Un grande professionista

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Il fotogiornalismo e la stagione de Il Mondo di Mario Pannunzio nelle immagini di Paolo di Paolo

di Fabio Rinaldi

 

Il fotogiornalismo in Italia, per lo meno quello come viene inteso nell’accezione europea, parte in ritardo a causa delle restrizioni e delle censure imposte dal regime fascista. In fotografia i primi sintomi di una volontà di rinnovamento della comunicazione tramite l’immagine rispetto ai dettami imposti dal regime, si può rintracciare nel messaggio di Alberto Lattuada che con il suo volumetto del 1941 Occhio Quadrato propone una visione di Milano non convenzionale fatta di periferia, di rapporto fra l’uomo e le cose, della vita di tutti i giorni, in antitesi al modernismo delle immagini molto leziose della “bell’Italia” delle ricerche formali e di stile in voga in quegli anni. L’intuizione di Lattuada di fatto getterà le basi al neorealismo, consacrato poi negli anni ’50 dalle immagini di Franco Pinna e Ando Gilardi quando accompagnarono l’antropologo Ernesto de Martino in Lucania e in Calabria per studiare le civiltà contadine del sud Italia.

Tra i periodici ad aprire la stagione del fotogiornalismo fu nel 1937 quello di Leo Longanesi, Omnibus giornale elegante che aveva per primo riunito: criteri di impaginazione tecnica di stampa, ricerca dell’immagine e un formato adatto a contenere i servizi fotografici, purtroppo ebbe una breve stagione in quanto non gradito dal regime, fu però precursore e guida e indicò la strada alla maggior parte delle riviste che ne seguirono.

Ma il vero inizio viene da molti fatto coincidere, nel 1939, con la fondazione della testata Tempo di Alberto Mondadori. La rivista nasce sulle tracce di Life, ma grazie alla direzione artistica di Bruno Munari e l’intuizione fotografica di Federico Patellani, supera il concetto del racconto fotografico introdotto da Lorant inventando il “fototesto”, uno scritto didascalico fatto dallo stesso fotografo a commento della fotografia. Questa innovazione, che avrebbe dovuto far crescere la figura del fotografo, trova da un lato impreparati fotografi e agenzie, ancora condizionati dalle regole del regime, e dall’altro le redazioni, che continuano a preferire investire poco sulla fotografia, gestendo piuttosto un forte turn over di giovani fotografi dalla produzione di immagini piuttosto standard.

A questa situazione fanno eccezione alcune testate quali Le Ore, L’Espresso, Vie Nuove, il Mondo 1949, Epoca 1950, ma mentre quest’ultima rimane indissolubilmente legata al nome del fotografo Mario De Biasi, Il Mondo trova nella figura del suo raffinato fondatore ed editore Mario Pannunzio un attento ricercatore della qualità delle immagini tanto da venir considerata, anche, la miglior rivista fotografica dell’epoca. Del resto il settimanale si distingue subito per la costante linea di impegno civile e di totale indipendenza nei confronti del mondo politico ed economico. Pannunzio nel suo giornale cerca di creare una terza forza liberale democratica e laica che faccia da cuscinetto fra i due grandi blocchi marxista e democristiano venutisi a creare con le elezioni del ’48 e per fare ciò si avvale di collaboratori di qualità dando di fatto vita al giornalismo d’opinione. Sul suo giornale si susseguono grandi firme quali Croce, Salvemini, Einaudi, Menn, Orwell, Moravia, Brancati, Soldati, Flaiano, Tobino, Colosso tanto che a breve esercitò un’influenza di gran lunga superiore alla sua tiratura e può essere considerato tra i più autorevoli periodici culturali del secolo scorso.

Anche sulle immagini Pannunzio ricerca la stessa attenzione con un uso sobrio ma incisivo della fotografia, di qualità e non quantità, scegliendo lui stesso le immagini nella costante ricerca di fotografi che sapessero interpretare con forza e chiarezza i fatti. Le immagini venivano poste in posizione centrale e il testo aveva la funzione di girar loro attorno. Per i fotografi essere pubblicati su Il Mondo era diventato un traguardo, una distinzione, una garanzia delle loro capacità.

