6+5 donne di Giacomo Scotti

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La scrittura femminile (in versi e in prosa) dell’Istria e del Quarnero narrata dal prolifico autore, fiumano d’adozione

di Fulvio Senardi

 

In questi mesi di sofferta quarantena il vulcanico Giacomo Scotti porta un altro volume suo nelle vetrine delle librerie: Sei più cinque donne con la penna in mano – Scrittrici e poetesse dell’Istria e del Quarnero. L’opera va ad aggiungersi a quell’elenco ormai nutrito di libri che aprono spiragli sull’attività di una civiltà letteraria di radice italiana fiorita ai margini dello spazio nazionale, in terra d’Istria e a Fiume.

Slataper, prima della guerra in cui avrebbe perso la vita, affermando un principio che  volle definire “irredentismo culturale”, spiegava che «noi non neghiamo l’importanza dei confini politici, ma sentiamo fermamente che non contengono la patria». Parole di un triestino di lingua italiana, aperto verso altri mondi – in special modo quello tedesco e scandinavo – e tuttavia ‘austriaco’ per appartenenza statuale. Qualcosa del genere potrebbero certamente affermare i connazionali che vivono in Slovenia e Croazia, cittadini leali di quei Paesi, eppure legati con un indissolubile cordone ombelicale di lingua, cultura, storia, tradizioni e consuetudini di vita allo stato nazionale il cui idioma è l’italiano.

L’Italia appunto. Della slabbrata e complessa etno-geografia della regione adriatica sappiamo ormai tutto, come pure della storia di lacrime e sangue, di parole ora nobili ora pericolosamente esaltate che hanno ritmato le vicende di quest’area contesa; una regione di cui però siamo finalmente in grado di apprezzare il valore di “cerniera”, per usare un termine caro a Scotti, di crogiolo in evoluzione di quel patrimonio di valori e di diritti sul quale vorremmo si fondasse l’Europa del prossimo futuro (ancorché qualcuno cerchi ancora di gettare benzina sulle ceneri di fuochi ormai spenti, alimentando incomprensione e rancori, sia pure in forma, ridicolmente, retrospettiva, o riemergano qua e là tentazioni anti-democratiche).

Il piccolo universo dell’Italia fuori d’Italia – particolarmente viva e attiva oltre i confini orientali – ci resta comunque per molti aspetti ignoto (non forse a Trieste, ma nel resto di una penisola talmente lunga e distratta da rendere spesso difficile, per chi non ne sia testimone, la messa a fuoco di pur importanti specificità locali). Grazie dunque a Scotti (e grazie al buon lavoro redazionale di ‘Vita activa’ che, immagino, non deve essere stato facile con così tante note e citazioni) che ci permette un contatto in presa diretta con questa “letteratura di frontiera” (Scotti), scandagliata per illustri campioni approfondendo vita e opere di 11 scrittrici e poetesse, fortemente rappresentative dell’identità culturale di cui parliamo e sulla quale, in questo nuovo millennio, possiamo finalmente disporre di riflessioni di ampio respiro, opere di prospettiva generale che perimetrano, per così dire, il territorio quali Le parole rimaste. Storia della letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero nel secondo Novecento (in due volumi, 2003, a cura di Nelida Milani e Roberto Dobran) e La forza della fragilità. La scrittura femminile nell’area istro-quarnerina: aspetti, sviluppi critici, prospettive, 2004, anche in questo caso due volumi, a cura di Elis Deghenghi Oluji.

