L’esordio riproposto

| | |

Marina Silvestri ripubblica la sua opera prima, Miralegra, un romanzo corale dove s’intersecano le storie di una Trieste popolare, vitale e appassionata

di Walter Chiereghin

 

I lettori di questa rivista conoscono Marina Silvestri, che anche in questo stesso numero è presente con un articolo come sempre puntuale e informato, frutto di un’esperienza giornalistica pluridecennale, maturata in gran parte come conduttrice di programmi alla sede Rai di Trieste, e poi, sempre per l’emittente pubblica, a Roma e a Trento. E tuttavia apprezzare il lavoro di Marina Silvestri basandosi soltanto sui pur numerosi articoli che compaiono su queste pagine – ma anche su quelle di Trieste ArteCultura che le hanno precedute –, risulterebbe riduttivo e fuorviante rispetto a un impegno culturale e di scrittura che nel tempo si è avventurato con passo sicuro in direzioni ramificate, producendo tra l’altro una dozzina di libri, – in versi e in prosa, saggi storici e narrativa –, e più o meno altrettanti come co-autrice o curatrice, a testimonianza di un impegno assiduo e sempre sorretto da un preventivo scrupoloso approfondimento della materia da trattare.

Esce ora presso l’editore Hammerle, cui Silvestri è legata grazie all’amicizia con Caudio H. Martelli, fondatore della Casa editrice, una riedizione del suo romanzo d’esordio, Miralegra, a trent’anni dalla prima pubblicazione, che allora, nel 1993, avvenne per i tipi di Campanotto, editore a Pasian di Prato presso Udine e con l’uso di uno pseudonimo: Marina Vessel.

La struttura narrativa del romanzo breve intreccia tra loro figure e storie di una ragguardevole pluralità di personaggi, e la dimensione corale del racconto si avvale di una voce narrante “fuori campo” che interviene con acribia saggistica – priva però di ogni pedantesca ridondanza – ad integrare il vasto fondale della messa in scena, raccontando a sua volta alcune particolarità della scenografia in cui si muovono i personaggi, sottintendendo con malcelata simpatia l’esistenza di un protagonista non esplicito e tuttavia riassuntivo delle singole storie, cioè la città di Trieste e il territorio sul quale si sviluppa l’azione. Questa centralità del protagonista occulto – ma non tanto – poggia su accostamenti all’apparenza impensabili tra i personaggi della narrazione e le personalità che hanno fatto la storia della città, e così si legittimano reciprocamente Angelo, fuochista in pensione e Massimiliano d’Asburgo, arciduca, oppure Marcello l’orologiaio o Ferruccio, il pescivendolo e Italo Svevo.

Rispetto all’edizione del ’93, quella di oggi si può fregiare di uno scritto introduttivo – un breve testo narrativo in italiano – di Claudio Grisancich, e, come prefazione, di quella che fu invece una recensione del compianto Roberto Damiani, apparsa sul Piccolo del 15 maggio 1993, nella quale anche lui assegna alla città un ruolo da protagonista nelle vicende narrate: « C’è moltissima Trieste, in «Miralegra». Forse ha ragione chi ci giudica incapaci di scrivere se non di noi stessi, sempre alla ricerca di un’identità plausibile. Però diamo atto a Marina Silvestri di accompagnare, nell’indagine palpitante e pietosa della sua umanità minore, l’immagine ruvida e urtante di un’altra Trieste. Non in senso sabiano, cioè idillico o idilliaco; semmai al modo di Livio Rosignano, il pittore che, senza sacrificare il nerbo aristocratico della sua arte, sa essere poeta degli squallidi suburbi, dell’emarginazione sociale, della solitudine. Una sgomenta incertezza, che lievita dubbi e apprensioni, rimossi e recriminazioni, sfibra dunque gli interpreti dell’inquietante “divertissement” joyciano; e questa incertezza, che è appunto crisi d’identità, se trasferita dall’individuo alla comunità, è ancora più amara e credibile delle divagazioni che puntano a spiegarci secondo logica le aporie della storia di Trieste e le contraddizioni infinite delle sue troppe anime in tormento, magari attraverso riferimenti espliciti o citazioni letterarie per linee oblique».

La più parte delle vicende narrate prende corpo nel locale di un’osteria del rione di San Giacomo, ma esiste anche una storia parallela, che narra di una gita a Klagenfurt di Giulia, violinista, di suo marito Fausto, giornalista al Piccolo, e della loro bambina, che è un pretesto per narrare l’agrodolce vicenda della loro unione, ma anche per spaziare con lo sguardo fuori del claustrofobico ambiente dell’osteria di Alfredo, dove per intero si svolge il nucleo forte della narrazione corale, frammentata in cento e più storie, narrata ciascuna per mezzo di un inciso, o con accenni di poche righe e solo in qualche raro caso più volte ripresa.

L’azione si svolge dalla mattina alla sera di un giorno qualunque di primavera, col tempo scandito dall’affacciarsi degli avventori, in gran parte abituali, dai loro commenti circa il fatto del giorno – la drammatica vicenda di un pugile italiano morto su un ring americano durante un incontro – per sfaccettarsi nei comportamenti, nelle posture, nelle parole e più spesso nei pensieri dei personaggi che si alternano ai tavoli o al bancone del locale. Il lettore fa così la conoscenza di Salvatore, procacciatore d’affari di origine meridionale, troppo estroverso per i gusti dell’oste, e poi, via via che l’osteria si anima, un minuto popolo in larga parte di anziani avventori, perché San Giacomo è «un rione dove gli anziani sono molti, hanno il sonno leggero e al mattino si alzano presto». Facciamo così la conoscenza di Giordano, ultranovantenne, quasi afono per l’asma e completamente sordo, che da giovane era stato tipografo e socialista, che discute con Giacinto, calzolaio friulano di San Daniele, anarchico, senza che i due si capiscano del tutto. E poi le donne, dalla più anziana Vittoria Libera Italia, nata a Fiume nel 1918, e Olga, Nives, Nerina, che, fatta la spesa, si radunano per una partita a carte e quattro ciarle prima di rincasare a preparare il pranzo.

E via via che passano le ore, si modifica la clientela dell’osteria, includendo anche qualche presenza più giovane, un gruppo di studenti fuori sede, Diletta che s’incontra con la madre Maria, una squadra di pompieri a fine turno, in una frenetica alternanza di età, di genere, di consumazioni e di condizione sociale.

Cos’è che tiene assieme destini e personalità così diverse, a parte la volontà della scrittrice e la non esplicitata convergenza delle singole voci a comporre assieme un coro che descrive il problematico assetto di una città «piena di utopie, vaniloqui, rancori. Dove nulla o poco succede. […] giornate sempre uguali, in bilico fra l’essere e il niente. Inghiottite dallo struggimento del vivere che insidioso travolge i destini»?

La risposta forse potrebbe essere fornita da un gatto semirandagio, di nome Falisca, che compare furtivo, scontroso e prudente in molte delle sequenze di questo straordinario film che ci ha proposto Marina Silvestri. Falisca, difatti sa per certo che «un gatto vive in un presente dove i sogni e ricordi si riflettono. Senza lacerazioni». Prima di lui, una consapevolezza che è stata la stessa anche in un “asin bigio” di carducciana memoria e in una famosa capra cantata da Umberto Saba.

 

Marina Silvestri

Miralegra

Hammerle editori

Trieste 2023

  1. 100, euro 14,00