Vissuto da lui, sofferto da lei

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Questi due libri tanto diversi che si affiancano per casi editoriali sono eloquenti al massimo grado proprio nella contiguità

di Gabriella Ziani

 

«Ricordo di aver preso delle uova alla Benedict per la prima volta dietro suggerimento di Donald e di averle apprezzate molto». Anche uno spuntino con nuovi anche se modesti sapori, poiché consumato in un lussuoso hotel di Chicago, poco prima di incontrare per la prima e ultima volta il grande linguista Roman Jakobson, è degno di essere confessato ai lettori e ai posteri per David Lodge, uno dei più prolifici e divertenti scrittori britannici di quest’ultimo mezzo secolo, ma anche docente universitario a Birmingham dal 1960 al 1987, autore di saggi critici, testi teatrali e riduzioni per la tv, e spassoso dissacratore del mondo accademico inglese e americano (Scambi, Il professore va al congresso, Ottimo lavoro, professore, ma notevole anche il più mesto Il prof. è sordo). A molte migliaia di chilometri di distanza, ad Annecy, in Francia, intanto: «Sette di sera, apro il frigo. Due uova, un po’ di panna, insalata, tutto il cibo è schierato sui ripiani. Nessuna voglia di preparare la cena, anzi peggio, nessuna idea. […]. Allora vado sul sicuro, in automatico, l’accoppiata classica, spaghetti e uova al tegamino». Però quelle di Annie Ernaux, luminosa stella della letteratura francese, nata nel 1940 mentre Lodge, quasi coetaneo, è del 1935, sono uova molto più amare e insidiose. Anch’esse memorabili, ma per motivi opposti: non c’è un genio della linguistica a condividere la mite pietanza mentre si è in giro per il mondo a convegni internazionali, ma un marito “che lavora” e si fa troppo servire, stressando oltre i limiti una donna (intellettuale, professoressa, scrittrice) che è in totale ribellione sul ruolo da perfetta casalinga, e sta per buttare tutto all’aria, dopo aver dissezionato l’enormità dei propri malesseri esistenziali.

S’incontrano però adesso in libreria, questi due eccellenti, entrambi con la propria autobiografia, due testi così diversi nello scopo e nell’anima da prestarsi perfettamente a una riflessione sul genere (peraltro qui già più volte affrontato in una varietà di autori/autrici). Per Lodge il corposo La fortuna dello scrittore. Memoir 1976-1991 è il secondo volume dopo Un buon momento per nascere. Memoir 1935-1975, e precede il terzo in uscita in Inghilterra da Random House a fine maggio, Varying Degrees of Success. A Memoir 1992-2020 (Vari gradi di successo). Come ha dichiarato in un’intervista a Paola Zanuttini (Il Venerdì, 1.o marzo 2021), l’operazione-ricordo era stata programmata, temendo di non aver più idee in campo narrativo il pluritradotto scrittore ha preso a tener diari e ritagli per ricostruire ogni momento della sua esistenza, e infatti non ne trascura alcuno: la scuola dei tre figli, di cui uno down, la tattica per essere cattolici in un contesto anglicano, e anche per restar cattolici pur avendo perso la fede, la genesi dei romanzi, i rapporti con editori, traduttori e giornalisti, la serie ininterrotta di convegni universitari in tutto il mondo con annessi giri turistici gratis (bei tempi, professore…), i voli aerei, i premi e le giurie, le cene di gala, le recensioni positive e negative, i luoghi di vacanza con la famiglia, i sabati al club del tennis con la fedelissima e arguta moglie Mary, la rete di amicizie, l’acquisto di un loft a Londra quando il conto in banca è diventato consistente, l’assiduità nel curare il lancio dei romanzi tanto in Europa quanto in America, la cocciutaggine e pazienza nel voler spingere per la messa in scena di una commedia che più volte non trova esecutori, ma alla fine sì.