Ma torniamo al nostro libro, alle “donne con la penna in mano”. I due capitoli iniziali del volume, che chiariscono il punto di vista e i presupposti di metodo, sono, a mio avviso, particolarmente significativi. Li firma ovviamente il curatore, Giacomo Scotti (e non mi si dica che la sua presenza nel libro, con l’insistente io … io … io, sfiora la petulanza: ne ha pieno diritto essendo stato, nella lunga stagione difficile della resilienza della lingua e della cultura italiana oltre confine, un importante protagonista, tanto come autore che come studioso), chiamando alla ribalta, nella seconda parte dell’introduzione, una delle personalità di maggior spicco, per forza creativa e acume ermeneutico, del mondo istro-quarnerino di lingua italiana, Nelida Milani Kruljac, già docente alla facoltà di Pedagogia dell’Università di Pola. Osserva dunque giustamente Scotti che “nessuna città in Italia con una popolazione intorno ai trentamila abitanti conta tanti scrittori, poeti, saggisti, musicisti, pittori, giornalisti d’ogni grado […] quanti ne conta la piccola Italia sparsa in Croazia e in Slovenia” (completo, per amore d’esattezza, che questo rigoglio è anche possibile grazie ai generosi e doverosi finanziamenti della nazione-madre, che permette a operatori, istituzioni e iniziative culturali d’oltre confine di sfuggire a quella logica produttivistica che invece ostacola l’associazionismo culturale e spesso vanifica i suoi progetti in area metropolitana). Chiarito tutto ciò, è interessante ascoltare Scotti quando spiega che «questa nuova cultura italiana – della fine degli anni Quaranta e degli inizi degli anni Cinquanta –  e la sua componente letteraria possono essere più facilmente associate alla neo costituita infrastruttura organizzativa minoritaria e alle sue necessità quotidiane, e un po’ meno a una logica continuità storico-letteraria»; che è come dire che l’italianità dispersa per frammenti nella nuova realtà della Jugoslavia comunista ha dovuto rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo. Un lento ma sicuro risorgimento che smentisce, tra l’altro, una delle leggende pseudo-storiografiche di marca revisionista che una certa destra italiana si sforza (non senza successo, purtroppo, anche in contesti istituzionali) di far diventare moneta corrente: quello della “pulizia etnica” nelle terre già italiane assegnate dai trattati di pace alla Jugoslavia. Che, se vi fosse stata, avrebbe fatto dell’italianità istro-fiumana un tema per storici e memorialisti (un po’ come per l’italianità dalmata), e non una forza viva e attiva nel tessuto civile e culturale dello stato comunista prima e delle repubbliche democratiche che ne sono eredi poi.

Certo, nessuno vorrà negarlo: per tanti aspetti della vita pratica è svantaggioso essere minoranza, per altri invece – il bifrontismo spirituale che colloca fra due civiltà aprendo orizzonti di comprensione altrimenti impossibili e favorendo fruttuose contaminazioni – rappresenta invece un privilegio invidiabile.

Ma perché una storia letteraria al femminile? Scotti ha la risposta pronta: «per le opportunità concesse o conquistate dalle donne di conservare o sviluppare il patrimonio culturale della minoranza, la presenza e la creazione femminili, sono state e restano preminenti». Ma, per definire meglio le costanti della scrittura creativa femminile di radice istro-quarnerina, tanto per coloro che hanno continuato a vivere o sono nate nei territori assegnati alla Jugoslavia (le “sei” donne del titolo), quanto per coloro che per scelta o destino hanno lasciato l’Istria e Fiume per l’Italia (ecco le “cinque” che lo completano), Scotti cede la parola a Nelida Milani: «In linea generale», spiega la scrittrice e studiosa di Pola, e si riferisce tanto alle rimaste che alle esodate, il «primo elemento peculiare che accomuna tutte le scriventi […] è la maledizione dell’esodo, una tragedia che non dà tregua a chi l’ha vissuta, un mastice tra chi è andato via e chi è rimasto». Un secondo elemento, aggiunge, «è la loro posizione sociale sentita come anomala, di minoranza nazionale (per le ‘rimaste’), e di diversità (per le ‘andate’) […] Anche le esuli come le ‘rimaste’ hanno subito il fenomeno dell’omologazione linguistico-culturale, anche loro – come le ‘rimaste’ – sono state sottoposte a processi abbastanza simili nei loro sforzi di integrazione, che hanno comportato grossi adattamenti negli ambienti di vita, sul posto di lavoro, soprattutto in relazione a identità e mentalità». Questa la “grammatica comune” di un’operosità in prosa e in poesia di cui appunto Scotti esplora alcune vette.

