Oltre le parole

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Voci e tracce delle scrittrici triestine del primo Novecento

di Marina Silvestri

 

«Penso sia giusto» – scrive Dacia Maraini il 7 maggio 2012 in Altrelettere, rivista di critica letteraria sulla scrittura delle donne in Italia, – «che donne sapienti, uscite dalle università a misura d’uomo, si cimentino in questa coraggiosa pratica di osservazione e analisi della scrittura femminile. Pratica che alla fine vuol dire anche valorizzazione e diffusione di testi che spesso sono rimasti chiusi nei vari sgabuzzini letterari, e lì abbandonati e dimenticati». Di queste parole hanno fatto tesoro le autrici del volume Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento, curato da Gabriella Musetti (Vita Activa edizioni di Acid, euro 14,00) che nell’introduzione alle considerazioni della Maraini, si richiama. «Il libro è frutto di un intenso lavoro di ricerca e di un Laboratorio di scrittura durato oltre un anno che si è svolto alla Casa Internazionale delle Donne fra il 2010 e 2011» – spiega nell’introduzione – «nasce dall’interesse per alcune figure di scrittrici triestine, un tempo assai famose e onorate sui giornali e nelle pubbliche conferenze, oggetto di riconoscimenti importanti da parte di uomini illustri e attive nella vita culturale della città e altrove, oggi del tutto dimenticate, quasi rimosse dalla stessa città che le ha viste protagoniste di tante battaglie culturali di rilievo. Nasce anche dalla passione per la scrittura delle donne, una parola che fatica a farsi strada e a mantenersi costantemente nel vivo dell’attenzione culturale, anche quando ha rappresentato il clima di un tempo ed è capace di restituire nel presente i contorni di un periodo storico culturale.»

Mariella Grande, Maria Neglia, Marcella Trulli, Giada Passalacqua, Silva Bon, Marinella Zonta, incontrano e riscoprono Ida Finzi (Haydée), Pia Rimini, Fortunata Morpurgo (Willy Dias), Anna Curiel Fano, Alma Morpurgo, scrittrici di romanzi, racconti, articoli di giornale, testi per il teatro e di poesia, appartenenti alla comunità ebraica che dà loro un’identità forte, «triestine tout court, irredentiste, italiane», che possiedono «una particolare emancipazione, una sollecitazione, una capacità di autoanalisi e riflessione artistica», puntualizza nella postfazione la storica Silva Bon. Fin dalla seconda metà dell’Ottocento, a Trieste le donne ebbero un ruolo attivo nella vita letteraria, nei salotti, ma soprattutto nella pubblicistica e sulle pagine dei giornali, come ha documentato il libro di Gabriella Ziani e Roberto Curci, Bianco, rosa e verde. Scrittrici a Trieste fra Ottocento e Novecento, uscito nel 1993, al quale hanno fatto seguito alcune monografie e, nel 2006, un quaderno del Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Le triestine donne volitive. Presenza e cultura delle donne a Trieste tra Ottocento e Novecento, curato da Marina Rossi. Le scrittrici prese in esame dalla Casa Internazionale delle Donne, sono state «attive nei dibattiti pubblici, vivaci interpreti di incontri e discussioni – osserva Gabriella Musetti – attente alle dinamiche e alle innovazioni del costume della città, che raccontano sui quotidiani e sulle riviste, animatrici di salotti letterari a cui approdavano importanti e consacrati scrittori di Italia, ironiche osservatrici della città, polemiche fustigatrici di molti luoghi comuni.» Il libro oltre a proporre un’antologia di brani di queste donne che furono celebri nel panorama cittadino e apprezzate a livello nazionale, «pioniere in un tempo in cui la scrittura era relegata ai diari, alle corrispondenze», affianca all’introduzione bio-bibliografica e critica di ciascuna, la narrazione dell’incontro che ciascuna studiosa di oggi ha fatto in funzione di questo libro con la scrittrice del passato: un itinerario che non passa solo attraverso le pagine, i documenti, la memorialistica, ma diventa un viaggio personale, nei luoghi del vissuto e dei romanzi, che porta a sintonie, convergenze, identificazioni e distinguo. Un approccio partecipato che privilegia la soggettività e supera così il distacco di cui difettano molti libri sulla produzione letteraria del passato. Obiettivo del progetto e del volume è raccontare le donne della parte delle donne, dal loro punto di osservazione imprescindibile anche per comprendere alcuni aspetti di Trieste, consapevoli, scrive sempre la Musetti «che molti e diversi sguardi, tracciano meglio un panorama complesso e ricco come quello che ha espresso una letteratura di frontiera di cui ancora si avverte la fascinazione.»

