Timmel è ritornato

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Esposto all’Irci di Trieste Gli infelici, un dipinto cruciale di Vito Timmel

Walter Chiereghin

 

Della mostra “Il segno Modiano”, più volte aperta, chiusa e riaperta come molte altre esposizioni nel dissestato periodo della lotta contro la pandemia, ci eravamo già occupati, fin dal settembre dello scorso anno, con un articolo di Roberto Curci (Il Ponte rosso n. 60); se ne riparliamo oggi è perché, nel frattempo, qualcosa è cambiato. In meglio, diciamo subito, perché in mezzo a disegni fotografie e manifesti di quell’autentica scuola di grafica che fu la Modiano, troneggia da qualche tempo un olio su tela di generose dimensioni (202×186 cm.), una delle opere più significative della produzione di Vito Timmel. Si tratta del dipinto Gli infelici, eseguito dal pittore nel 1920 ed esposto l’anno successivo alla Prima Biennale romana, allestita al Palazzo delle Esposizioni. Si tratta di un ritorno del dipinto nella città d’elezione di Timmel (Vienna, 1886 – Trieste, 1949), Proveniente da una collezione privata milanese, nell’ottobre scorso è stato acquisito all’asta dalla Modiano, che ha inteso offrirlo in visione al pubblico nell’ambito della mostra allestita dall’Irci nella sede di Via Torino. la cui apertura è prorogata fino al 30 giugno. Per l’occasione, a cura di Piero Delbello, è stato inoltre pubblicato un catalogo di ridotte dimensioni, ma di oltre cento pagine, dedicato a Timmel che analizza in particolare l’opera di recente acquisizione da parte della Modiano, valendosi anche del supporto di molte citazioni ricavate dalla più qualificata bibliografia sull’artista (da Salvatore Sibilia, Pittori e scultori di Trieste, Milano 1922, alla monografia di Franca Marri, Vito Timmel, Trieste 2005, a Il magico taccuino, dai «manoscritti inediti originali a cura di Anita Pittoni per desiderio e con l’approvazione dell’Autore», Trieste 1973).

Gli infelici, come dichiarò l’artista stesso al Piccolo, era destinato nelle sue intenzioni a costituire la prima opera di una trilogia intitolata Gli eroi, che avrebbe dovuto articolarsi in tre dipinti: I tristi, Gli spostati e I felici, e appunto col titolo Gli eroi fu presentato al Palazzo delle Esposizioni di Roma. In effetti la progettata trilogia si arrestò al primo episodio, non essendo conosciuta l’esistenza se non di abbozzi, e anch’essi soltanto per la testimonianza di Sibilia. Gli infelici, ad ogni modo, ebbero un rilevante successo di critica, Silvio Benco, in particolare, scrisse su La Nazione di Trieste: «È questa certamente una delle pitture più ricche di invenzione che possano vedersi in Italia ed altrove. I particolari pittorici, gli episodi di vita del colore che il Timmel afferra e introduce e mette a posto nella sua vasta composizione sono quasi innumerevoli. Alcuni sono deliziosi per se stessi. Tutta la parte inferiore del quadro a sinistra, dove una salma fluttua lievemente nell’etere, e una delicata fioritura di rose si spiritualizza nei suoi veli funebri, mentre pende negletta nell’aria una collana di enormi perle più grevi che la morte, tutta questa parte ha un’incantevole armonia. Ma non è la sola. Seguendo gli sviluppi armonici, li troveremo continui in questo dipinto, e sempre di un’essenza peregrina, singolarissima, che nessun pittore possiede come il Timmel. Egli è sempre stato signore della sua intonazione. E il conservare questo dominio ha richiesto qui da lui uno sforzo temerario» (28 gennaio1822).

Difficile dire, a distanza di un secolo, se altrettanto successo riscontrò l’opera presso il pubblico, probabilmente non del tutto pronto a recepire le novità che il dipinto proponeva, col suo richiamo a Klimt, con una esercitata sapienza nell’uso del colore, che in questa tela si esercita in toni cupi e dimessi, quasi del tutto estranei alla sua precedente produzione, improntata all’uso di una tavolozza luminosa e squillante, com’era stato, ad esempio, per la decorazione del cinema-teatro Ideal di Trieste, solo di poco precedente. E ancora il pubblico era chiamato a confrontarsi con una composizione bizzarra, adagiata lungo linee intersecate, in orizzontale e in verticale e poi con la simultaneità dei soggetti rappresentati, mutuata e reinterpretata da presupposti futuristi, e ancora, soprattutto, con la crudezza della rappresentazione dei corpi e delle fisionomie femminili, a partire da quello della defunta nella parte sinistra della composizione, ma ancor meno accattivante nelle tre figure verticali, in parte nude in parte semivestite, simbolicamente portatrici di una sensualità dolente, estenuata e inquietante. Timmel stesso, nel suo Magico taccuino, ci fornirà un’interpretazione “autentica” di quella trinità femminile: al centro, come in una grottesca crocefissione, la meretrice, che pare offrirsi con un ghigno raggelante e con i seni scoperti, alla sua destra l’infeconda, ignuda e col ventre aperto e vuoto, dall’altro lato l’invereconda, nuda anche lei dalla cintola in su e voltata di spalle.

In un solo dipinto è concentrata la materia per un’analisi psicologica e biografica dell’artefice che va troppo al di là delle competenze di critici e storici dell’arte. Ai quali tuttavia non sfugge l’importanza dell’opera come snodo di una svolta nella produzione del pittore che, alla fine del decennio inaugurato da Gli infelici, inizierà un quasi definitivo periodo di smarrimento che lo condurrà nell’ultima fase della sua esistenza agli esiti che troveranno un drammatico epilogo nelle stanze dell’ospedale psichiatrico. Come osserva Franca Marri nella sua pregevole monografia pubblicata dalla Fondazione CRTrieste, in quel fatale dipinto «l’artista pare riuscire a riunire e riassumere magistralmente già tutte le componenti tragiche e comiche, cerebrali e folli, artistiche, simboliche e letterarie della sua arte».

 

 

Vito Timmel

Gli infelici

olio su tela, 1920

Trieste, coll. Modiano