Nella “città delle statue” bastano quelle vecchie

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Consigli: guardarsi attorno e in alto, scoprire l’Accademia dei Cimiteri

di Roberto Curci

 

Potenza dei Big delle Assicurazioni (tutti, come si sa, triestini di remota origine). C’è voluta la mutazione del magniloquente Palazzo Ras in sfarzoso Grand Hotel Allianz-Hilton perché anche gli indigeni si accorgessero dello sfoggio scultoreo di quell’edificio firmato da Ruggero e Arduino Berlam e forse considerato, a torto, come facente ovvia e consueta parte del paesaggio cittadino. Le statue della facciata, di Giovanni Mayer e Gianni Marin, possono anche passare inosservate, e probabilmente tanto di più oggi, mimetizzate nel generale candore del palazzo riverniciato di fresco. Ma inosservato non può o non dovrebbe passare, nell’atrio, il monumentale gruppo di Marin, definito “del gladiatore” o “del Mercurio” o “dei leoni” a seconda degli esegeti.

Scriveva Salvatore Sibilia nel suo sempre essenziale Pittori e scultori di Trieste (1922): “Nel peristilio del palazzo c’è la sua [di Marin] ‘Fontana dei leoni’ che è la più grande policromia che esista: il nudo del guerriero è rosa gandolia, l’elmo in bronzo argentato con ageminature e pietre dure, il drappo in broccatello di Siena, la roccia in pietra di Orsera e i leoni – due leoni e una leonessa che vanno ad abbeverarsi nella conca della fontana – in rosso d’Asiago. Prima di questa policromia di Gianni Marin, la più grande che esistesse era il ‘Beethoven’ di Max Klinger, a Monaco”.

Ha un bell’ipotizzare una futura “Trieste città delle statue” il perenne Borgomastro, dopo l’impresa della statua dell’anonimo panchinaro in piazza della Borsa e nell’attesa – chissà – di un’effigie di Josef Ressel o della collocazione del discusso Tallero asburgico nel salvadanaio di piazza Ponterosso (a proposito, non se ne sa più nulla. Forse meglio così). Trieste non ha gran bisogno di statue nuove, essendo già una “città delle statue”. Si sfogli al riguardo, se non altro, il libro omonimo firmato da Gabriele Crozzoli e Mara Rondi (2004, Edizioni del Capricorno).

La città avrebbe piuttosto bisogno che ci si accorgesse del patrimonio scultoreo che già possiede e che passa, in massima parte, inosservato, proprio come le statue dell’ex Palazzo Ras. “Aprite un poco gli occhi” reclama Figaro nelle “Nozze”, tirando le orecchie agli “uomini incauti e sciocchi”. Vabbè che lui mette in guardia da femmine di carne e ossa, e non di pietra, però cade a puntino l’appello a sollevare lo sguardo e a dire finalmente “toh!” dinanzi a dettagli artistici – spesso appollaiati su facciate e sommità di edifici di tutto pregio – che, nella fretta e nella distrazione del viavai quotidiano, sfuggono alla vista e all’attenzione dei passanti per caso. (Tanto più oggi, quando, piuttosto che al cielo, gli occhi sono rivolti al suolo, ipnotizzati dagli smartphone impugnati – secondo un grossolano calcolo personale – da otto persone su dieci, incedenti a mo’ di ubriachi).

Ci si facesse caso, insomma, si potrebbe perlomeno prender nota dell’esistenza delle statue di Palazzo Vianello e del dirimpettaio Palazzo Saima o Arrigoni (di un giovane Mascherini) in piazza Oberdan, di quelle dei giureconsulti allineati sulla fronte del Palazzo di Giustizia (equamente divisi tra Mascherini e Franco Asco), dei mitologici personaggi apicali di Palazzo Chiozza (Gigi Supino) e dei non pochi co-protagonisti delle architetture Liberty: in Casa Terni-Smolars, in via Dante; al gran balcone centrale di Casa Valdoni, al civico 25 di via Commerciale; al primitivo ingresso di Palazzo Viviani-Giberti, poi chiamato “del cinema Eden”, in viale XX Settembre (l’unico edificio firmato dall’illustre Giuseppe Sommaruga, con le due poppute “ambasciatrici” realizzate da Romeo Rathmann, poi autore anche dell’acrobatico coronamento di Casa Polacco, tra Corso Italia e via Imbriani).

Ma la vera Accademia dell’arte scultorea di quassù – è cosa spesso snobbata, forse per ragioni scaramantiche – è racchiusa nei cimiteri triestini: quelli, s’intende, delle diverse confessioni, esclusa l’ebraica (aniconica). è merito dello storico dell’arte Luca Bellocchi aver censito e studiato questo patrimonio, che comprende opere – spesso assai notevoli – dei citati Mayer, Marin, Asco, Mascherini e Rathmann, ma altresì di artisti insigni ben al di fuori della cerchia municipale, e dunque di consolidata reputazione: Pietro Magni, Donato Barcaglia, Leonardo Bistolfi, Ramiro Meng e quello che a noi pare il più originale e affascinante, il croato Ivan Rendic.

La sontuosa e policroma Tomba Cossovich, realizzata da Rendić nel cimitero cattolico di Sant’Anna, è un piccolo/grande capolavoro, così come molte cose belle, di epoca antecedente, illustrano la Galleria monumentale (che, tuttavia, dovrebbe essere debitamente… lustrata, e non lo è affatto, benché siano iniziati i restauri di alcune zone architettoniche), nel medesimo camposanto. Ma fitta e importante è soprattutto la presenza di sepolcri “d’autore” (Marin, Mayer, Filippo Spaventi) nel piccolo e squisito cimitero greco-orientale di via della Pace, e sorprendente è pure l’attiguo cimitero serbo-ortodosso.

Che “una passeggiata alle tombe” (vedi Vincenzo de Drago, 1870) possa risultare, oltre a un momento di raccoglimento, riflessione ed eventualmente preghiera, anche un’immersione in una dimensione squisitamente artistica, forse è noto a pochi. Luca Bellocchi si è già assunto il compito di fare da “cicerone” a comitive acculturate e curiose, con ottimo riscontro. Chissà che il Borgomastro non si aggreghi a una prossima spedizione (Prenotarsi alla segreteria dell’Agricola Monte San Pantaleone). Potrebbe inserire i cimiteri cittadini negli itinerari raccomandati, predisporre un servizio di navette ad hoc, reclamizzare – assieme a San Giusto e a Miramar – anche questa singolare specificità multireligiosa e multietnica, e annotare un altro segno “più” al rendiconto della crescita, apparentemente inarrestabile, del richiamo cultural-turistico di Trieste.

 

Fig. 1:

Gianni Marin

Fontana del Gladatore

Marmo policromo,

Hotel Hilton, Trieste

 

Fig. 2

 

Romeo Rathmann

Sculture per Casa Polacco

Corso Italia, Trieste

 

Fig. 3

 

Ivan Rendić

Tomba Cossovich

Cimitero di S. Anna, Trieste