Carlo Mollino, la fotografia dappertutto

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Una mostra a Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino

di Michele De Luca

 

“C’è un motivo per il quale la fotografia interessa particolarmente Carlo Mollino e lo accompagna a tutte le età senza significative interruzioni: la fotografia è dappertutto, non è un’attività artistica o professionale separata dal resto, ma può assumere forme, funzioni e compiti molto differenti tra loro, finendo per coincidere con la vita stessa di chi la utilizza. Con la fotografia, Mollino realizza dunque un obiettivo primario per qualsiasi personalità individualista e iper-produttiva come la sua: compone la propria autobiografia”. Così Francesco Zanot ci introduce alla mostra “L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934-1973” (catalogo Silvana Editoriale) allestita a Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, che ripercorre l’intera produzione fotografica della poliedrica e geniale personalità dell’artista (è stato architetto, designer, aviatore, oltre che grande appassionato di montagna) nato a Torino nel 1905 e scomparso nella stessa città il 1973, in una selezione di oltre cinquecento immagini tratte dall’archivio del Politecnico di Torino.

Figlio unico dell’ingegnere Eugenio Mollino, Carlo completò gli studi, dalle elementari alle superiori, presso il Collegio San Giuseppe. Nel 1925 si iscrisse alla facoltà di Ingegneria e, dopo un anno, si trasferì alla Regia Scuola Superiore di Architettura dell’Accademia Albertina di Torino, in seguito divenuta facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, dove si laureò nel luglio del 1931. Ottimo sciatore, nonché direttore della Coscuma (commissione delle scuole e dei maestri di sci), nel 1951 scrisse il trattato Introduzione al discesismo dalle cui pagine emerge appieno tutta la sua personalità inquieta, fantasiosa, bizzarra. Dopo avere pubblicato nel 1948 i volumi Architettura, arte e tecnica, nel 1953 vinse il concorso a professore ordinario e ottenne la cattedra di Composizione architettonica, che conservò fino alla morte. Nel 1957 partecipò al Comitato organizzativo della XI Triennale di Milano; morì improvvisamente nel suo studio nel 1973, quando ancora era in attività.

Mollino ha da sempre riservato alla fotografia un ruolo di primo piano, utilizzandola sia come mezzo espressivo e creativo, sia come inseparabile strumento di documentazione e archiviazione del proprio lavoro, sia, ancora, come “taccuino” del proprio intenso “vissuto” giorno per giorno. Questa esposizione, indubbiamente la più grande e completa mai realizzata fino ad ora, si concentra sul suo rapporto con la tecnica e l’arte della “scrittura con la luce” volendo evidenziarne l’unicità, l’originalità e la “cifra” più ricorrente, a partire dalle prime immagini d’architettura realizzate negli anni Trenta fino alle Polaroid degli ultimi anni della sua vita. Scorrendo la straordinaria sequenza di immagini lungo il percorso espositivo, balza decisamente agli occhi la complessità e fecondità della sua riflessione sul mezzo fotografico, sulla specificità e assoluta autonomia del suo linguaggio, riflessione che è anche sulla “storia” stessa della fotografia in un percorso che assorbe la lezione dei “classici”, ma si lancia in una sperimentazione sempre curiosa e inesausta.

Immagini dirette ad indagare sul tema dell’abitare o a “reinterpretare” edifici ed interni da lui stesso progettati, istantanee di architetture “incontrate” nei suoi tanti viaggi, ma anche composizioni surrealiste, vetrine, fotografie di fotografie, fotomontaggi, il mito della velocità, modelle, messe in scena, sciatori: spinto da un’ansia di perfezionismo, Mollino – scrive ancora Zanot – preme il clic a ripetizione; “non si accontenta della singola immagine di un soggetto, ma ne realizza un’altra e un’altra ancora, modificando tutte le variabili possibili, in un processo di continua approssimazione a un’ideale che resta evidentemente inafferrabile”.

In pratica, la fotografia è parte integrante della biografia che essa stessa ricostruisce: da una parte risulta uno strumento indispensabile per mettere in ordine e presentare organicamente intuizioni, pensieri ed elaborati relativi ad ambiti molto diversi come l’architettura, il design, il ritratto, lo sci, l’automobilismo, il volo e il viaggio, mentre dall’altra si aggiunge a questo elenco contaminando il racconto con una serie di licenze poetiche e sperimentali. L’eterogeneità del lavoro fotografico di Mollino “fotografa” ogni aspetto del suo rapportarsi a questa disciplina e alla sua specificità di mezzo comunicativo ed espressivo. Fotografa i più vari soggetti, con diverso approccio, con tecniche non uniformi. È una varietà che si manifesta sia con una serie di passaggi successivi nel tempo, sia alternando motivi differenti in una stessa fase di lavorazione. In particolare, per ciò che riguarda la modalità di rappresentarli, passa dallo stile documentario alle brume del pittorialismo d’inizio secolo, dall’ordine geometrico alla libertà dell’inconscio, dalla lezione della Nuova Oggettività (con la sua clinica lucidità descrittiva) a Dada, sperimentando e approfondendo punti di visti sostanzialmente opposti e assolutamente inesplorati.