Molti sono stati i fotografi de Il Mondo, dalla scuola milanese Patellani, Meldolesi, De Biasi, Dondero, Mulas, Colombo, Camisa, Casiraghi, Lucas, Cappelletti, Capellini, Cerati, i veneti Roiter e Berengo Gardin, il friulano Dalla Mura, dalla scuola romana Garrubba, De Martiis, Pinna, i Sansone, Volta, Di Paolo, Contino, Rea, Cascio, Vespasiani, Sorci, Spinelli, Scalfati, i toscani Branzi e Cagnoni, i siciliani Sellerio, Minnella e Scianna, perfino qualche prezioso apporto straniero Horvat, List, Sieff, ma quello che ha collezionato il maggior numero di presenze sulla testata è stato senza dubbio Paolo di Paolo con 553 immagini pubblicate, come pure è sua la prima fotografia firmata sul primo numero del giornale.

Le foto di Paolo di Paolo si inseriscono in questo quadro e in ogni scatto è racchiusa la storia di quel periodo, sono frutto della sua attenzione al rispetto della persona, percepita dall’essere un dilettante cioè lontano dalla professione che lega le immagini alla commissione, e questo non è un limite anzi, come mi diceva lui, «rientrare nella categoria dei dilettanti era nobile ed indipendente, aliena da finalità di guadagno che riscatta l’autonomia creativa che la fotografia, non meno delle altre arti, concede allo spirito». Come scrisse Emilio Cecchi «il roseo compiacimento del proprio lavoro è esclusivo retaggio dei dilettanti». E quanto è vero il suo dire «che non si è pittori, musicisti o poeti per professione, ma per vocazione. Non si scrivono versi o concerti su commissione, essendo questa una condizione limitativa di ogni libertà creativa». Mi confidò «Ma è soprattutto vero che ho fotografato con diletto per una stagione sola, quella de il Mondo di Pannunzio. Quando quel giornale chiuse io appesi la macchina fotografica al simbolico chiodo, con infinita tristezza».

 

 

Paolo di Paolo è nato a Larino in Molise nel 1925, anche se presto si trasferisce a Roma dove intraprende gli studi di Filosofia, Nei primi anni Cinquanta si unisce al gruppo Forma di artisti facente capo a Mafai dove decide di sviluppare col mezzo fotografico il suo interesse per le arti figurative. Nel 1954 esordisce su il Mondo, inserendosi attivamente in un sodalizio che durò fino alla chiusura della testata. Infatti l’8 marzo del 1966, dopo l’uscita dell’ultimo numero inviò un telegramma al direttore Mario Pannunzio con scritto «Per me e per altri amici muore oggi l’ambizione di essere fotografi». Ha collaborato anche con il settimanale Il Tempo di Arturo Tofanelli, e firmato importanti inchieste e servizi con Pier Paolo Pasolini, Antonio Cederna, Lamberti Sorrentino, Nino Gerrini, Mirella Delfini.

Dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Sessanta, grazie ai rapporti di amicizia stabiliti negli ambienti del cinema e dell’arte, realizzò importanti reportage su personalità: fotografò l’ex sovrano italiano, Umberto II, in una dimensione non ufficiale, insieme ai figli; Enzo Ferrari in fabbrica fra i suoi operai e i suoi motori; Anna Magnani nella sua villa al Circeo con suo figlio Luca; Oriana Fallaci, tutti ritratti in una dimensione non convenzionale, ma più privata frutto di una rapporto di fiducia e rispetto o come dice lui «ritratte umanamente sorridenti, cioè vere».

Nel 1970 il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri gli affidò l’incarico di ‘definire’ fotograficamente, in ogni aspetto, l’immagine del carabiniere. Avviò così una collaborazione sviluppatasi nel tempo anche in campo grafico, curando numerose pubblicazioni, tra cui il prestigioso e premiatissimo calendario storico di cui è stato per molti decenni l’Art Director.

Ci ha lasciati il 12 giugno scorso.

 

Fabio Rinaldi

Paolo di Paolo

Trieste, 2009