FRAMMENTAZIONI DI GIUSEPPE NICOLETTI

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di Marco Menato

 

Sei domande a Giuseppe Nicoletti, pittore, in occasione della sua mostra goriziana “Frammentazioni dinamiche”, dal 3 al 24 luglio 2015 nella Galleria d’Arte “Mario Di Iorio” della Bsi.

 

Giuseppe Nicoletti, classe 1948, è un pittore appartato, colto, che rifugge dai palcoscenici dell’arte, ma che se avete la ventura di essere invitati nella sua casa-laboratorio di Treviso, non si stancherà di parlare dei suoi quadri e dei suoi periodi.

La sua pittura sta tutta nella forza magica della prospettiva, considerata come una rete sulla quale lanciarsi senza paura di cadere e di sfracellare. E tuttavia non è disegno tecnico, infatti se la si esamina con attenzione qualche imperfezione viene fuori, e Nicoletti stesso – divertito – è pronto ad indicare l’errore. La prospettiva è solo un simbolo, uno dei tanti, che Nicoletti utilizza per spiegare la sua visione del mondo. E a questo simbolo, come i veri pittori, rimane legato, pur con variazioni sul tema, tra le quali la presenza del colore, che è diventato squillante, deciso, quasi propositivo di altri mondi, “la consolazione a una vita che comunque va vissuta, qualunque sia il giudizio ogni volta sospeso” (Enzo di Grazia, 2009).

Il primo catalogo, presentato da Luigina Bortolatto, Grandi quadri, 1980-1990, è stato stampato nel 1990 dalla casa editrice Marini in occasione della esposizione trevigiana a Cà dei Carraresi. Nel 1992 ha avuto un’emissione con copertina rinnovata e l’aggiunta del testo di Franco Batacchi. Successivamente nel 2009 è uscito per le Edizioni Tintoretto Geometrie rivelate a cura di Chiara Tavella; il medesimo ha avuto nel 2011, in occasione della mostra alla Sala Appi di Cordenons, una emissione con un testo aggiunto di Chiara Tavella, intitolato Frammenti di geometrie, e una nuova immagine di copertina.

 

Perché dipingi e che cosa dipingi?

Sono nato a Treviso, dove trascorro la maggior parte del mio tempo con gli antichi affetti e le nuove virtù. Tra gli affetti antichi c’è posto anche per la pittura, così precoce da non considerarla indispensabile e, comunque, rimanendole fedele anche nelle stagioni più difficili, sempre con la curiosità di scoprire e approfondire stili e tecniche diverse. Così dal 1969 questo approccio all’arte genera le nuove virtù: la meticolosità dell’eterno insoddisfatto e la testardaggine dell’autodidatta.

Ho sempre proposto una pittura di denuncia, coinvolto tra gli eventi sociali e le letture di Marcuse, anche utilizzando diversi materiali come nelle installazioni e giungendo alla creazione di soluzioni geometriche strutturate modularmente. In seguito il periodo metafisico è influenzato da due romanzi, Wathek di William Beckford, scritto nel 1785 (letto nella bella edizione di Franco Maria Ricci, 1978, con introduzione di J. L. Borges) e Mondo estremo dell’austriaco Christoph Ransmayr (Milano, Leonardo, 1989) di due secoli dopo.

Terminato il periodo del “Mondo estremo”, modifico la prospettiva abbassando il punto di vista, per una visione da sotto in su, e continuo per alcuni anni a lavorare sul tema del “Muro”.

Infine il periodo di “Geometrie rivelate” così definite perché depurate dalle precedenti implicazioni sociali e letterarie e caratterizzate dall’uso di nuovi supporti pittorici e dalla presenza di rapporti spaziali pianificati in funzione estetica.

Che significato ha la geometria nella tua pittura? “Frammentazioni dinamiche” è il titolo della mostra goriziana: che cosa vuol dire?