Ci limiteremo a fare i nomi delle autrici prescelte, raccontate con una ripetuta e costante modalità saggistica: una breve parte introduttiva con le informazioni sulla vita e le opere, l’approfondimento di qualche risultato più emblematico (a costituire spesso una vera e propria antologia), un breve florilegio della critica, nel quale Scotti lascia volentieri la parola di nuovo alle donne, le studiose in questo caso (Nelida Milani, Elis Deghenghi, Irene Visintini, Cristina Benussi, insieme a molte altre – e ad altri –, cui chiediamo scusa per le omissioni, che non sottintende alcun giudizio di valore). Le “sei donne più cinque” sono quindi Anita Forlani, Ester Sardoz Barlessi, Isabella Flego, Nelida Milani Kruljac, Adelia Biasiol, Laura Marchig, e poi Marisa Madieri, Serenella Zottinis, Livia Cremonesi, Kenka Lekovich, Liana De Luca. Le due più giovani nascono nel 1962 (e non dirò chi sono, per non rendere ancora più difficili i miei rapporti con l’universo femminile); e dopo? Attendiamo dunque da Scotti, o da chi per lui, un altro volume che allarghi il repertorio alle nate dopo gli anni Sessanta, nella convinzione che nel mondo istro-quarnerino ci sia ancora molto da scoprire quanto alla creatività letteraria femminile.

Va aggiunto comunque, un tema che il libro non affronta, che, come ha mostrato una ricerca condotta da alcuni studiosi fra i quali, faremo ancora il suo nome, Loredana Bogliun, e i cui risultati sono stati resi noti negli ultimi mesi del 2019, l’italiano non se la passa troppo bene in Slovenia e Croazia (l’indagine si è concentrata su Buie, Rovigno e altri centri minori). Il bilinguismo, in senso stretto, non esiste e va invece stabilizzandosi una diglossia molto svantaggiosa per la lingua seconda, ormai ridotta a lessico familiare o a codice di situazioni specifiche e circoscritte, in una condizione insomma veramente “minoritaria” che non bastano ovviamente i toponimi e le comunicazioni ufficiali nelle due lingue a compensare.

Chiudo con una mia piccola perplessità che nulla toglie al valore, anzi, alla necessarietà di quest’opera dello Scotti. Da un lato mi domando perché Loredana Bogliun, voce straordinaria ed autentica della poesia istriana non abbia avuto anch’essa un medaglione insieme alle “sei più cinque” consorelle, dall’altro noto con rammarico che uno splendido libro sull’esulanza, La cresta sulla zampa (Edizioni Ibiskos, 2010) di Elsa Fonda, giunta a Trieste da Pirano a metà anni Cinquanta, non è (ancora?) entrato, come meriterebbe, nel canone della grande letteratura istriana dei nostri anni. È un peccato: si tratta infatti di una riflessione intensa e coinvolgente sulle origini e l’abbandono, sulla speranza e sulla delusione, capace per di più di gettare, con la pacatezza di un dolore superato, un limpido raggio di luce su un’altra sfaccettatura dell’esodo (fenomeno così complesso e articolato che il singolare sembra inadeguato), quello di chi, pur vicino ai valori di progresso della società nuova, decise di andarsene sentendosi umiliato dalla tracotanza nazionalistica dei vincitori.

 

 

Giacomo Scotti

Sei più cinque donne

con la penna in mano

Scrittrici e poetesse

dell’Istria e del Quarnero

Vita activa, Trieste, 2020

  1. 310, euro 17,00