Tra erotismo ed eresia

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In due saggi, immagini contraddittorie di un Rinascimento in parte sconosciuto

di Alberto Brambilla

Leggendo Rinascimento Babilonia. Una storia erotica dell’arte italiana (Marsilio 2020) di Luca Scarlini, tornano inevitabilmente alla mente alcuni film di Pier Paolo Pasolini, in particolare La Trilogia della vita, che comprende Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), e Il fiore delle Mille e una notte (1974). Con essi il regista voleva recuperare, attingendo a capolavori letterari del passato, quella naturale e gioiosa dimensione sessuale che aveva dominato per secoli e che invece l’aggressiva società tecnologica tendeva, a suo avviso, a censurare, e a colpevolizzare.

In effetti Scarlini si pone in una dimensione analoga, solo restringendo la sua prospettiva all’ambito umanistico-rinascimentale. La ripresa e anzi la venerazione per i modelli artistici del passato, riesumati in quei decenni, esempi eccelsi di una libertà espressiva allora inaudita e di un’esaltazione altrettanto inedita per il corpo, portò infatti la società colta dell’epoca a un’imitazione non solo estetica ma anche, per così dire, comportamentale. Da qui in campo letterario la produzione di un’orgia di trattati, di libelli, di scritture poetiche che rivelavano e magnificavano ogni sorta di piaceri sessuali (e non) sino ad allora sconosciuti ai più. Scarlini è abilissimo nell’addentrarsi con somma erudizione e pari leggerezza di stile in questi innumerevoli testi che celebravano in varie forme la divina Voluptas; essi, spesso scritti in latino, ebbero una certa diffusione tra Quattro e Cinquecento inoltrato prima di ricadere nell’oblio. Spaziando da una regione all’altra di quell’Italia politicamente divisa (da Siena a Ferrara a Roma e a Venezia, vera capitale del piacere), con dotti riferimenti alla letteratura e ad altre esperienze artistiche, l’autore ci propone una sorta di petit tour del piacere più sfrenato, sotto l’egida protettiva della classicità risorta. Pretesti culturali per la celebrazione di una nuova morale libertina.

Siamo in tal modo proiettati nelle alcove più segrete o nelle case di piacere o nelle corti più esclusive dove dominano cortigiane, prostitute, ermafroditi, castrati, pederasti e cultori d’ogni stranezza. Un mondo a suo modo gioioso e spregiudicato che coinvolgeva alti prelati, signori, patrizi, intellettuali e una frotta di giovani di belle apparenze e altrettanto vivide speranze. Scarlini è abile a ricercare in questi comportamenti – che oggi giudicheremmo ‘alternativi’ se non scandalosi – , una sorta di discendenza che si protrae nei secoli successivi per arrivare ai poeti a noi più prossimi come Costantino Kavafis o Sandro Penna. Sarà la reazione della Controriforma (o, se vogliamo, della Riforma Cattolica) a sconvolgere quel mondo, scacciando i mercanti dal tempio, mettendo al rogo i libri proibiti, ignorando le immagini oscene e bruciando persino streghe ed eretici. Nascerà qualcosa di profondamente diverso, in nome della religione riformata ab imis; vigilerà un’intransigente censura, saranno messi i mutandoni a coprire le parti intime di sculture ed affreschi: nascerà insomma una nuova morale di cui noi, volenti o nolenti, subiamo (o godiamo) ancora le conseguenze.

Naturalmente (o per fortuna, vedete voi) non tutti si adegueranno a queste direttive morali che troveranno sostegno nel braccio della legge di re e imperatori cattolicissimi. Valga per tutti un esempio. Vissuto 72 anni, di cui 33 trascorsi in carcere, seppellito al mondo, o quasi, perché miracolosamente i suoi scritti continuano a circolare tra i suoi adepti. Più volte indagato e torturato a sangue dall’inquisizione, più volte sospinto vicino al rogo. Ora finto pazzo, ora lucido indagatore dei segreti del cosmo, comunque spirito mai domo. Questa è, in sintesi, la storia esterna del domenicano Tommaso Campanella (1568-1639), di professione teologo e ancor di più filosofo, una delle menti più fervide e rivoluzionarie a cavallo dei due secoli. Nei manuali scolastici è di solito associato all’altro spirito ribelle e demoniaco, l’eretico Giordano Bruno (1548-1600), lui sì arso a Campo dei Fiori per ordine della Santa inquisizione; la stessa, per capirci, che aveva risparmiato il pentito Galileo (1564-1642). Al negromante e demoniaco profeta le cose andarono un po’ meglio, forse per influsso degli astri. È La città del sole l’opera comunemente più nota di Campanella, quella che si studia a scuola, per intenderci, come esempio di stato utopico dove vige la comunione dei beni, la parità dei sessi, l’esaltazione della cultura e della libertà.

In effetti questo trattato in forma dialogica non è che una minima parte dell’opera del filosofo calabrese, anche se esprime in maniera efficace il nucleo del suo pensiero incandescente. Tra le varie colpe attribuitegli, Campanella fu accusato infatti d’aver tentato una rivoluzione nella sua Calabria, al fine di istituire una repubblica che restituisse a tutti gli individui la propria «libertà naturale», in nome dei suoi ideali che erano quelli di libertà, di giustizia sociale, di eguaglianza.

Dunque un pericoloso rivoluzionario sul piano sociale, come sul piano filosofico, con una spiccata simpatia per le indagini galileiane. Ma è soprattutto la sua feroce critica al cristianesimo – forza a suo dire oscura e reazionaria – a cui vorrebbe sostituire una religione naturale di orientamento libertino e panteistico, a dare fastidio alle autorità ecclesiastiche. Di queste e di altre vicende, non semplici da dipanare, rende conto un denso saggio di Luca Addante, Tommaso Campanella. Il filosofo immaginato, interpretato, falsato (Universale Laterza 2020). Come si evince dal titolo, lo studioso affronta il tema da una prospettiva storiografica particolare, cercando di restaurare un’immagine di Campanella verosimilmente più vicina alla realtà storica; immagine su cui i secoli hanno steso diverse incrostazioni di pigmenti e resine che ne hanno pericolosamente alterato i tratti. Come dire che ogni epoca ha cercato di interpretare il pensiero e la biografia secondo le proprie esigenze, non esitando a forzare i documenti e addirittura a falsificarli, proponendo ad esempio un eretico pentito che in fin di vita ritorna nel seno di madre Chiesa. Un esercizio di destrutturazione che Addante compie con acribia indicando un metodo di lavoro che andrebbe esteso alla contemporaneità.

Luca Scarlini

Rinascimento Babilonia

Una storia erotica dell’arte italiana

Marsilio, Padova 2020

pp. 208, euro 17,00