La geometria fa parte di ogni espressione di arte visiva, nel mio caso è stata percepita come una forza innovativa nel momento in cui ho abbandonato la pittura a olio per l’acrilico. La pittura ad acrilico mi permette di realizzare un’opera in breve tempo e di elaborare composizioni complesse e precise. Dal punto di vista pratico questa tecnica è funzionale alla rappresentazione geometrica ma rende molto più difficoltoso rinvenire il contenuto di un’immagine ideale, abilmente creata e manipolata attraverso il colore proprio per comunicarne il significato, talmente intimo da manifestare disagio nell’esprimerlo.

Il titolo di questa mostra, “Frammentazioni dinamiche”, suggerito da una critica d’arte dopo aver visto il progetto e qualche quadro, credo sia la giusta denominazione per come la frammentazione del muro è sviluppata lungo un percorso fatto di sottrazioni continue, producendo nuove composizioni e imprimere all’installazione un dinamismo generale connesso alla spazialità dei singoli dettagli.

Nelle precedenti serie pittoriche, c’era un giudizio politico, sociale, ora – come scriveva nel 2009 Enzo di Grazia – pare che tu sia arrivato “alla sospensione del giudizio”. È stato un ritiro voluto o in un certo senso obbligato, in quanto la pittura non può cambiare il mondo!

L’arte in questo momento non ha i supporti ideologici per cambiare il mondo e non è il titolo polemico di un quadro o di una mostra ad affrancare un giudizio politico. Pertanto considero la sospensione del giudizio come un momento di riflessione e di rispetto verso un mondo artistico confuso da mode effimere e pericolosamente allineato su ideologie inconsistenti.

La Metafisica, il Realismo magico, l’Iperrealismo sono movimenti che, almeno dal punto di vista scolastico, ti hanno influenzato, ma quanto? E ora a che cosa guardi?

Durante il periodo scolastico ho avuto delle inconsapevoli simpatie per l’ermetismo, soprattutto la poesia di Quasimodo, e la metafisica di Carrà emerse poi, sempre più palesemente, negli anni delle sperimentazioni.

Lo spirito di quel tempo mi accompagna ancora, ma con più concretezza. Non cerco la moda del momento ma la continuità del mio pensiero, indagando anche le situazioni trasversali che di volta in volta si presentano, sempre con l’instabilità emotiva di chi vuole provare ogni colore o sperimentare nuovi strumenti.

Con questa mostra il Muro si sta frammentando, sgretolando, si vede l’uscita oppure solo rovine e calcinacci?

In quest’occasione la frammentazione del muro è raffigurata dai volumi che invadono lo spazio come un’unica grande installazione: “Frammenti di un muro continuo che si saldano attorno a noi e ci travolgono, travolgono l’oggi nella loro caduta sospesa, nel loro perpetuo, irrisolvibile crollo” (Chiara Tavella, 2011).

È difficile prevedere ora, cosa resterà del Muro, di sicuro non ci saranno calcinacci ma lavorerò per custodire almeno delle austere archeologie.

Questa è la prima mostra a Gorizia? E quali sono i rapporti con la mostra allestita a Udine nello spazio UniCredit (30 aprile – 2 maggio 2015)?

È la mia prima mostra a Gorizia. Nell’esposizione di Udine, intitolata “Frammenti di infinito”, predominava uno scorcio del periodo del “Muro” in cui imponenti parallelepipedi si incastravano gli uni sugli altri creando un insieme omogeneo. Ora alla galleria “Mario Di Iorio” la frammentazione del muro è sviluppata lungo un percorso fatto di sottrazioni continue, che dà origine a nuove composizioni e imprime all’opera un dinamismo generale connesso alla spazialità dei singoli dettagli.

L’allestimento, specificatamente studiato, occupa le due sale della Galleria in modo distinto: la prima è dedicata ai disegni e agli studi dei particolari del “Muro”, nella seconda invece le tele, diverse per forma e dimensione, sono distribuite sulle tre pareti, alcune pure appoggiate direttamente sul pavimento, creano altrettante dinamiche installazioni.