Artisti del gran rifiuto

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I pittori militari italiani nei campi di concentramento nazisti

di Umberto Laureni

 

Il 18 dicembre scorso è stato presentato a Roma, presso la Casa della Memoria e della Storia, il volume “L’arte nei lager nazisti: memoria, resistenza, sopravvivenza. Pittori militari italiani internati in Germania, 1943-1945”. Ne è autrice Paola Cintoli, già ricercatrice presso l’Istituto di Scienze storiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e poi docente di Italiano e Storia nelle scuole superiori.

L’opera, frutto di un lavoro di ricerca ed omogeneizzazione lungo e complesso, raccoglie le biografie di sessantasei pittori che hanno documentato con le loro opere la vita, in tutte le sue sfumature, nei campi di concentramento tedeschi, in cui vennero imprigionati i militari italiani (IMI – internati militari italiani) catturati in varie aree geografiche all’indomani dell’8 settembre 1943.

L’arte visiva è stata forse il mezzo più semplice utilizzato da alcuni giovani ufficiali, dotati di talento artistico, per documentare l’internamento dei 650.000 IMI, colpevoli di non aver voluto continuare la guerra al fianco dei tedeschi e di non voler aderire alla RSI.

Di ogni autore sono riprodotte numerose opere, corredate da una completa biografia e da una analisi artistica. Di altri nove pittori si riportano le opere ma mancano ancora informazioni sulle loro vicende di uomini e di artisti.

Pur essendo state numerosi le mostre e i volumi dedicati a singoli pittori IMI, il volume della Cintoli costituisce certamente la prima raccolta antologica sul tema.

Le immagini sono per la maggior parte una rappresentazione in contemporanea (in presa diretta diremmo) della vita nei campi, sono cioè vere e proprie “istantanee fotografiche”, di solito perfettamente identificate nello spazio e nel tempo.

Anche in questo elemento sta il loro valore ed in tal senso ben si integrano con l’altra principale fonte di informazione sui campi, rappresentata dai diari degli internati, mentre sono scarse le documentazioni fotografiche.

Il volume è aperto da una doppia introduzione, di Luciano Zani, professore di Storia contemporanea dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e di Giuliana Tomasella, professoressa di Museologia e di Storia della critica d’arte dell’Università degli Studi di Padova.

Mentre quest’ultima si occupa dell’analisi artistica delle opere, lo storico tenta una oggettiva ricostruzione delle condizioni di vita degli oltre 650.000 IMI, per troppi decenni tenute in Italia in un oblio totale.

Leggiamo alcune considerazioni di Zani: “… l’internamento dei militari italiani va inscritto, con tutte le sue contraddizioni, i suoi meriti e i suoi limiti, nella storia…. dell’Italia unita; la rimozione e la denigrazione che hanno tenuto gli IMI per lungo tempo in un cono d’ombra erano destinate a diradarsi col riaffiorare della memoria e con progredire della ricerca storica… Fatte salve le differenze con altre analoghe ma più “estreme” realtà, come i campi di sterminio, credo si possa applicare agli IMI la distinzione tra virtù eroiche e virtù quotidiane… La dimensione collettiva degli internati, tranne casi singoli, non riguarda né santi né eroi, ma uomini, anzi militari, in gran parte giovanissimi, molti dei quali, non tutti, cercarono faticosamente di individuare il comportamento più consono al loro habitus e al loro giuramento: la dignità è la loro virtù quotidiana, intesa come capacità dell’individuo di essere un soggetto dotato di volontà, espressa in una scelta, che per loro fortuna non fu quasi mai tra la vita e la morte, ma fra la resistenza passiva e l’adesione alla RSI”. Dignità che voleva anche dire “il rispetto di sé, la pulizia del corpo come impegno quotidiano”. E insieme l’altruismo, la capacità in molti di condividere il poco di materiale (e il tanto di immateriale) che si aveva: pane, margarina, un libro e insieme, sopratutto nei campi per gli ufficiali, cultura e musica. Ma “queste – dice Zani – sono virtù che non scaldano, la storia ha bisogno di eroi, non di prigionieri di un’istituzione totale, a fronte della scelta di totale libertà della dimensione partigiana”.

Un recupero, finalmente, rispetto alle posizioni di chi aveva considerato gli IMI soltanto soldati che si erano arresi e che avevano patito fame e freddo né più né meno della popolazione civile in Italia.

Fondamentale, per capire l’importanza del libro, è il capitolo della Cintoli, che precede la parte iconografica. È diviso in due parti che hanno titoli significativi: “La resistenza senz’armi dei militari italiani internati nei lager nazisti” e rispettivamente “L’arte nei lager: strumento di salvezza ed espressone di libertà”. È in queste pagine che la storia degli IMI nei lager e le immagini dei campi trovano una perfetta saldatura.

Sulla attualità e validità in prospettiva dell’opera, della quale si consiglia l’acquisizione agli Istituti specializzati e ai cultori della materia, valga un’esperienza diretta. Chi scrive ha voluto tornare a Beniaminowo, in Polonia a nord di Varsavia, per ritrovare i segni di uno dei campi di concentramento più ritratti dagli artisti, il primo in cui era stato suo padre dopo l’8 settembre. Era il campo a cui erano destinati, prima dello smistamento in Germania, i prigionieri italiani catturati in Italia e nei Balcani. Un campo fondamentale, quindi, nell’organizzazione concentrazionaria nazista, immortalato nelle opere di molti artisti oltreché nelle foto di Vittorio Vialli. Ebbene, avendo chiesto agli abitanti più anziani di Beniaminowo dove si trovasse il lager nazista della seconda guerra mondiale, tutti hanno indicato una zona fuori paese in cui si trovano i resti di un bunker della guerra russo-polacca del 1919-20. Nessuno ha saputo indicare almeno il punto esatto del villaggio in cui avrebbe dovuto trovarsi il lager. Peggio ancora, nessuno (anno 2016) si ricordava del lager di Beniaminowo.

È un problema reale quello della conservazione della memoria. Come ad Auschwitz dove stanno sparendo, assieme ai testimoni viventi, le prove reali dello sterminio, perché nelle bacheche i capelli tagliati ai prigionieri cominciano a polverizzarsi e perché il filo spinato originale di Birchenau sta per seguire la stessa sorte.

E allora affinché la memoria degli IMI resti viva e non si polverizzi come il filo spinato di Birkenau servono questi libri, che vanno letti, consultati con commozione e rispetto.