981)

di Giancarlo Pauletto

 

Questo racconto, lo si sarà capito, non segue tracce prefissate, si svolge soprattutto per associazione di idee, anche se non posso negare che ogni tanto mi fermo a considerare quello che ho scritto, e a vedere come posso proseguire evitando, per quanto possibile, di annoiare l’eventuale lettore.

Così, dopo aver parlato dei pittori che, dagli anni trenta e fino agli anni settanta-ottanta del secolo scorso hanno fatto di San Vito al Tagliamento un luogo privilegiato dell’arte friulana, mi viene naturale spostarmi dalle rive del Tagliamento alle rive del Torre, e fermarmi a Tarcento, altra cittadina piccola sì, ma molto significativa nel panorama del nostro Novecento, avendo visto operare, dentro e attorno a sé – e cito solo figure che ho conosciuto bene, di persona o almeno dal punto di vista dell’arte – personaggi quali Tiziano Turrin, Ugo Canci Magnano, Anzil Toffolo, Luciano Ceschia, Tonino Cragnolini, Giancarlo Ermacora.

Tiziano Turrin (1912-1975) è l’unico di cui non ho alcun ricordo personale, anche se conosco abbastanza bene la sua arte avendola incontrata, in più di un’occasione, presso collezionisti, uno in particolare.

Il quale mi prestò alcune sue opere molto belle per una mostra che realizzammo alla Sagittaria di Pordenone tra il dicembre e il febbraio del 2011. Essa s’intitolava L’arte della porta accanto, e veniva spiegata, nella sua essenza, dal sottotitolo: Maestri friulani del Novecento da collezione privata. Opere inedite e rare.

Ho sempre pensato che la storia dell’arte si fa con i quadri, il che sembrerebbe ovvio, ma non è.

Perché bisogna cadere sui quadri giusti.

Uno che cascasse sui quadri sbagliati di un Culòs, di un Michieli, anche di un Turrin e perfino di un Variola, non penserebbe affatto di doverli introdurre in una storia dell’arte, neanche regionale o locale.

Perché dai quadri sbagliati è difficile risalire alla bravura di un artista, che invece si riconosce sui quadri giusti: ma spesso i quadri giusti sono finiti di qua e di là, ed è difficile ritrovarli.

Da questa, che è una costatazione suggerita dall’esperienza, è nata ad esempio la mostra sopra citata, costruita per larga parte con opere inedite di artisti poco conosciuti, troppo poco, come per esempio i pordenonesi Corompai, Vettori, Moretti, o Caucigh, Dri e appunto Turrin di area udinese: confrontando opere di questi e altri autori con quelle di artisti assai più noti, come i Basaldella, Mascherini, Anzil o Pizzinato si vedeva bene che essi non sfiguravano affatto, che la loro qualità pittorica esigeva di essere sottolineata.

E così era per le opere di Turrin, tutte appartenenti non al suo versante espressionista e saturnino, ma a quello invece toccato dalla sospensione lirica: due grappoli d’uva e qualche frutto, alcune rose in vaso, qualche edificio tra cielo e terra potevano essere, per questo pittore, nitide occasioni di pulitissima poesia cromatica.

Una mostra, insomma, fatta per dire che non bisogna mai stancarsi di cercare, perché a volte rendere giustizia ad un artista diventa assai difficile, ma è sempre giusto provarci, per riconoscere a lui il suo merito, e per conservare a noi la bellezza che ha saputo creare, tante o poche volte ha meno importanza, se la bellezza c’è.

 

Ho grande consuetudine con la pittura di Ugo Canci Magnano (1918-1981), l’artista invece l’ho solo sfiorato in occasione di una sua mostra, negli anni settanta, presso il Centro Friulano Arti Plastiche.

La cosa andò così: egli aveva allestito una personale a Pordenone, che io avevo visto, scrivendone poi molto favorevolmente, colpito dalla forza di una pittura semplificata ma ricca di presenza, e di un colore deciso, matericamente capace di rendere – mi sembrava – l’atmosfera stessa dei campi e dei paesi friulani, con figure di braccianti e contadini stagliate in potente presenza iconica, dentro una personalissima interpretazione della poetica del realismo postbellico.

Egli mi scrisse allora una breve lettera in cui si diceva colpito dalla mia comprensione della sua pittura, e mi invitava nel suo studio a vedere i quadri che avrebbe esposto l’anno successivo, marzo 1974, sempre al Centro Friulano Arti Plastiche.

Non andai nel suo studio, per pura timidezza, ma andai all’inaugurazione della mostra, e ovviamente lo vidi, ma non ebbi il coraggio di presentarmi.

Fu così.

A ripensarci oggi me ne vergogno ancora, soprattutto per non aver risposto ad un invito tanto gentile, che avrebbe potuto far nascere un’amicizia, un po’ come quella con Tramontin: anche Canci, infatti, pur essendo più giovane di Virgilio, avrebbe potuto essere mio padre.

Recensii anche la seconda mostra, che mi era piaciuta quanto la prima, e ricevetti una seconda e poi una terza lettera, sempre con lo stesso invito, e sempre formulato con lo stesso garbo.

Da grandissimo fesso, ancora non andai, rispondendo con formule interlocutorie.

Fin che lui, nel 1981, morì, e la storia di questa timidezza dovetti poi raccontarla alla sua vedova, la signora Maria che, attraverso la mediazione di Tonino Cragnolini e ricordando – come mi disse – la stima che suo marito aveva conservato per me nonostante tutto, mi aveva invitato a scrivere un testo sulla pittura di Canci per l’importante catalogo realizzato, nel 1987, da Casamassima: dove mi trovai in ottima compagnia, con Licio Damiani, Tito Maniacco e Carlo Sgorlon.

Ebbi successivamente l’occasione di curare tre altre mostre antologiche del pittore, e anche di inserire suoi quadri in rassegne di gruppo dedicate a temi specifici: per questo dicevo prima di aver grande dimestichezza con la sua pittura, avendo più volte visto non solo tutte le opere rimaste dopo la morte, ma anche parecchie altre incontrate, nelle più diverse occasioni, in casa di collezionisti.

E la lunga frequentazione non ha per nulla – come talora capita – incrinato la mia considerazione per la sua pittura, al contrario, e la ragione l’esprime benissimo Maniacco nel citato catalogo Casamassima: «In ogni caso questo pittore così silenzioso, così tranquillo, è tutto fuorché un trito populista: egli non dipinge il popolo contadino, è dentro il popolo contadino, ne è l’espressione, ne è la voce sicura e sincera, profondamente e audacemente vera».

Amen.

 

 

Tiziano Turrin

La Torre di Sesto

olio su tela, 1969