Scrive Zanuttini: «Ci vuole una buona dose di autocompiacimento – o interesse di sé – per scrivere, oltre a parecchi romanzi ispirati dalle proprie esperienze personali, due autobiografie che, messe insieme, rasentano le mille pagine. Ma David Lodge a 86 anni non è ancora soddisfatto e smentisce vigorosamente l’ipotesi di reputare conclusa l’operazione ricordanze». Infatti siamo in attesa del prossimo capitolo. Severo il giudizio di un’anglista come Silvia Albertazzi (Il Manifesto, 11 aprile 2021): «Corredato da una serie di (brutte) istantanee in bianco e nero tolte dall’album personale dell’autore, il volume è utile agli studiosi dell’opera di Lodge tanto quanto risulterà noioso per il resto dei suoi potenziali lettori». Ma, foto a parte, è proprio così?

Alla Ernaux, oggi già fra i classici in Francia, nessuno può rimproverare di aver prodotto sempre e solo libri autobiografici, di cui l’ultimo tradotto in Italia, La donna gelata, fu composto già nel 1981: questa è la sua cifra e la sua ragion di scrivere, e l’operazione combinata di ripensarsi e raccontarsi con modalità di anatomopatologo e di sociologo travalica i suoi personali destini per diventare messaggio di temi sociali, politici, esistenziali, senza mai lasciare sul campo sospetti di autocompiacimento, tale è la radicalità sofferta, esplicita, analitica, a tratti spudorata, con la quale si mette al microscopio offrendosi come esempio di esperienza (infantile, giovanile e adulta) e prototipo di pensiero. La donna gelata, ha raccontato in numerose recenti interviste, per ragioni storiche contingenti fu mal capito dal mondo femminile francese al momento della pubblicazione, ma oggi è studiato nelle aule universitarie: è un libro che cattura, sorprende e affascina, ma non per la mera umana curiosità di ficcare il naso nei fatti degli altri – effetto che più probabilmente produce il Memoir di Lodge, tutto un susseguirsi di eventi, fra pochi e sbrigativi sentimenti.

Chi già conosce Il posto, L’altra figlia, Vergogna, Memoria di ragazza (tutti pubblicati in Italia da L’Orma) ritrova nella Donna gelata il quadro d’assieme – e il finale della storia. E vede bene il telaio “scientifico” di cui Ernaux ha cominciato a far uso dopo aver introiettato le teorie del sociologo Pierre Bourdieu (1930-2002), secondo il quale a determinare i destini individuali non sono tanto le dinamiche economiche e di classe, quanto il potere delle élite culturali di produrre una narrazione “simbolica” confacente, che diventa il vero discrimine, con conseguenze anche materiali. E così Ernaux nota e soffre i meccanismi che ha visto attraversare la propria persona. Mentre l’ideale femminile corrente era la donna bella, dolce, sposa felice e mamma devota, casalinga sublime, lei era nata in un villaggio e in una famiglia dove le cose andavano al contrario, dato che sua madre gestiva con piglio una drogheria annessa all’abitazione (spronando la giovane figlia a leggere e farsi un’istruzione senza mirare in basso e cioè al matrimonio) e suo padre lavava i piatti, nel frattempo a scuola le suore instillavano pensieri sessuofobici ma le ragazzine per strada erano campionesse di malizia e maestre nell’arte del flirt e dell’alcova.

Questa frattura senza collante si allarga col tempo, il disadattamento di Annie s’ingigantisce nel percorso scolastico, ha un esito terribile durante un’estate in colonia dove la confusione sui modelli morali e sessuali deflagra per la giovane “educatrice” in un’esperienza tanto maldestra quanto profondamente umiliante sotto ogni punto di vista (vedi Memoria di ragazza che ne è l’ingrandimento doloroso, spietato: «Ho raccontato la vergogna», dirà la scrittrice). Il risultato sono anni di bulimia. Poi la volontà di studiare, finalmente trovare la propria identità. E il matrimonio. E un figlio. E un secondo figlio. E il replicarsi velenoso dei due modelli che convivono ma non possono coesistere: Annie Ernaux non sopporta – ed è dettagliata – lavandini da pulire, pasti da cucinare, bimbi da accudire e portare al parco, gli scaffali del supermercato, le lodi della suocera per meriti casalinghi, dover studiare nei ritagli, e tutto il resto, mentre l’iniziale “partnernariato” col marito scivola dritto verso uno squilibrio: il brav’uomo finisce per pretendere pasti pronti all’ora giusta, figli già messi a dormire, e guai a uno straccio dimenticato in giro.

