STORIA E CRONISTORIA DEL CANZONIERE

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Umberto Saba
Storia e cronistoria del Canzoniere
Introduzione di Stefano Carrai
Mondadori (Lo specchio), 2023
pp. 312, euro 20,00

Mondadori pubblica una nuova edizione del volume di Saba con un’introduzione di Stefano Carrai

di Fulvio Senardi

 

Che ogni artista sia incline al narcisistico piacere di narrare di sé, anzi, più radicalmente ancora, che la più segreta sorgente della poesia contenga, tra le tante pulsioni, una spinta di ordine narcisistico è un principio che Saba, appassionato cultore di psicoanalisi, si sarebbe guardato bene dal negare, tanto che nello stesso periodo in cui è intento a comporre quel capolavoro di auto-esegesi che è Storia e cronistoria del Canzoniere, nel saggio che dedica a Poesia, filosofia e psicanalisi (vero atto di guerra contro il crocianesimo in difesa delle ambizioni interpretative del freudismo), fa propria una frase di August Wilhelm Schlegel (citando a memoria e quindi in modo un po’ inesatto): «Jeder Dichter ist ein Narzisus» (ogni poeta è un Narciso).

Siamo nell’immediato dopoguerra: dopo il periodo della dittatura e della caccia all’uomo di cui \era stato vittima in quanto ebreo (ma di identità difficile e rinnegata), il poeta, con l’entusiasmo di chi si risveglia alla vita, sogna un mondo rinnovato di palingenesi sociale e libertà di pensiero, scoprendo, nel tempo stesso, nuovi orizzonti di scrittura. È la primavera del narratore: entriamo nella ricca stagione di Scorciatoie e raccontini (il cui scarso successo delude il poeta, affamato di notorietà) e, appunto, di Storia e cronistoria del Canzoniere.

Carlo Levi
Ritratto di Umberto Saba
olio su tela, 1950
Università di Trieste
Pinacoteca del Rettorato

Un libro di assoluta originalità in cui, attraverso l’analisi della propria poesia, Saba, pur con marcata angolazione auto-apologetica, consegna un segnale più ampio che, oltre la letteratura, investe l’uomo nella sua complessità, creatura che non vive di solo pane ma, appunto, anche di poesia, quando essa nasca impregnata del “sacro” della vita di quaggiù. Una prospettiva ampia e radicale che può essere compresa solo sull’orizzonte dell’infatuazione freudiana del “secondo” Saba (a partire dalla raccolta Il piccolo Berto) per il quale la poesia è anche “terapia”, ovvero garantisce e valorizza ciò che di noi fa uomini («esser uomo fra gli umani/ io non so più dolce cosa»), mentre nutre la speranza che dopo il «nero fascista e il nero prete» (Opicina 1947) possa giungere un’epoca di giustizia e libertà. Questa la caratura “umanistica” dell’attività intellettuale e dell’impegno, in senso lato, “politico” di un poeta che è stato anche un grandissimo scrittore, padrone di una parola limpida e leggera, eppure sostanziosa per i valori che veicola, e capace di fluttuare elegante alle brezze dell’ironia. Ma, posto che per Saba la poesia non è distanza (l’ermetismo), ma totale immersione, esile filo di ragno che si attorciglia intorno all’esistenza, l’arricchisce, la spiega, ne rivendica le ragioni, e pone, con struggente caparbietà, le domande che è impossibile eludere, ecco che la misura autobiografica non può che prendere in lui la forma di un discorso sulla propria opera, Il Canzoniere. Prospettiva assai diversa dunque da quella di altri triestini (lo Svevo del Profilo autobiografico, lo Stuparich di Trieste nei miei ricordi) perché è nella poesia, suggerisce Saba, che la vita affluisce e si fa trasparenza, ed è quindi da lì che bisogna partire, rivendicandone la complementarità con l’esistere stesso, su quella linea dove arte e vita si confondono in virtù di una medesima energia creativa, di una eguale libido.