Haydée, Pia Rimini, Willy Dias, Anna Curiel Fano, Alma Morpurgo hanno ritratto uno spaccato sociale della città di Trieste in un arco di tempo molto ampio, affrontando tematiche che non riguardano solo la sfera privata, come l’amore, l’amicizia, la maternità, il matrimonio, ma anche problematiche sociali, il lavoro e la quotidianità, spesso l’impegno politico. Mariella Grande che scrive di Ida Finzi, mette in evidenza le affinità con Svevo, «anche lei appartiene all’agiata comunità ebraica ashkenazita fa studi commerciali, ma ha la passione letteraria», inoltre la tenacia e il senso di indipendenza acquisito dopo il tracollo finanziario della famiglia che la faceva ripetere: «bisogna andare in ufficio, bisogna fare l’articolo, altrimenti chi non lavora non mangia»; Maria Neglia di Pia Rimini sottolinea la sua parabola dolorosa, dalla perdita di un figlio mai nato, alla fede, alla morte nel viaggio verso Auschwitz; Marcella Trulli e Giada Passalacqua ci restituisco la vita di Willy Diaz, proveniente da una famiglia altoborghese e agiata che a Vienna conosce Schnitzler, von Hoffmansthal, che incontra Kafka a Gorizia, che vive il rapporto con la scrittura come destino; scrive: «La vita può mutare e mutarci, ma credo che per uno, il quale è nato con la necessità di scrivere, viene sempre il momento in cui, questa necessità si ridesta. Si ridestò pure in me improvvisamente», ma avrà sempre presente nel suo lavoro il futuro lettore. Anna Curiel e il grande amore della vita che la legò a Giorgio Fano, è rivisitata da Silva Bon, secondo la quale «bisogna andare più in profondità: soffermarsi alla superficie, ai gesti quotidiani che fanno sempre preporre Giorgio a lei stessa, vuol dire non cogliere la profondità radicata di un legame che per Anna significa semplicemente la “vita”, la “possibilità di vita”[…]A mio avviso la storia di questo amore singolare è un outing che rivela coraggio da parte di Anna, anche nei confronti di verità scomode.» Infine Mariella Zonta che racconta Alma Morpugo che passò gli ultimi anni della sua vita alla Pia Casa Gentilomo, dove era ospite anche Giorgio Voghera, rimasta «ragazza fino alla fine, curiosa e allegra, felice di stare con amici più giovani e comunque, di stare lontano dai vecchi lagnosi, brontoloni e noiosi (lei che aveva quasi cento anni) sempre pronta a tutte le cose nuove… », ironica e positiva, nonostante la vita non fosse stata generosa con lei, alle spalle la perdita del lavoro, l’emigrazione, i rimpianti.

Chiude il libro una postfazione di Silva Bon sul mondo ebraico triestino a cui appartennero le letterate di cui il libro parla; all’alta e media borghesia imprenditoriale che le educava con «ricercatezza» e «spirito d’avanguardia», «come fiori in una serra». «Queste femme de lettre emergono con la loro personalità – scrive la Bon – anche contraddittorie, a volte visionarie, a volte tese ad épater les bourgois, a volte drammaticamente intrecciate con la Storia. Ma certo è il salotto letterario, dove le donne, al tempo prive di cittadinanza e di poteri politici, giocano ruoli au pair on gli intellettuali-ospiti, esprimono la loro soggettività e animano di fatto, con raro e raffinato savoir faire, i pomeriggi o le serate di intrattenimento conducendo da protagoniste discussioni e giochi di società.» Preziosa l’antologia che recupera dall’oblio e ci restituisce al presente la voce di queste donne e la loro capacità di guardare con intelligenza e autenticità alla vita, a volte con determinazione, altre volte con fragilità.