Il libro porta una dedica, «A Philippe». «Era il mio modo di dirgli: bisogna che tu capisca perché ho scritto queste cose» ha riferito la Ernaux. Poco dopo si separarono, forse aveva capito, comunque non gradito quel modo un tantino crudele di dirle chiare e dure a lui, e a tutta la piazza.

Così dunque questi due libri tanto diversi che si affiancano per casi editoriali sono eloquenti al massimo grado proprio nella contiguità. Sono lo specchio di una condizione e di un pensiero al femminile e al maschile. L’una è soggettiva, profonda, problematica, sofferta, si sottopone ad analisi chimica all’interno di un vasto contesto. L’altro è oggettivo, proiettato all’esterno, viaggia senza limiti e senza spese per ogni meta, tanto da argomentare che gli aerei hanno trasformato il mondo in un campus globale. Conosce, incontra, progetta, ha il necessario silenzio per documentarsi e scrivere, e la moglie lascia fare. Non si emoziona per i libri degli altri (è prudente nell’esprimersi a tal riguardo), ricorda ogni scaramuccia e gaffe coi colleghi, cita la morte di questo o quello come a matter of fact, ci rivela con puntigliosità i retroscena del Booker prize di cui diventa anche presidente, disamina a lungo sulla scelta delle scuole cattoliche per i figli (non senza svelare qualche compromesso), così mettendo a nudo un po’ del contorto sistema scolastico inglese. E, sempre più stupiti dalla cura del dettaglio, e ammirati per una tale solida arte del saper narrare, infine leggiamo anche quali mobili Lodge ha acquistato per arredare il suo loft londinese, un auto-premio al successo internazionale tradotto in un conto in banca che è diventato tale da consentirgli di lasciare l’insegnamento universitario per fare lo “scrittore indipendente”. La nota finale è altrettanto uno squarcio di “dietro le quinte”, quando Lodge riflette sull’andazzo dei tempi: ai suoi, bisognava avere uno stipendio da docente per potersi permettere di essere anche uno scrittore, oggi al contrario gli aspiranti scrittori vogliono partire dalla cima e si guadagnano da vivere grazie alle pseudo-cattedre di “scrittura creativa” che fioriscono un po’ dappertutto.

Non c’è, in questo autoritratto, la squillante vena umoristica e satirica che Lodge ha disseminato nei suoi numerosi romanzi, non vediamo un’eco dei suoi esilaranti professori Philip Swallow e Morris Zapp, e neanche faccende di sesso che turbinano assai nella sua produzione – nei libri già citati ma anche in Quante volte figliolo?, che come si intuisce dal titolo è una semiseria satira, senza pruderie, sulle regole proibizionistiche della religione cattolica, con conseguenze a cascata per giovani coppie, tassi familiari di natalità e sensi di colpa. Ma vediamo, e bene, con quali politiche, capacità ed energie si costruiscono libri, carriere, rapporti internazionali, fama e successo senza fermarsi mai per anni e anni.

Lodge dunque corre e si costruisce, Ernaux si ferma e guarda dentro. Abbiamo in mano due modelli, due destini, due rappresentazioni. E se l’apertura alare maschile si fondesse con la densità emozionale femminile? Fatta salva l’identità profonda da non scalfire, questo è il tema del giorno e non solo un progetto per il futuro.

 

David Lodge

La fortuna dello scrittore

Memoir 1976-1991

traduzione italiana di

Mary Gislon e Rosetta Palazzi

Bompiani, Milano 2021

  1. 464, euro 34,00

 

Annie Ernaux

La donna gelata

traduzione italiana di

Lorenzo Flabbi

L’Orma editore, Roma 2021

  1. 192, euro 17,00