C’è ovviamente, in Storia e cronistoria una parte più caduca e meno sostanziale, e sono le sferzate polemiche, con nome e cognome chiaramente indicati, contro chi nega il valore del Canzoniere (o di parte di esso), schierandosi con Petrarca, esile fiammella di luce, contro Dante, il sole accecante che ogni altro bagliore cancella (Saba non lo dice in termini assolutamente espliciti, ma è su quelle altezze che colloca il proprio fare di poeta). E vi è una parte destinata a durare, vibrante di geniali intuizioni, ricca di brillanti aforismi, le pagine in cui Saba condivide con noi il processo di creazione, ne illustra le occasioni, ne spiega il decorso dall’esperienza alla scrittura, dal sentimento alla parola. E non si tratta di distillazione ma, con tutte le scorie che ciò trascina (ben lontano per questo da ogni tentazione estetizzante), di commistione.

Stefano Carrai

Bene, questo libro ormai introvabile, esaurita l’edizione dell’Opera Omnia sabiana per i Meridiani di Mondadori, viene riproposto ai lettori dal medesimo editore nella collana “Lo Specchio”, con la preziosa introduzione di uno che se ne intende, Stefano Carrai. «La sua spiccata propensione all’autointrospezione e all’autoriflessione», spiega Carrai, «ha fatto sì che nel Novecento italiano la palma nel campo dell’autocommento spetti a Umberto Saba», e più precisamente a Storia e cronistoria del Canzoniere, che viene ad acquisire il senso di «un’autobiografia scritta […] sui margini delle poesie». Non nega l’illustre prefatore che la «specula privilegiata dell’autore implic[hi] uno sguardo non imparziale, anzi tendenzioso […] per ciò che riguarda dichiarazioni e giudizi sulla propria poesia», ma come farne una colpa a chi per buona parte del maturo Novecento è stato giudicato, anche in sedi illustri, un parvenu nel pomerio delle Muse, da accettare con un sorriso di degnazione, collocandolo un passo indietro rispetto alla grande triade consacrata di Ungaretti-Montale-Quasimodo?

Per fortuna i tempi sono cambiati, ma la filologia arranca ancora con ritardo. Nessuna grande operazione critica a beneficio di Storia e cronistoria appare per ora all’orizzonte, così come sì è fatto – e il merito va tutto a una piccola e squattrinata associazione, l’Istituto giuliano di storia cultura e documentazione di Trieste e Gorizia – per le Scorciatoie, con un convegno nel 2017 e un libro (Nel mondo di Saba : le “Scorciatoie” di un poeta saggio, 2018), che ora gira il mondo a parlare del Poeta e della sua città.

Non saranno i milioni del Comune di Trieste (vedi Il Piccolo, 27 luglio 2022: «Dalla tassa di soggiorno tre milioni per musei e grandi eventi»), a rendere possibile un simile evento; se l’Amministrazione non riesce nemmeno a mettere in sicurezza le strisce pedonali, figuriamoci se intende spenderle per un poeta, specialmente quando bisognerebbe attingere dalla cornucopia dell’autocratico Assessore competente, che intanto inonda Trieste di inutili mostre “chiavi in mano” che non spostano di una virgola le conoscenze sugli artisti accolti nei musei cittadini, dimostrando di non aver nulla capito di quella parola “cultura” di cui pure il suo assessorato si fregia. Trionfa, per miopia politica, lo zerbinaggio del pubblico nei confronti del privato, le Srl cui il Comune ha appaltato gli eventi-monstre, e Trieste-land è ormai parco a tema per croceristi di tutto il mondo, con il centro sfigurato dalla foodification (e farsi un giretto in Piazza della Libertà, per vedere come l’uomo bianco tratta gli “etnicamente inferiori”?) Non disperiamo però. C’è ancora chi ha voglia ed energie per remare controcorrente, come del resto dimostra la stessa esistenza di questa rivista che ha varcato già da qualche mese il traguardo degli otto anni di vita.