XENOFOBIA: UNA BRUTTA STORIA

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E’ probabilmente antica quanto la politica la tendenza a indicare alla propria gente – il più delle volte allo scopo di distrarla dai problemi concreti e reali – un nemico. possibilmente esterno, percepito come diverso ed antagonista rispetto alla cultura, al modo di vivere e di sentire della maggioranza dei cittadini. Se esterno rispetto ai confini, com’è stato per le crociate, bene, ma se interno al nostro stesso tessuto sociale può adattarsi ancora di più alla bisogna, com’è stato per secoli con gli ebrei della diaspora, indicati al pubblico disprezzo come “deicidi”, e poi in un crescendo di accuse fondate su luoghi comuni e pretese appartenenze a organizzazioni ispirate a metodi e comportamenti criminali, che hanno finito per condurre inevitabilmente a persecuzioni sempre più accanite, ai pogrom, fino all’immane tragedia della Shoah.

L’esperienza così drammatica che ci perviene dalla storia pare aver insegnato poco o nulla agli italiani di oggi, come pure a tanta parte degli altri europei. perché ovunque la destra più estrema sembra mietere consensi soprattutto lusingando gli elettori mediante programmi politici, spesso inattuabili, di chiusura dei flussi di migranti che sono sospinti verso i confini dell’Unione Europea da situazioni politiche, sociali ed economiche inaccettabili. Indicare a un’opinione pubblica informata solo superficialmente queste masse di disgraziati esuli come portatori di sporcizia, di malattie, di criminalità, di stravolgimento dei valori fondanti della società, contribuisce a coltivare una diffusa e spesso inconsapevole xenofobia. Tra i corollari di questa ingannevole rappresentazione della realtà, inquietanti fenomeni, quali per esempio l’implicita rassegnazione rispetto agli sgambetti di ogni genere esercitati a contrastare la benemerita attività delle navi di organizzazioni non governative impegnate nei salvataggi in mare dei naufraghi, impedendo loro salvataggi multipli, o indicando improbabili porti di approdo, tutti ubicati nelle aree centro-settentrionali della penisola, possibilmente sul versante adriatico, in modo da prolungare la navigazione, con lo scopo di allontanare le navi dalle rotte sulle quali avvengono i naufragi. Una situazione di ipocrisia gestionale della quale dovremmo vergognarci tutti: sia coloro che tali procedure hanno studiato e predisposto, che coloro che sono costretti ad applicarle, sia quelli che approvano che quelli che tacciono e accettano senza protestare.

Alle “politiche” governative che hanno finora condotto a una moltiplicazione esponenziale dei flussi migratori aventi come meta il nostro Paese si assommano i provvedimenti amministrativi di sindaci che, sull’esempio di quella di Monfalcone, sono rivolte contro gli immigrati pur dotati di regolare permesso di soggiorno, che nella città dei cantieri costituiscono poco meno del 30 per cento della popolazione residente. cui s’intende proibire persino il bagno in mare di donne vestite, ma che ha raggiunto il culmine con disposizioni che vietano la preghiera collettiva col pretesto che essa non è consentita dalla destinazione d’uso degli immobili in cui essa viene praticata. E ciò in violazione dei principi stabiliti dalla Costituzione della Repubblica che il sindaco ha giurato di osservare lealmente, e che al contrario pare tenere in non cale, quantomeno per ciò che concerne gli articoli 3, 8, 17, 19 e 20.

Contrastare con questi ed altri discutibili o estemporanei divieti le comunità minoritarie è il contrario di quanto si dovrebbe invece procurare in termini di integrazione degli stranieri, contribuendo ad accrescere e non certo a diminuire i rischi connessi a una emarginazione – per di più di una così nutrita minoranza di cittadini – conseguendo forse il compimento di un inconfessabile obiettivo propagandistico che potrebbe costare assai caro all’intera comunità, fatta di cattolici, musulmani, laici, agnostici e atei, che andrebbero tutti ugualmente tutelati nei loro convincimenti.